Hegel parte dalla critica del concetto kantiano di possibilità formale, per il quale è possibile tutto ciò che non si contraddice. Abbiamo visto che, nel suo saggio su Democrito ed Epicuro, Marx attribuisce quest'idea di possibilità a Epicuro. Dunque già sappiamo che se è possibile tutto ciò che non si contraddice, "tutto così è possibile", come rileva anche Hegel. Epicuro, infatti, finì col porre sullo stesso piano ogni sorta di possibilità, ogni sorta di ipotesi; e questo, abbiamo già visto, rappresentò il suo principale limite, che gli derivò dal fatto di avere considerato solo il caso, respingendo la necessità.
Hegel giustamente osserva: "Ma altresì tutto è impossibile; perché in ogni contenuto, in quanto è un concreto, può essere concepita la determinatezza come antitesi determinata, e quindi come contraddizione. -Non vi è perciò discorso più vuoto di quello di tale possibilità e impossibilità". Perciò, egli avverte filosofi e storici: "Specialmente in filosofia non si deve mai parlare di mostrare che qualcosa sia possibile, o qualcos'altro sia anche possibile, o che qualcosa, come si dice, sia pensabile. Anche lo storico resta per tal modo avvisato di non usare questa categoria, già dichiarata non vera; ma la sottigliezza del vuoto intelletto sommamente si compiace nel vano escogitare possibilità o serie di possibilità".
La motivazione più profonda del rifiuto hegeliano della categoria di possibilità formale è la seguente: "In quanto valore di mera possibilità il reale è alcunché di accidentale; e, per converso, la possibilità è lo stesso mero accidente". Hegel ha, quindi, compreso che il possibile formale, in altre parole la generica possibilità, appartiene alla sfera del caso. Ora, se l'accidente, il caso, non potesse rovesciarsi in necessità, ossia se il caso fosse l'opposto diametrale della necessità, come pretendono i metafisici, sorgerebbe un bel rebus: stabilito che la possibilità formale è mero accidente, la possibilità reale dovrebbe essere immediatamente necessità; ma la possibilità non può essere immediatamente necessità, altrimenti sarebbe immediatamente realtà; e, d'altra parte, la possibilità non può essere mero accidente, altrimenti la realtà sarebbe una categoria vuota (coincidendo con il caso).
Hegel cerca di uscire dalla difficoltà definendo "possibilità e accidentalità" come "momenti della realtà", "posti come mere forme, che costituiscono l'esteriorità del reale". Ma quando scrive: "La finità dell'accidentale e del possibile consiste dunque più precisamente nella distinzione della forma dal contenuto, e perciò se qualcosa è accidentale, codesta è cosa che dipende dal contenuto", si trova in imbarazzo perché è proprio questa dipendenza che bisogna chiarire. Anche la seguente precisazione: "l'accidentale, come realtà immediata", è "un esser posto, un qualcosa di presupposto, il cui immediato essere è insieme una possibilità, e ha la determinazione di esser superato: -la possibilità di esser un altro: la condizione", non esce fuori dalle pur valide considerazioni sul possibile e sull'accidentale per giungere alla realtà necessaria.
Ma per poter comprendere il passaggio dalla possibilità alla realtà, perché questo è il vero problema da risolvere, si tratta, a mio avviso, di mostrare il passaggio dal caso alla necessità. Hegel è consapevole della difficoltà del problema. Infatti, scrive: "La necessità è stata rettamente definita unità di possibilità e realtà. Ma, espressa solamente così, questa determinazione è superficiale, e perciò inintelligibile. Il concetto di necessità è molto difficile, perché esso è il concetto stesso, i cui momenti però sono ancora come delle realtà, le quali tuttavia sono da concepire soltanto come forme, spezzate in sé e transeunti".
Rovesciando materialisticamente: il concetto di necessità riflette la realtà, ma questa appare attraverso forme soltanto possibili, accidentali e transeunti. Hegel dice che il concetto di necessità è difficile e che l'unità di possibilità e realtà non può essere la definizione di necessità. Ma piuttosto è da pensare che difficile sia mostrare il passaggio necessario dalla possibilità alla realtà, che poi altro non è che la concretizzazione del passaggio dal caso alla necessità. Perciò, Hegel riempie parecchie pagine di affermazioni come la seguente: "Quando si hanno tutte le condizioni, la cosa deve diventare reale; e la cosa è essa stessa una condizione, giacché dapprima, come alcunché d'interno, è essa stessa soltanto un presupposto. Perciò "questa realtà svolta" "è la necessità".
Da queste affermazioni che non spiegano nulla, essendo pure tautologie (perché è ovvio che l'esistenza di tutte le condizioni che determinano la cosa reale è già la cosa reale), l'unico punto fermo che se ne può trarre è che, se da un lato sono concetti omogenei possibilità e caso, dall'altro sono concetti omogenei realtà e necessità. Tra gli uni e gli altri Hegel introduce i "presupposti" e le "condizioni" e tenta un modo per uscire dalle difficoltà, ponendo tre momenti: la condizione, la cosa e l'attività.
Dalla sua elaborazione eccessivamente oscura risulta, comunque, evidente che, considerando il momento dell'attività, egli prende in considerazione il singolo senza mostrare come dalle singole attività si giunga al complesso, alla totalità delle attività. Quindi, rimane nella sfera del possibile e del caso, mentre sostiene che "in quanto questi tre momenti hanno la forma di esistenza indipendente l'uno verso l'altro, questo processo è necessità estrinseca. Questa necessità ha un contenuto limitato per la cosa".
Hegel spiega così la necessità estrinseca: "Ciò che è necessario, è per mezzo di un altro, il quale si è scisso nella ragione mediatrice (la cosa e l'attività) e in una realtà immediata, in un accidentale, che è, insieme, condizione. Il necessario, essendo per mezzo di un altro non è in sé e per sè, ma un qualcosa di meramente posto". In sostanza, qui il necessario appare un prodotto di circostanze casuali. "La ragion d'essere e la condizione accidentale è tradotta in immediatezza, per cui questo esser posto è superato facendosi realtà, e la cosa si fonde con se stessa. In questo ritorno in sé il necessario è, così, mediato per mezzo di un circolo di circostanze; è così, perché le circostanze sono così, ed insieme è, così, immediato, -è così, perché è". Insomma, la necessità prodotta da circostanze casuali sembra ridursi a una vuota tautologia.
Ma ecco che Hegel balza improvvisamente dalla sfera del singolo alla sfera del complesso, intuendo la soluzione: "La sostanza è, per conseguenza, la totalità degli accidenti, cioè come potenza assoluta, e insieme come la ricchezza del contenuto". La "sostanzialità è assoluta attività della forma e la potenza della necessità". Qui la soluzione dialettica è a portata di mano, nonostante sia mascherata da un linguaggio oscuro: il reale immediato è l'accidentale prodotto dal caso (necessità estrinseca); l'attività del singolo verso un'altra realtà immediata è mera possibilità fra tante; se l'attività del singolo realizza la cosa a partire dalle condizioni (possibilità), nel contempo "sopprime" le molteplici possibilità realizzandone una sola o poche. Siamo qui sotto il dominio del caso relativo ai singoli. La "sostanza", invece, come totalità di queste realtà immediate, accidentali, è la "potenza assoluta", è la potenza della necessità intrinseca al complesso dei casi singoli, o realtà accidentali. Il complesso è la realtà necessaria intrinseca.
Hegel si è appena avvicinato alla soluzione dialettica dei rapporti possibilità-realtà, caso-necessità che subito si affretta a sostituire quest'ultimo con il rapporto di causa-effetto. Questa sostituzione del caso con la causa è vecchia storia alla quale neppure lui si sottrae, sebbene abbia tutti gli elementi per chiudere definitivamente con il principio di causalità.
Abbiamo visto che se si concepisce correttamente la realtà immediata, accidentale, come singolarità dominata dal caso, la reale necessità viene fuori solo attraverso la totalità, ossia attraverso il complesso di queste singole realtà. Il passaggio dal caso alla necessità, e quindi dalla possibilità alla realtà, è dunque un salto dialettico dal movimento dei singoli (numerosi) elementi al movimento della loro totalità o complesso.
Ma, alla fine, sortisce sempre un risultato e, se si chiama questo risultato "effetto" (necessario), ecco che si può chiamare "causa" ciò che lo ha determinato: in questo modo, la causa, come illusoria determinazione diretta di un effetto necessario, prende il posto del caso. Ma la causa assume soltanto dalla presenza dell'"effetto" il crisma della necessità.
Dialetticamente caso e necessità sono opposti polari: la necessità si realizza mediante il rovesciamento del caso nel suo opposto. Causa ed effetto, invece, appartengono allo stesso concetto; entrambi appartengono alla sfera della necessità (come pretesa): l'effetto, come un dato da spiegare, la causa, come spettrale deus ex machina, invocata per rendere ragione dell'effetto stesso che non si riesce a comprendere. seguente...
Tratto da "Il caso e la necessità. L'enigma svelato" Volume primo. Teoria della conoscenza (1993-2012)
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