lunedì 15 gennaio 2018

Lo Stato di diritto o il diritto della classe dominante

Nel suo saggio del periodo più importante dei suoi studi, "L'origine della famiglia, della proprietà e dello Stato" (1884), F. Engels stabilì in modo preciso e sintetico il nesso esistente tra lo Stato e la formazione economico-sociale, e definì il conseguente ruolo dello Stato nelle principali epoche storiche: "Come lo Stato antico fu anzitutto lo Stato dei possessori di schiavi al fine di mantenerli sottomessi, così lo Stato feudale fu l'organo della nobiltà per mantenere sottomessi i contadini, servi o vincolati, e lo Stato rappresentativo moderno è lo strumento per lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale".

Lo Stato, aggiunge Engels, può anche acquisire nuove funzioni, come ad esempio agire da mediatore quando le classi possono avere forze pari, così che di fronte ad entrambe esso può acquisire una certa autonomia. Fino all'epoca moderna, egli osserva: "Nella maggior parte degli Stati storici, i diritti spettanti ai cittadini sono graduati secondo il censo, e con ciò viene espresso direttamente il fatto che lo Stato è un'organizzazione della classe possidente per proteggersi dalla classe non possidente. Così fu nello Stato feudale del Medioevo, dove il potere era commisurato al possesso fondiario. Così nel censo elettorale degli Stati rappresentativi moderni".

Engels affronta la questione dello Stato in un'epoca in cui la repubblica democratica non era ancora compiuta, proprio per non essersi ancora sbarazzata della divisione secondo il censo. Perciò egli sostiene, nel presente saggio, che il riconoscimento del censo "indica un basso grado dello sviluppo. La più alta forma di Stato, la Repubblica democratica, che nelle condizioni della nostra società moderna diventa sempre più una necessità inevitabile, non conosce più affatto ufficialmente la differenza di possesso. In essa la ricchezza esercita il suo potere indirettamene, ma in maniera tanto più sicura. Da una parte, nella forma di corruzione diretta dei funzionari, nella quale l'America è il modello classico, dall'altra nella forma dell'alleanza tra governo e Borsa, alleanza che tanto più facilmente si compie quanto maggiormente salgono i debiti pubblici, e quanto più le società per azioni concentrano nelle loro mani, non solo i trasporti, ma anche la stessa produzione e trovano a loro volta il loro centro nella Borsa". "E infine la classe possidente domina direttamente, per mezzo del suffragio universale".

Engels conclude il suo saggio denunciando una contraddizione permanente, che oggi può essere valutata come una premonizione, in quanto soltanto oggi essa si è completamente manifestata. Si tratta di questo: "Poiché la base della civiltà è lo sfruttamento di una classe da parte di un'altra, l'intero sviluppo della civiltà si muove in una contraddizione permanente. Ogni progresso della produzione è contemporaneamente un regresso della situazione della classe oppressa, cioè della maggioranza. Ogni beneficio per gli uni è necessariamente un danno per gli altri, ogni emancipazione di una classe è una nuova oppressione per un'altra classe".

Ne consegue come cieca necessità che "Quello che è bene per la classe dominante deve esserlo per tutta quanta la società con la quale la classe dominante s'identifica. Quanto più, dunque, la civiltà progredisce, tanto più essa deve coprire con il manto della carità i danni che essa stessa, di necessità, ha generato; deve abbellirli o negarli, in breve deve introdurre un'ipocrisia convenzionale che era sconosciuta sia nelle precedenti forme di società che ai primi stadi della civiltà, e che culmina nella asserzione che lo sfruttamento della classe oppressa viene esercitato dalla classe sfruttatrice unicamente e solamente nell'interesse della stessa classe sfruttata, e se questa non gliene dà atto e perfino si ribella, è questa la più vile ingratitudine verso i benefattori, gli sfruttatori".

La previsione della ipocrisia convenzionale, fatta da Engels, è stata pienamente confermata nel secolo successivo, che ho definito il secolo della menzogna  e del convenzionalismo fittizio, nel quale il "manto della carita" ha coperto la povertà della maggioranza della specie umana, soprattutto nell'ultimo trentennio, con la veste dell'"umanitarismo, sia nella forma teorica dello "sviluppo sostenibile", sia nella forma pratica degli "aiuti umanitari". E chi "non gliene dà atto e perfino si ribella" è solo un ingrato verso tanti e tali benefattori dell'umanità.


 Tratto da "La dialettica caso-necessità nella storia" (2003-2005)

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