giovedì 15 novembre 2018

Caso e necessità nell'analisi della merce

In un'epoca dominata dal determinismo riduzionistico, quale fu il secolo XIX, non poté destare stupore e sconcerto il fatto che Marx non si fosse completamente affidato alla connessione deterministica di causa ed effetto. Chi era abituato alle analisi deterministiche-riduzionistiche della scienza dell'Ottocento non poté evitare il disagio prodotto dal nuovo metodo utilizzato da Marx, che forniva leggi di necessità soltanto nella forma di medie statistiche. Del resto, come abbiamo già osservato, neppure Marx fu completamente consapevole del fatto che il suo metodo di indagine si allontanava decisamente dal determinismo, complice la dialettica hegeliana opportunamente rovesciata in senso materialistico.

Quando Marx inizia la sua indagine affermando*: "La ricchezza delle società nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico si presenta come "un'immane raccolta di merci" e la merce singola si presenta nella sua forma elementare. Perciò la nostra indagine comincia con l'analisi della merce", non è chiaro che cosa intenda fare, se partire dalla singola merce in senso riduzionistico-deterministico, oppure nel senso hegeliano della merce intesa come genere universale: ciò che noi abbiamo chiamato complesso. Ma, nel momento in cui egli svolge la sua analisi, il suo metodo dialettico prende il sopravvento sul determinismo riduzionistico. E' ciò che appureremo seguendo la sua indagine sul valore della merce.

Il punto di partenza di Marx è la considerazione del valore d'uso della merce che rappresenta ciò che è utile per noi: è solo l'utilità "di una cosa che ne fa un valore d'uso". "Il valore d'uso si realizza soltanto nell'uso, ossia nel consumo". Ma ciò che conta è il suo nesso con il valore di scambio. "Nella forma di società che noi dobbiamo considerare, i valori d'uso costituiscono insieme i depositari materiali del valore di scambio", scrive Marx, che così continua: "Il valore di scambio si presenta in un primo momento come il rapporto quantitativo, la proporzione nella quale valori d'uso di un tipo sono scambiati con valori d'uso di altro tipo; tale rapporto cambia continuamente coi tempi e con i luoghi. Perciò si presenta come qualcosa di casuale e puramente relativo, e perciò un valore di scambio interno, inerente alla merce ... si presenta come una contradictio in adjecto".

Se, quindi, consideriamo i rapporti di scambio di singole determinate quantità di valori d'uso, che variano con i tempi e con i luoghi, ci troviamo ancora nella sfera del caso. Per trovare la necessità Marx eguaglia due quantità determinate di cose diffferenti, ad esempio un quarter di grano = un quintale di ferro. Potrebbe sembrare che egli si comporti come un qualsiasi naturalista empirico, riduzionista, ma vediamo che cosa scopre: "Che cosa dice questa equazione?" Risposta: in queste due cose differenti "esiste un qualcosa di comune e della stessa grandezza. Dunque l'uno e l'altro sono eguali a una terza cosa, che in sé e per sé non è né l'uno né l'altro. Ognuno di  essi, in quanto valore di scambio, dev'essere riducibile a questo terzo".

Quindi Marx scopre che, se come "valore d'uso le merci sono soprattutto di qualità differenti, come valori di scambio possono essere soltanto di quantità differenti, cioè non contengono neppure un atomo di valore d'uso. Ma se si prescinde dal valore d'uso dei corpi delle merci, rimane loro soltanto una qualità, quella di essere prodotti del lavoro". Se facciamo astrazione dai valori d'uso, continua Marx, noi cancelliamo tutte le qualità sensibili che fanno di una cosa un valore d'uso e in questo modo cancelliamo anche le diverse forme concrete dei lavori che producono questi valori d'uso. "Col carattere di utilità dei prodotti del lavoro scompare il carattere di utilità dei lavori rappresentati in essi, scompaiono dunque anche le diverse forme concrete di questi lavori, le quali non si distinguono più, ma sono ridotte tutte insieme a lavoro umano, generale, lavoro umano astratto".

Una prima conseguenza di questa scoperta è che "un valore d'uso ha valore soltanto perché in esso viene oggettivato, o materializzato, lavoro astrattamente umano. E come misurare ora la grandezza del suo valore? Mediante la quantità della "sostanza valorificante", cioè del lavoro, in esso contenuto. La quantità del lavoro a sua volta si misura con la sua durata temporale, e il tempo di lavoro ha a sua volta la sua misura in parti determinate di tempo, come l'ora, il giorno, ecc."

Marx continua: "La forza lavorativa complessiva della società, che si presenta nei valori del mondo delle merci, vale qui come unica e identica forza-lavoro umana, benché consista di innumerevoli forze-lavoro individuali". Egli, quindi, considera necessario il complesso, la totalitat hegeliana  delle forze-lavoro che producono "il mondo delle merci", ossia la "totalitat" delle merci. Le innumerevoli forze-lavoro, prese singolarmente, non possono  rendere conto della necessità, perché se il valore di una merce fosse determinato dalla quantità di lavoro individuale, allora "quanto più pigro o quanto meno abile fosse un uomo, tanto più di valore dovrebbe essere la sua merce, poiché egli avrebbe bisogno di tanto più tempo per finirla".

Quel che conta, invece, è "il tempo di lavoro necessario in media, ossia socialmente necessario". "Il tempo di lavoro socialmente necessario è il tempo di lavoro richiesto per rappresentare un qualsiasi valore d'uso nelle esistenti condizioni di produzione socialmente normali, e col grado sociale medio di abilità e intensità di lavoro". Ma questo tempo di lavoro può riguardare soltanto il complesso delle forze-lavoro. E' qui che possiamo trovare la necessità. Ciò che vale per il produttore, vale anche per il prodotto: "Quindi è soltanto la quantità socialmente necessaria, cioè il tempo di lavoro socialmente necessario per fornire un valore d'uso che determina la sua grandezza di valore. Qui la singola merce vale in generale come esemplare medio del suo genere".

La singola merce e le sue vicende particolari sono puramente contingenti e casuali; solo l'esemplare medio, il rappresentante del suo genere, rappresenta la necessità complessiva che si oppone alla casualità singolare. Marx supera così il riduzionismo in maniera dialettica. Egli non considera come oggetto di studio dell'economia la singola merce, il singolo produttore, la singola officina e neppure la singola forma di lavoro, ma considera il complesso di tutti i lavori, il complesso di tutte le merci, il complesso di tutti i produttori, il complesso di tutte le officine. Se era sembrato partire, come i riduzionisti, dalla singola merce, ecc., in realtà ha mostrato come non è dalle singole merci, ecc. che nasce la necessità. La necessità si manifesta nella media statistica che risulta dalle innumerevoli singole merci, prodotte da innumerevoli singole forze-lavoro.

Il complesso, nella impostazione scientifica di Marx, prende il posto che la singola cosa ha nella impostazione riduzionistica: esso diventa il genere necessario, del quale la singola cosa è solo un elemento casuale. I principali complessi considerati da Marx sono, rispettivamente, le merci e i lavori che le producono. Merce e lavoro presentano un duplice carattere. In primo luogo, una merce è un valore d'uso che soddisfa un bisogno particolare. "Per produrlo, occorre un determinato genere di attivittà produttiva, che è determinata dal suo fine, dal suo modo di operare, dal suo oggetto, dai suoi mezzi e dal suo risultato. Chiamiamo senz'altro lavoro utile il lavoro che si presenta in tal modo nel valore d'uso del suo prodotto, nel fatto che il suo prodotto è un valore d'uso".

E come i valori d'uso sono tra loro qualitativamente differenti, così i lavori particolari che li producono sono tra loro qualitativamente differenti: abito e tela sono qualitativamente differenti come
lo sono il lavoro di sartoria e il lavoro di tessitura: "Nell'insieme dei diversi valori d'uso o corpi delle merci si presenta un insieme di lavori utili altrettanto differenti secondo la specie, il genere, la famiglia, la sottospecie, la varietà: una divisione sociale del lavoro". "Solo prodotti di lavori privati autonomi e indipendenti l'uno dall'altro stanno a confronto l'uno con l'altro come merci".

Avendo preso come oggetto dell'economia politica i complessi, Marx è in grado di caratterizzarne l'essenza, ovvero, la necessità oggettiva. I valori d'uso, ossia i corpi delle merci, sono combinazioni di materia e lavoro; e il lavoro è la necessità di mediare il ricambio organico fra uomo e natura, ossia la vita degli uomini che si realizza mediante un procedimento di produzione che è "semplice cambiamento delle forme materiali". L'uomo, come la natura, produce trasformazioni delle forme materiali. E, come in natura, le forme materiali sono il prodotto di dispendio d'energia, così le forme prodotte dall'uomo sono il risultato del dispendio di energia umana, "dispendio di lavoro umano in generale".

Il concetto di dispendio, legge assoluta della evoluzione della materia, appare per la prima volta, chiaramente, con Marx, e in un particolare settore di questa evoluzione: la produzione umana. Così egli può concludere: "Da una parte, ogni lavoro è dispendio di forza-lavoro umana in senso fisiologico, e in tale qualità di lavoro eguale o astrattamente umano esso costituisce il valore delle merci. D'altra parte, ogni lavoro è dispendio di forza-lavoro umana in forma specifica e definita dal suo scopo, e in tale qualità di lavoro concretto utile esso produce valori d'uso".

Marx definisce in questo modo due sfere: quella particolare dei lavori concreti che producono valori d'uso differenti, e quella generale del lavoro eguale che produce il valore di scambio di tutte le merci. Alla prima sfera appartiene il caso, alla seconda la necessità. Il caso non è qualcosa che deve essere respinto come un guastafeste, anzi, esso rappresenta il fondamento della necessità: la merce per avere valore di scambio deve essere utile, avere cioè valore d'uso. Ma se il valore di scambio vale necessariamente per i complessi di merci, i valori d'uso sono "variopinte forme naturali", singolarmente contingenti e casuali, e perciò non possono rientrare nelle leggi  della scienza.


Tratto da "La dialettica Caso-necessità nella Storia"  Volume 4° (2003-2005)

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