precedente... Per la comprensione della dialettica caso-necessità è fondamentale chiarire la dialettica singolo-complesso. Il primo passo in questa direzione è stato quello di attribuire il caso ai singoli e la necessità ai complessi. Viene da sé, come conseguenza, che se il complesso contiene un gran numero di singoli elementi, anche la necessità ha per contenuto un gran numero di casi. Così, poiché la materia evolve in molteplici e diverse forme inorganiche e organiche, che si presentano come complessi costituiti di numerosi singoli elementi, la necessità di questi complessi dipende dai singoli elementi stessi, e il caso relativo a ciascuno di essi ha per ambito il complesso di appartenenza.
Ora, se specifichiamo che per assoluto si deve intendere solo ciò che non può evitare di manifestarsi sempre e comunque, ci si può chiedere: esiste un caso e una necessità assoluti? La necessità, in quanto assoluta, si manifesta soltanto nella evoluzione complessiva della materia; e, poiché la materia evolve a partire dalle infinite particelle del big bang, il caso, in quanto assoluto, può essere considerato la condizione tipica di ogni singola particella. Ma l'assoluto caso singolare e l'assoluta necessità complessiva si manifestano nella evoluzione della materia attraverso il caso e la necessità soltanto relativi.
Dialetticamente, l'assoluto della evoluzione della materia si realizza mediante forme materiali complessive, che sono relative a determinati singoli elementi, e ogni singolo elemento manifesta la sua casualità relativamente a un determinato complesso. Perciò, per la teoria della conoscenza, è fondamentale stabilire se esiste un principio assoluto, coerente con la dialettica caso-necessità della evoluzione della materia.
Questo principio esiste e l'abbiamo individuato nella legge del dispendio e dell'eccezione statistica: questa fondamentale legge della natura sta a significare che il dispendio della materia (in una misura mai concepita finora) è relativo agli infiniti singoli elementi di numerosi complessi, e l'eccezione statistica è relativa al sorgere di questi stessi complessi.
Dire che la materia evolve come eccezione di un grande dispendio significa dire che le forme materiali rappresentano delle rarità. Perciò, per semplificare, affermiamo che la legge del dispendio è anche la legge della eccezione statistica. Si tratta dello stesso principio che, per così dire, si manifesta in duplice modo: 1) nella forma materiale che rappresenta una rarità, 2) nel dispendio che si rivela nel serbatoio dei grandi numeri casuali, dal quale è uscita la rarità come eccezione statistica.
Se teniamo presente i rispettivi poli della dialettica caso-necessità e della dialettica singolo-complesso, possiamo conseguentemente affermare che il dispendio riguarda i numerosi singoli elementi casuali e l'eccezione statistica riguarda i complessi necessari che sono, appunto, le forme materiali. La scienza è, perciò, la ricerca della necessità riguardante le forme materiali: ricerca realizzata indagando i modi specifici con i quali si manifesta il dispendio e l'eccezione statistica nella evoluzione reale della materia.
Per questa ricerca è fondamentale approfondire la dialettica singolo-complesso, che non è così semplice come potrebbe sembrare a prima vista: infatti, comprendere che ogni forma materiale è un complesso costituito di singoli elementi, e che al primo compete la necessità e ai secondi il caso, è solo il primo passo. Occorre poi chiedersi: se una cosa è un complesso, i singoli elementi che la costituiscono che cosa sono? Sono elementi semplici oppure sono, a loro volta, oggetti complessi? Più in generale, occorre chiedersi: come si presenta alla nostra mente una qualsiasi cosa? O meglio, come possiamo concepirla senza tralasciare niente di essenziale dal punto di vista della dialettica singolo-complesso?
Partiamo da un qualsiasi oggetto, sia esso una cosa naturale o artificiale. Immediatamente esso ci appare come appartenente a un genere o universo, comune a più oggetti della stessa qualità. Da questo punto di vista, l'oggetto ci appare come singolo elemento di un complesso universale, di un genere. Ma lo stesso oggetto appartiene anche a un complesso specifico, a una specie particolare, del quale costituisce ancora un singolo elemento. E non è finita: lo stesso oggetto, considerato in sè stesso è, a sua volta, un complesso particolare costituito da singoli elementi.
In definitiva, esistono tre modi esaustivi di esistenza di un oggetto naturale o artificiale: 1) come singolo elemento di un genere universale, 2) come singolo elemento di una specie particolare, 3) infine, come, a sua volta, una specie particolare. Poiché la scienza è conoscenza della necessità, ogni ramo della scienza deve stabilire il suo reale oggetto d'indagine dal punto di vista della necessità. Di conseguenza, per la scienza non si tratta d'indagare l'oggetto inteso come singolo elemento di un genere o come singolo elemento costitutivo di un complesso, bensì l'oggetto complesso o specie particolare. Quindi, è l'esistenza della specie particolare che interessa la scienza.
E qui sorge un paradosso oggettivo, perché non si può studiare direttamente l'oggetto complessivo, ma occorre prendere in considerazione la sua costituzione interna. Nel fare questo, però, non si viene a capo di nulla se si pretende, come fa il determinismo riduzionistico, di partire da un singolo elemento del complesso per determinarlo in quanto tale e nei suoi rapporti con gli altri singoli elementi, perché a questo livello domina il caso.
Per comprendere il paradosso appena rilevato, occorre riflettere su quanto segue: la necessità di una qualsiasi cosa è qualcosa che le appartiene solo in conseguenza della sua costituzione interna, ma nessuna cosa ha il pur minimo potere sulla propria costituzione interna. In altre parole, la necessità riguarda la cosa solo come complesso, ma come complesso la cosa non ha alcun controllo sulla sua necessità, in quanto quest'ultima deriva dai costituenti interni della cosa stessa, i cui movimenti sono casuali.
Il paradosso può essere espresso anche nei termin seguenti: considerando la cosa in sé e per sé, essa è solo una singola cosa casuale appartenente a un complesso superiore necessario, mentre se consideriamo la stessa cosa come complesso, essa è la cieca necessità che dipende dalla casualità dei suoi singoli elementi che la costituiscono.
Se prendiamo, ad esempio, una stella: in quanto essa è un corpo celeste a sé stante che si muove nello spazio e che appartiene a una galassia, la sua condizione è puramente casuale e contingente; in quanto essa è, invece, un complesso, la sua necessaria evoluzione dipende dai suoi processi interni che coinvolgono i suoi costituenti, ma questa stella non ha nulla a che vedere e che fare con questi processi interni: essa è solo un risultato ciecamente necessario.
Perciò la scienza, che deve studiare i rapporti ciecamente necessari prodotti dai grandi numeri di elementi costituenti casuali, deve fondarsi sulla dialettica caso-necessità, singolo-complesso, la quale, come vedremo, si riflette nella dialettica probabilità-statistica.
Passiamo ora a considerare un altro aspetto del rapporto singolo-complesso, in relazione alla destinazione delle cose. Partiamo dalla seguente affermazione di Hegel, tratta dalla sua "Enciclopedia": "Tutte le cose sono un genere (che è la loro destinazione e scopo) in una realtà individuale di una particolare conformazione; e la loro finità è che il particolare di esse può essere, o anche non essere, conforme all'universale".
L'interpretazione che diamo di questo passo è che, sebbene la singola cosa sia destinata dal suo genere, la sua esistenza finita può essere, o anche non essere, conforme all'universale. Hegel, però, non ne spiega il motivo. Se riflettiamo su questo possiamo non solo trovare la spiegazione, ma possiamo anche trovare una differenza qualitativa fondamentale tra il comportamento delle singole cose, a seconda che appartengano alla produzione umana o alla natura.
Prendiamo prima, come esempio, una cosa prodotta dall'uomo: possiamo affermare allora che l'universale è qualcosa che riguarda, per necessità, un gran numero di cose dello stesso genere, ad esempio i martelli. Ora, mentre la destinazione e lo scopo di un martello è quello di battere chiodi o altri oggetti, e quindi è utilizzato di norma nelle officine meccaniche, nelle falegnamerie, ecc., un singolo martello può ben essere utilizzato come arma di difesa o per compiere un delitto, ecc. Ogni martello è quindi un universale, ma può anche essere un'altra determinazione che appartiene di norma ad altri oggetti, come coltelli, pistole, ecc. La destinazione di strumento per un determinato lavoro è si universale e riguarda tutti i martelli, ma è valida in assoluto e necessariamente soltanto per il genere, per il complesso dei martelli, mentre per ogni singolo martello questa destinazione è soltanto una possibilità fra le tante, anche di altro genere.
A questo punto dobbiamo, però, fare una precisazione: poiché stiamo trattando una cosa prodotta dall'uomo, non bisogna mai dimenticare che ogni prodotto umano è il risultato del binomio scopo-necesssità, garantito dalla connessione di causa ed effetto. Per questo motivo la maggior parte degli oggetti prodotti dall'uomo, presi singolarmente, assolvono al compito per il quale sono creati, e solo eccezionalmente, ossia per singoli casi eccezionali, non seguono la loro destinazione e vengono utilizzati altrimenti.
L'esatto opposto accade alle cose naturali, che essendo prodotte secondo la dialettica caso-necessità, solo eccezionalmente assolvono al destino del proprio genere, mentre nella maggioranza dei casi singoli esse vanno sprecate. Può sembrare paradossale, ma l'uomo, in quanto è esso stesso un prodotto della natura, preso singolarmente, è sotto il dominio del caso, perciò non segue nella maggior parte dei casi la destinazione assegnatagli dal suo genere, mentre, al contrario, i suoi prodotti artificiali, presi singolarmente, assolvono con maggiore frequenza al compito assegnatogli dal loro genere.
L'uomo produttore, ovvero questo genere la cui principale caratteristica è, come ha dimostrato Marx, il lavoro per la produzione dei mezzi di sussistenza e dei mezzi di produzione, solo in parte lavora. Se calcolassimo i veri addetti alla produzione e alla distribuzione, in tutto il mondo, e qui parliamo della produzione attuale capitalistica, ci renderemmo facilmente conto che i non lavoratori superano di gran lunga i lavoratori, e che una parte notevole di energie viene sprecata.
Ma se consideriamo la coscienza, questa qualità che i filosofi hanno posto sempre in primo piano come attributo specifico della specie umana, le cose vanno ancora peggio. Una coscienza evoluta, che possa essere attribuita come qualità del genere umano alle soglie del 2000, e che quindi possa essere considerata come destinazione di ogni singolo uomo, appartiene ai singoli uomini, oggi, in una misura assolutamente eccezionale. Da questo punto di vista sembra che l'uomo abbia altro da fare che sviluppare la propria coscienza, e che i suoi rapporti sociali non riescano a fare altro che a distorcere la coscienza di ogni singolo uomo.
Ma se vogliamo due esempi significativi, estremi, per mostrare chiaramente la differenza tra il modo di produzione umano e il modo di produzione della natura, prendiamo i martelli e i linfociti: se i primi, come abbiamo visto, partecipano tutti o quasi*, per necessità, alla destinazione e allo scopo per i quali sono stati creati, per cui, qui, la necessità è la regola e il caso è l'eccezione, tutto il contrario avviene con i linfociti: qui la necessità è l'eccezione e il caso è la regola; qui soltanto 1 linfocita su 1 milione rappresenta ogni volta la necessità della risposta immunitaria. Il comportamento casuale di circa mille miliardi di linfociti è l'enorme serbatoio dal quale, ogni volta, soltanto alcune migliaia sono in grado di contrastare l'antigene di turno, mentre per tutti gli altri la necessità si manifesta negativamente come dispendio... seguente
Tratto da "Il caso e la necessità. L'enigma svelato" Volume primo. Teoria della conoscenza (1993-2012)
Tratto da "Il caso e la necessità. L'enigma svelato" Volume primo. Teoria della conoscenza (1993-2012)
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