Nel breve saggio "Energia", scritto in collaborazione con I. Stengers, Prigogine sostiene che la perplessità che suscita il concetto termodinamico di "degradazione dell'energia" è spiegabile con "la natura complicata della termodinamica, prodotto di tradizioni intellettuali eterogenee". La nozione di irreversibilità, che è derivata da problemi di rendimento delle macchine, "ha prodotto da un lato la tranquilla efficacia del formalismo dell'equilibrio, e dall'altro una concezione profondamente nuova dei processi naturali, che trova espressione radicale nell'idea della morte termica dell'universo". Ma, aggiunge Prigogine: "All'origine comune di questa doppia storia ci sono le macchine termiche e la scoperta che la conservazione dell'energia non basta a rendere conto del loro funzionamento".
Clausius concepì il primo principio della termodinamica, o principio della conservazione dell'energia, come compensazione ideale della conversione di calore in lavoro, in riferimento alle macchine termiche. Nella realtà, però, la compensazione non esiste. Clausius trovò allora una relazione tra la quantità di calore e la temperatura, che chiamò entropia, ed enunciò come secondo principio della termodinamica.
A questo proposito, Prigogine scrive: "Le trasformazioni non ideali subìte da un motore, quelle in cui il calore fluisce verso la sorgente fredda in quantità maggiore di quella imposta dalla relazione di compensazione, appartengono alla classe generale dei "processi irreversibili" produttori di entropia, che conservano l'energia ma sfuggono al bilancio delle conversioni reversibili. L'energia "dissipata" irreversibilmente in calore non è più disponibile per altre conversioni e non può più, in particolare, fornire effetti meccanici utilizzabili".
Queste conclusioni, che appartengono alla scienza della termodinamica, scienza prettamente empirica, vennero, però, generalizate a tutti i processi naturali, e in quella forma "entropica" che non era ancora la soluzione di un problema, ma soltanto la sua impostazione. Scrive Prigogine: "I due princìpi, enunciati da Clausius, il principio di conservazione dell'energia e quello della crescita dell'entropia, si presentano come principi universali, valevoli per la totalità dei processi. La termodinamica si è in tal modo emancipata, da scienza delle macchine è diventata scienza della natura. Tuttavia, ciò che essa afferma della natura, cioè che essa non è capace di descrivere i processi irreversibili se non tramite il fatto che essi fanno crescere l'entropia, altro non è se non l'idea da sempre nota che nessuna macchina è ideale, che tutti i funzionamenti reali sono uniti a perdite irreversibili".
Se l'idea era da sempre nota, ed è semplice nel suo contenuto, perché le complicazioni? L'idea da sempre nota era che ogni macchina funziona, e ogni fenomeno naturale si sviluppa, utilizzando energia con perdite irrecuperabili. Perciò, la questione fondamentale da risolvere rimane quella della restituzione dell'energia dissipata in modo irreversibile, altrimenti prima o poi l'universo si deve fermare come un orologio scarico.
Prigogine vede, invece, un "profondo paradosso" nel fatto "che l'universalizzazione dei due princìpi si è fatta in due sensi opposti: allorché il primo principio attribuisce a tutti i processi una proprietà che la scienza del XVIII* secolo riconosceva solo ai modelli idealizzati, il secondo principio definisce come universale la mancanza stessa di idealità, descritta non più come perdita ma come dissipazione". In altre parole, mentre il primo principio idealizza la conservazione dell'energia, il secondo cerca di rendere ragione della "mancanza di idealità", ovvero della reale perdita nei bilanci energetici delle macchine e dei fenomeni naturali.
Prigogine si chiede ancora : "Come spiegare che l'idea del rendimento reale inferiore al rendimento ideale si sia mutata in un principio universale che assimila l'universo a una macchina non ideale?" Ma non è questa la domanda fondamentale, perché l'universo, per il meccaniscismo ottocentesco, non poteva che essere assimilato a una macchina reale, per la quale il rendimento effettivo è inferiore al rendimento ideale: l'energia cosmica si dissipa realmente. Così, comunque la si metta, si torna sempre al punto di partenza, alla domanda fondamentale posta da Engels.
Allora, il vero fatto da spiegare è: perché una faccenda così semplice, come l'idea del rendimento reale inferiore al rendimento ideale, che applicata all'Universo, diventa l'idea della perdita di energia disponibile, si sia potuta complicare con l'affermazione di un principio che sostiene, invece, l'idea del guadagno di un'entità misteriosa: l'entropia?
Come vedremo in seguito, la soluzione può venire soltanto dalla termodinamica, e sembra che anche Prigogine ne avesse sentore avendo scritto: "Sebbene privo fisicamente di un senso preciso, poiché la crescita irreversibile dell'entropia non è, in modo generale, riferita alla descrizione di processi precisi, fino alla creazione della "termodinamica dei fenomeni irreversibili", il secondo principio costituisce, all'interno della fisica, un segnale, il segnale della presenza di un problema ormai al di fuori dei suoi limiti: l'orientazione intrinseca del tempo nei processi naturali. Nella misura in cui la scienza del XIX intende descrivere la natura stessa e non dei modelli idealizzati di essa, conservativi e reversibili, essa non può ignorare tale segnale, rifiutarne il posto nel tempo. Il secondo principio indica questo posto, ma non lo occupa".
Se qui s'intende che la scienza debba riflettere la natura e non limitarsi a fornire modelli convenzionali, che essa debba, perciò, concepire il reale movimento della materia, allora il secondo principio può essere inteso come difficile questione da risolvere: l'irreversibilità altro non rappresenta che la dissipazione di energia, ma questa dissipazione avviene con modalità da chiarire, e soprattutto avviene nel tempo, o meglio, nei tempi lunghi dell'evoluzione della materia. Perciò, comprendere l'"entropia" significa comprendere l'evoluzione stessa della materia.
Tratto da "La dialettica caso-necessità in fisica" Volume secondo (2003-2012)
Clausius concepì il primo principio della termodinamica, o principio della conservazione dell'energia, come compensazione ideale della conversione di calore in lavoro, in riferimento alle macchine termiche. Nella realtà, però, la compensazione non esiste. Clausius trovò allora una relazione tra la quantità di calore e la temperatura, che chiamò entropia, ed enunciò come secondo principio della termodinamica.
A questo proposito, Prigogine scrive: "Le trasformazioni non ideali subìte da un motore, quelle in cui il calore fluisce verso la sorgente fredda in quantità maggiore di quella imposta dalla relazione di compensazione, appartengono alla classe generale dei "processi irreversibili" produttori di entropia, che conservano l'energia ma sfuggono al bilancio delle conversioni reversibili. L'energia "dissipata" irreversibilmente in calore non è più disponibile per altre conversioni e non può più, in particolare, fornire effetti meccanici utilizzabili".
Queste conclusioni, che appartengono alla scienza della termodinamica, scienza prettamente empirica, vennero, però, generalizate a tutti i processi naturali, e in quella forma "entropica" che non era ancora la soluzione di un problema, ma soltanto la sua impostazione. Scrive Prigogine: "I due princìpi, enunciati da Clausius, il principio di conservazione dell'energia e quello della crescita dell'entropia, si presentano come principi universali, valevoli per la totalità dei processi. La termodinamica si è in tal modo emancipata, da scienza delle macchine è diventata scienza della natura. Tuttavia, ciò che essa afferma della natura, cioè che essa non è capace di descrivere i processi irreversibili se non tramite il fatto che essi fanno crescere l'entropia, altro non è se non l'idea da sempre nota che nessuna macchina è ideale, che tutti i funzionamenti reali sono uniti a perdite irreversibili".
Se l'idea era da sempre nota, ed è semplice nel suo contenuto, perché le complicazioni? L'idea da sempre nota era che ogni macchina funziona, e ogni fenomeno naturale si sviluppa, utilizzando energia con perdite irrecuperabili. Perciò, la questione fondamentale da risolvere rimane quella della restituzione dell'energia dissipata in modo irreversibile, altrimenti prima o poi l'universo si deve fermare come un orologio scarico.
Prigogine vede, invece, un "profondo paradosso" nel fatto "che l'universalizzazione dei due princìpi si è fatta in due sensi opposti: allorché il primo principio attribuisce a tutti i processi una proprietà che la scienza del XVIII* secolo riconosceva solo ai modelli idealizzati, il secondo principio definisce come universale la mancanza stessa di idealità, descritta non più come perdita ma come dissipazione". In altre parole, mentre il primo principio idealizza la conservazione dell'energia, il secondo cerca di rendere ragione della "mancanza di idealità", ovvero della reale perdita nei bilanci energetici delle macchine e dei fenomeni naturali.
Prigogine si chiede ancora : "Come spiegare che l'idea del rendimento reale inferiore al rendimento ideale si sia mutata in un principio universale che assimila l'universo a una macchina non ideale?" Ma non è questa la domanda fondamentale, perché l'universo, per il meccaniscismo ottocentesco, non poteva che essere assimilato a una macchina reale, per la quale il rendimento effettivo è inferiore al rendimento ideale: l'energia cosmica si dissipa realmente. Così, comunque la si metta, si torna sempre al punto di partenza, alla domanda fondamentale posta da Engels.
Allora, il vero fatto da spiegare è: perché una faccenda così semplice, come l'idea del rendimento reale inferiore al rendimento ideale, che applicata all'Universo, diventa l'idea della perdita di energia disponibile, si sia potuta complicare con l'affermazione di un principio che sostiene, invece, l'idea del guadagno di un'entità misteriosa: l'entropia?
Come vedremo in seguito, la soluzione può venire soltanto dalla termodinamica, e sembra che anche Prigogine ne avesse sentore avendo scritto: "Sebbene privo fisicamente di un senso preciso, poiché la crescita irreversibile dell'entropia non è, in modo generale, riferita alla descrizione di processi precisi, fino alla creazione della "termodinamica dei fenomeni irreversibili", il secondo principio costituisce, all'interno della fisica, un segnale, il segnale della presenza di un problema ormai al di fuori dei suoi limiti: l'orientazione intrinseca del tempo nei processi naturali. Nella misura in cui la scienza del XIX intende descrivere la natura stessa e non dei modelli idealizzati di essa, conservativi e reversibili, essa non può ignorare tale segnale, rifiutarne il posto nel tempo. Il secondo principio indica questo posto, ma non lo occupa".
Se qui s'intende che la scienza debba riflettere la natura e non limitarsi a fornire modelli convenzionali, che essa debba, perciò, concepire il reale movimento della materia, allora il secondo principio può essere inteso come difficile questione da risolvere: l'irreversibilità altro non rappresenta che la dissipazione di energia, ma questa dissipazione avviene con modalità da chiarire, e soprattutto avviene nel tempo, o meglio, nei tempi lunghi dell'evoluzione della materia. Perciò, comprendere l'"entropia" significa comprendere l'evoluzione stessa della materia.
Tratto da "La dialettica caso-necessità in fisica" Volume secondo (2003-2012)
Nessun commento:
Posta un commento