Riguardo alla questione dei composti e della divisibilità della materia abbiamo già trattato nella sezione dedicata alla Teoria della conoscenza, raggiungendo il seguente risultato: i concetti di composto e di divisibilità della materia non hanno alcun significato in una concezione evolutiva. Abbiamo, inoltre, visto che nel cosmo esistono due situazioni qualitativamente diverse: gli aggregati di unità già divise (allehit), e i complessi indivisibili (totalitat): i primi che costituiscono, per così dire, la materia prima, o base casuale, per la formazione evolutiva e necessaria dei secondi. In questa parte dedicata alla fisica non ci resta che riprendere il discorso, per mostrare in concreto come sia sorto storicamente l'equivoco del composto e della divisibilità della materia, e perché, ormai, sia arrivato il tempo di deporre questi concetti tra i vecchi arnesi inservibili della storia della scienza.
Se noi consideriamo l'epoca in cui il pensiero scientifico ha concepito la divisibilità della materia e il concetto di composto, il Seicento, possiamo affermare che si trattò di un'epoca dominata dai meccanismi della fisica e dai composti della chimica. Storicamente i primi passi nello studio della materia furono compiuti dai chimici: Boyle introdusse nel 1661 il concetto di "elemento" per sostanze che non potevano essere ulteriormente decomposte. Per i chimici suddividere la materia significava decomporla fino all'elemento chimicamente indivisibile. La materia si presentava, quindi, ai loro occhi, nella forma di composto. La sintesi e l'analisi chimica non potevano procedere oltre la separazione degli atomi e il loro riunirsi in composti molecolari.
Se noi consideriamo l'epoca in cui il pensiero scientifico ha concepito la divisibilità della materia e il concetto di composto, il Seicento, possiamo affermare che si trattò di un'epoca dominata dai meccanismi della fisica e dai composti della chimica. Storicamente i primi passi nello studio della materia furono compiuti dai chimici: Boyle introdusse nel 1661 il concetto di "elemento" per sostanze che non potevano essere ulteriormente decomposte. Per i chimici suddividere la materia significava decomporla fino all'elemento chimicamente indivisibile. La materia si presentava, quindi, ai loro occhi, nella forma di composto. La sintesi e l'analisi chimica non potevano procedere oltre la separazione degli atomi e il loro riunirsi in composti molecolari.
Da allora sono trascorsi alcuni secoli, finché l'avvento della fisica nucleare ha mostrato che gli elementi indivisibili della chimica mutano, trasformandosi l'uno nell'altro, per la cosiddetta decomposizione radioattiva spontanea o provocata artificialmente. La conseguenza fu che anche gli atomi furono concepiti come composti. E, se consideriamo che persino la fisica delle particelle ritiene decomponibili i nucleoni in quark, e non è ancora finita, si deve necessariamente concludere che, sebbene non si riesca a trovare ancora l'elemento ultimo indivisibile, il cosiddetto costituente ultimo della materia, in compenso troviamo una serie interminabile di composti di composti.
Eppure già la decomposizione chimica è qualcosa di diverso, qualitativamente, da una semplice divisione della materia. Prendiamo come esempio una reazione chimica esotermica: Cl2 + H2 = 2HCl + 2x22 Kcal, la quale può essere ottenuta mediante una prima reazione, chiamata reazione fotochimica primaria, che scinde la molecola di cloro in atomi, secondo la seguente equazione: Cl2 + hv = Cl. Che cosa rappresenta hv? Semplicemente l'energia del fotone assorbito che provoca la decomposizione, la quale si manifesta come distruzione della molecola e separazione dei singoli atomi. Viceversa, la combinazione di atomi in una molecola richiede emissione di energia.
Ciò che occorre sottolineare qui è che la molecola contiene meno energia (massa) della somma delle singole energie (masse) dei singoli atomi, i quali, perciò, nella molecola non sono più la stessa cosa di quando sono liberi. Ora, qualunque sia il modo di combinarsi degli atomi e in qualsiasi modo lo si concepisca, alla fine si trovano sempre dei grandi complessi di atomi: i corpi materiali, i quali si presentano in tre stati diversi: solidi, liquidi e gassosi. Ora, questi tre stati sono anch'essi modi diversi di aggregazione della materia che dipendono dai livelli di energia: così lo stato solido contiene meno energia di quello liquido, e quest'ultimo ancor meno energia di quello gassoso.
Se la molecola ha minor energia (massa) della somma degli atomi liberi, lo stato solido della materia ha minor energia (massa) di quello liquido e gassoso. C'è un nesso tra questi due fenomeni apparentemente simili? Il nesso esiste e l'abbiamo già considerato: si tratta del "difetto di massa" che accomuna tutti gli stati di aggregazione della materia, sebbene appaia quasi irrilevante a livello dei corpi macroscopici, modesto a livello molecolare, rilevante a livello atomico, enorme a livello nucleare, quasi incommensurabile a livello subnucleare.
Se consideriamo come punto fermo di ogni stato di aggregazione della materia il "difetto di massa", dobbiamo necessariamente concepire l'aggregato come un complesso che presenta un deficit di energia (massa) rispetto all'energia (massa) ottenuta dalla somma delle sue singole parti. In queste condizioni che significato può avere la divisione del complesso nelle sue parti? Nessuna, perché la cosiddetta decomposizione di una molecola, oppure la cosiddetta scissione dell'atomo, non è una divisione ma una distruzione della forma materiale, del complesso, grazie alla quale i suoi costituenti vengono non solo separati ma ricostituiti. Molecole, atomi, nucleoni, ecc. sono complessi indivisibili, che possono soltanto essere distrutti. Ma la loro distruzione, ottenuta mediante assorbimento di energia, si rovescia nel suo opposto, nella ricostruzione dei complessi sottostanti.
Torniamo ai corpi. Possono essere divisi? E in che modo? Le sostanze corporee terrestri, come un pezzo d'oro o un lago d'acqua, possono essere suddivise finemente fino a un limite estremo, chiamato dispersione molecolare. La differenza tra l'acqua di un lago e la nebbia, o tra un pezzo d'oro e le sue particelle finemente suddivise, è solo nel grado di suddivisione della materia, la quale non può superare il livello della dispersione molecolare (o ionica nel caso dei metalli). Ora, lo stato gassoso è lo stato tipico di dispersione molecolare, ma è anche lo stato prevalente della materia luminosa del cosmo, perciò possiamo concludere che la materia si presenta comunemente già divisa nel cosmo, allo stato gassoso!
Oltre alla dispersione molecolare, ossia oltre alla divisione fisica della materia, entra in campo la reazione chimica che non è solo la chimica terrestre (la quale si arresta alla distruzione e ricostruzione delle molecole, con separazione e ricombinazione degli atomi), ma è ogni forma di reazione termica, termonucleare, ecc. che si verifica nella materia cosmica, e che distrugge e ricostruisce nucleoni, nuclei e atomi: questa chimica cosmica non rappresenta altro che l'insieme dei processi evolutivi della materia inorganica.
In definitiva, due sono le condizioni della materia nel cosmo: 1) l'essere fisicamente divisa (dispersione molecolare); 2) l'essere fisicamente indivisibile, ma soggetta alla chimica della trasformazione evolutiva delle forme materiali. Fino ad oggi i chimici non hanno compreso la differenza tra queste due condizioni: per loro in entrambi i casi si tratterebbe soltanto di decomposizione e ricomposizione rispettivamente di composti e di componenti.
Ora, per la precisione e per evitare qualsiasi equivoco, bisognerebbe distinguere due ambiti: quello fisico che giunge fino alla dispersione molecolare e quello chimico che parte dal quel limite. Nel campo chimico bisognerebbe, perciò, porre anche le attuali branche della fisica atomica, nucleare e delle particelle, e considerare la chimica molecolare come lo stadio ultimo, molto raro, di una evoluzione molto dispendiosa, della materia inorganica, o anche il confine tra la materia inorganica e organica.
Il paradosso è che, invece, si è voluto separare, dalla chimica, la fisica atomica, la fisica nucleare e la fisica delle particelle; e nel contempo si sono ereditati dalla chimica i vecchi concetti di composto e di divisione della materia (che sono inadeguati a comprendere gli oggetti di quelle scienze), invece che rimanere nella casa comune e adeguare i concetti alle nuove scoperte. Così, dominati dal concetto di composto, gli scienziati della natura inorganica non hanno saputo fare altro che concepire le forze di legame secondo la superficiale inferenza che, se qualcosa di separato si unisce in un "composto", i componenti devono essere tenuti insieme da una forza di legame. Risultato: per ogni tipo di "composto" si è coniato un aggettivo qualificativo della "forza": così il nucleo atomico è tenuto insieme dalla "forza nucleare", in maniera non diversa da una soluzione chimica tenuta insieme da una "forza di solvatazione".
Se la scienza umana è il luogo nel quale si cerca di conoscere qualcosa che esiste in qualche sito dell'Universo (e ovviamente il primo sito in tal senso è la Terra), luogo in cui tutto viene disgiunto e separato, così che ogni scienziato può studiare la termodinamica o la fisica delle particelle, ecc., ossia solo uno o pochi determinati oggetti materiali, l'Universo è il luogo in cui tutto è connesso secondo un'evoluzione ciclica della materia, che parte da una origine, ha una sua durata e infine, avrà il suo termine ... per ricominciare tutto da capo.
Per comprendere questa reale evoluzione occorrono concetti nuovi, adeguati e anche un nuovo modo di pensare, che nuovo non è storicamente, ma lo è per la scienza della natura: intendiamo il pensiero dialettico. L'evoluzione può, ma soprattutto deve, essere concepita come un processo contraddittorio, guidato dalla cieca legge del dispendio. L'evoluzione che produce le forme materiali è il risultato del movimento della materia, movimento contraddittorio perché sottoposto alla continua dialettica di repulsione-attrazione.
Il dispendio si manifesta della forma del "difetto di massa" che rappresenta il deficit di energia della forma materiale rispetto all'energia degli elementi che, per dirla alla Hegel, sono tramontati nella forma materiale stessa. Questo deficit è il risultato di una emissione di energia, che equivale a una diminuzione di repulsione cui corrisponde un aumento di attrazione che stravolge l'esistenza indipendente degli elementi e li fa annullare nel complesso. Ma, viceversa, ogni assorbimento di energia, che raggiunga la soglia del difetto di massa, fa prevalere di nuovo la repulsione, la quale provoca la distruzione della forma materiale e l'espulsione degli elementi, ricostituiti nella loro forma originaria.
In conclusione, ciò che alla fisica contemporanea appare ancora come una forza di legame tra componenti, tenuti insieme in un composto, è, invece, il reale prevalere dell'attrazione sulla repulsione che crea un complesso, o forma materiale, nel quale le forme materiali di livello inferiore scompaiono come entità autonome. Poiché, a partire dal Big Bang, la materia si è espansa raffreddandosi con una notevole riduzione della repulsione, ossia con un gigantesco dispendio di energia, la conseguenza è stata un aumento consistente dell'attrazione. Le forme materiali sono il risultato del rapporto polare repulsione-attrazione, del rovesciamento dell'una nell'altra. La Fisica deve rendere ragione di questo movimento polare che non produce forze di legame, ma la mutua azione di repulsione e attrazione; che non produce composti decomponibili e ricomponibili, ma complessi evolutivi soggetti alla dialettica distruzione-costruzione.
Tratto da "La dialettica caso-necessità in Fisica" Volume secondo (1993-2002)
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