martedì 20 novembre 2018

Conclusioni definitive sul saggio medio del profitto

Abbiamo visto la principale contraddizione dello scambio capitalistico delle merci: le merci, in quanto prodotti del lavoro sociale medio, hanno un valore di scambio; ma, come prodotti di capitale sono scambiate ai prezzi di produzione, ossia secondo il saggio medio del profitto. Del resto, se le merci fossero scambiate semplicemente secondo il loro valore avremmo quest'altra contraddizione: chi produce una maggior  quantità di plusvalore dovrebbe pretendere una quota di profitto maggiore: fatto questo che beneficerebbe l'arretratezza capitalistica, beneficiando produzioni che utilizzano un capitale costante inferiore alla media. Per assurdo, l'industria più moderna quella delle mecchine utensili, che produce minime quantità di plusvalore, impiegando pochissima forza lavoro e molti robot, non potrebbe neppure esistere.

Tutte queste contraddizioni si risolvono soltanto se consideriamo la produzione di plusvalore nel suo complesso: da questo punto di vista il plusvalore, come ha spiegato Marx, è qualcosa che ha senso storico reale soltanto se considerato come l'enorme serbatoio dal quale l'intera classe capitalistica trae la sua ricchezza media nella forma del profitto medio. Dal punto di vista scientifico, come non ha alcuna rilevanza la singola merce prodotta dal singolo operaio, perché è solo l'operaio complessivo che produce il complesso delle merci (oggetto della scienza), così non ha alcuna rilevanza il plusvalore prodotto dal singolo operaio, perché è soltanto l'operaio complessivo che produce il plusvalore totale: energia vitale del capitalismo.

Perciò, la questione di come il singolo capitalista ottenga una quota di plusvalore adeguata alla quota di capitale che ha investito nella produzione, non è una questione che riguardi la scienza perché sono troppi gli eventi accidentali che possono favorire o ostacolare il singolo capitalista nelle sue "pretese". La questione è di nuovo risolta in senso statistico: nella produzione mondiale capitalistica esistono industriali che producono le più disparate quote di plusvalore: si va dall'estremo della produzione di masse di plusvalore molto superiori alla media con capitale costante molto basso, come nell'agricoltura del passato, all'estremo della produzione di plusvalore quasi inesistente, come nell'industria delle macchine utensili, o in genere nell'alta tecnologia, e in mezzo varie gradazioni. La statistica risolve tutto con il saggio medio del profitto che viene intascato dalla classe capitalistica nel suo complesso.

Si potrebbe dire che, dato un determinato saggio medio del profitto, esiste poi una deriva casuale, che è tanto maggiore quanto più piccolo è il campione statistico considerato, fino a diventare del tutto casuale, quando si prenda in considerazione il singolo caso: ossia, il singolo saggio del profitto agguantato dal singolo capitalista. Quanto sia indifferente al cieco processo mondiale capitalistico la sorte dei singoli capitalisti lo attestano le vicende di personaggi che hanno occupato posizioni molto importanti in questo processo, e pur tuttavia sono finiti in bancarotta, in carcere o, persino, suicidati. Ma se vogliamo rispecchiare i reali processi fondamentaeli mediante la conoscenza di leggi scientifiche, occorre affermare decisamente che anche la scienza è indifferente al singolo. Cosa questa che è sempre parsa disumana e crudele, ma soltanto per un paradossale capovolgimento della realtà nella mente umana.

Per esempio, quando un industriale e o finanziere fallisce è solo un singolo  esempio che non può trovare spiegazione nella scienza, per la semplice ragione che esso appartiene alla sfera del caso. Ma il pensiero determinista, che domina la mente degli uomini da tempo immemorabile, non accetta quest'unica ragione e deve trovarne delle altre a sé più confacenti: non si rende conto di trovarsi nel campo delle ragioni arbitrarie, ovvero, come sosteneva Hegel, nel campo dell'accidentale, dell'arbitrario, dove si trovano ragioni per tutto. Fatto sta che non potendo risolvere con esattezza scientifica il fallimento (o all'opposto il successo) del singolo, il pensiero determinista crede di poterlo fare con criteri riduzionistici, inventando ragioni e motivi che, per il singolo, producono conseguenze molto più crudeli e angosciose dell'indifferenza scientifica.

Invece di prendersela con il processo complessivo ciecamente necessario, che si fonda proprio sulla casualità dei singoli, e che abbandona i singoli ai capricci del caso, il determinismo attribuisce ai singoli la responsabilità di eventi verso i quali essi sono solo impotenti. Paradossalmente, questo atteggiamento, che appare molto umano solo quando dispensa premi a singoli individui baciati dalla fortuna, è realmente di una perfidia disumana, perché fondato sulla stupidità, sull'incoscienza e sulla non conoscenza delle cieche leggi della società umana.

Tutto all'opposto l'indifferenza della scienza nei confronti del singolo individuo è effettivamente umana, perché la scienza, quando sa rispecchiare correttamente la dialettica caso-necessità, deve necessariamente negare la responsabilità individuale in questi processi, così come nega che questi processi obbediscano ai singoli accidenti. La conseguenza è che la scienza reale, nella sua "indifferenza", mette al riparo il singolo individuo dalla responsabilità verso accidenti da lui subìti perché imposti dalle circostanze, ma non sempre voluti né tanto meno determinati.

Detto tra parentesi, ogni individuo può essere ritenuto responsabile per tutto ciò che dipende da lui, ma ogni esistenza individuale dipende dalla natura e dalla società, perciò l'ambito delle responsabilità personali si riduce parecchio: come un individuo non può essere ritenuto responsabile se per un caso naturale viene colpito da una grave malattia, così non può essere ritenuto responsabile se per un caso sociale viene colpito da un fallimento o da un licenziamento. La cieca necessità naturale e sociale si manifesta sull'individuo in maniera affatto casuale, come fortuna o sfortuna, grazia o disgrazia, ventura o sventura.

Marx aveva ben compreso questo aspetto della dialettica caso-necessità, come testimonia questo passo che si trova nella prefazione alla prima edizione del Capitale: "Il mio punto di vista, che concepisce lo sviluppo della formazione economica della società come processo di storia naturale, può meno che mai rendere il singolo resoponsabile di rapporti nei quali rimane socialmente creatura, per quanto soggettivamente possa elevarsi al di sopra di essi".

Insomma, ogni essere umano, in questa società divisa, pare avere questo triste privilegio: di potersi elevare soggettivamente al di sopra delle proprie pene, delle proprie disgrazie, delle proprie catene, e, all'opposto, di potersi abbassare, non soltanto a livello dei rapporti che lo penalizzano, cosa abbastanza comprensibile, ma persino a livello di un bruto, nonostante rapporti che lo beneficiano, che lo elevano allo status di ricco e potente. Ma questo è soltanto un problema di singoli sui quale si prodigano l'etica e la religione, senza per altro ottenere gran ché.


"La dialettica caso necessità nella storia" Volume 4° (2003-2005)

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...