Per comprendere come il determinismo si sia rovesciato nel suo opposto, nell'indeterminismo, o, più esattamente, come esso abbia prodotto il suo opposto creando un'antinomia, entro la quale avrebbe oscillato la teoria fisica del '900, prendiamo in considerazione la concezione teorica di uno dei maggiori rappresentanti della fisica quantistica, il suo involontario fondatore: Max Planck.
La concezione di Planck fu inequivocabilmente deterministica, ossia fondata sulla assoluta necessità, garantita dalla connessione di causa ed effetto; ma questo determinismo metafisico dovette fare presto i conti con un'altra concezione altrettanto assoluta e metafisica, fondata sul caso, che scaturì dalle contraddizioni in cui si era avviluppato il determinismo stesso. Dall'inevitabile confronto tra le due concezioni non uscì fuori la reale soluzione del rapporto caso-necessità, ma una soluzione intermedia nell'illusione di fornire ai fisici la possibilità di scegliere, col buon senso, il giusto mezzo, senza però poter evitare che alcuni oscillassero verso il polo della necessità e altri verso quello del caso.
In "Leggi dinamiche e leggi statistiche"** Planck cerca di chiarire quelli che, a suo avviso, sono i metodi con i quali si possono ottenere leggi scientifiche. Punto obbligato della sua riflessione è la considerazione del rapporto caso-necessità: "Sarebbe un errore -scrive- il credere che nel campo delle scienze della natura le leggi abbiano ovunque un rigore assoluto ed il succedersi dei fenomeni sia sempre necessario e non ammetta eccezioni, che al contrario nel campo dello spirito non si possa seguire un rapporto causale senza imbattersi di tratto in tratto nell'arbitrio o nel caso".
In altre parole, i due campi della conoscenza non si distinguerebbero per un differente peso del caso. E questa è un'interessante osservazione. Ma poi aggiunge: "Infatti anche se un pensiero scientifico ha per oggetto le più alte attività dello spirito umano, per poterlo svolgere bisogna ammettere l'esistenza di leggi assolute, superiori ad ogni arbitrio e ad ogni caso, insite nella più profonda natura delle cose". Per lui anche nel campo delle attività dello spirito umano la necessità assoluta prevale sul caso; "e d'altra parte neppure la più esatta delle scienze, la fisica, può evitare lo studio di fenomeni la cui connessione con le leggi per il momento rimane del tutto oscura, e quindi possono essere detti casuali nel senso pieno della parola".
Il determinismo assoluto concede al caso una posizione subordinata, riferibile soltanto a quei fenomeni che, pur definiti causali "nel senso pieno della parola", in realtà appaiono casuali soltanto perché la connessione con le leggi "per il momento rimane del tutto oscura". Il caso, perciò, non sarebbe intrinseco alla natura al pari della necessità, ma sarebbe soltanto il risultato della nostra temporanea ignoranza.
Oggettivista nei confronti della necessità, Planck è soggettivista nei confronti del caso. Come materialista e determinista egli è metafisico in quanto separa la necessità e il caso in due sfere distinte: l'una oggettiva e l'altra soggettiva, in opposizione diametrale assoluta. La natura sarà quindi guidata soltanto da legggi necessarie, mentre il caso è l'arbìtrio prodotto dalla nostra ignoranza. Da questo punto di vista Planck può essere collocato nel filone del determinismo democriteo al contrario di Schrodinger che abbiamo considerato un indeterminista epicureo, con ciò intendendo che la vecchia contrapposizione determinismo-indeterminismo continuava a sussistere dopo più di due millenni.
Riflettendo sul caso degli atomi radioattivi, Planck si chiede: per quale ragione un certo atomo, dopo essere rimasto passivo e invariabile per milioni di anni, esplode rapidamente e improvvisamente, mentre un altro vicino, del tutto simile, rimane invariabile per altri milioni di anni? E ancora, se è vero che la statistica esprime una determinata necessità, per la quale dopo un periodo determinato di anni la metà degli atomi sarà esplosa, come spiegare un comportamento così paradossale? Se egli si pone la domanda, non può però dare la risposta. L'imbarazzante "paradosso" diventerà una pesante palla al piede della fisica teorica che non riuscirà più a liberarsene.
Ora, i fatti sono due: o quella di Planck è una domanda scientificamente valida, anche se non siamo ancora in grado di darle una risposta, oppure l'unica risposta è che il problema neppure si pone, perché a livello del singolo atomo vale sempre e soltanto il caso oggettivo, ovvero sono infiniti i nessi che determinano la durata del singolo atomo radioattivo. Allora, o il caso è soltanto fittizio perché è un prodotto della nostra ignoranza e prima o poi la scienza dovrebbe porvi rimedio, o si può solo dire che esso è un'oggettiva proprietà della materia. Perciò è un falso paradosso l'apparente contraddizione tra il comportamento casuale del singolo atomo e il comportamento statistico di un complesso di atomi radioattivi, essendo questa la reale soluzione.
In "Metodo statistico in fisica", Planck scrive: "Anche la fisica come, molto prima di lei, le scienze sociali, ha imparato ad apprezzare l'importanza di un metodo completamente diverso da quello che studia i fenomeni in modo puramente casuale, e se ne serve con successi sempre maggiori dalla metà del secolo scorso: è il metodo statistico, strettamente legato ai recenti successi della fisica teorica".
E così continua: "Invece d'indagare senza speranza di successo le oscure leggi dinamiche di un fenomeno isolato, ci si limita a radunare le osservazioni fatte su un gran numero di fenomeni di determinata specie e a ricavarne dei valori medi. Da questi valori medi risultano poi certe regole emipiriche che permettono di prevedere lo sviluppo dei fenomeni futuri non con assoluta certezza, ma con la probabilità che confina con la certezza, e non in tutti i particolari ma nel decorso medio, che è quello che più conta nelle applicazioni. Questo metodo in fondo provvisorio (!), potrà non riuscire simpatico (sic!) e non soddisferà la brama di sapere di quegli scienziati che esigono anzitutto una spiegazione dei rapporti causali, ma per la fisica pratica si è dimostrato realmente indispensabile"
Il sofferto apprezzamento della statistica da parte del determinista Planck si limita a sottolinearne l'importanza pratica, perchè, per lui, la teoria è un'altra cosa: è la spiegazione dei rapporti causali, o determinazione delle leggi dinamiche. La brama di sapere può essere soddisfatta soltanto dalla "spiegazione dei rapporti causali". Il determinismo non concede altro. La contrapposizione tra necessità e caso è riflessa come contrapposizione tra due metodi scientifici: il metodo dinamico, fondato sulla necessità del rapporto causale, e il metodo statistico, fondato sul calcolo delle probabilità, ossia sul caso. Però, secondo lui, questi due metodi possono e debbono coesistere, per il semplice fatto che servono ad affrontare processi di natura opposta: i processi reversibili e i processi irreversibili.
In uno scritto precedente ("L'unità dell'immagine del mondo fisico"), dopo aver distinto tra processi fisici reversibili, quali la caduta libera nel vuoto, il movimento dei pianeti, ecc., e i processi irreversibili, quali l'attrito, la conduzione del calore, l'emissione di radiazioni termiche, ecc., Planck era, però, giunto alla conclusione che i primi, presi singolarmente e nel loro complesso, sono solo processi ideali, non esistenti in natura, "perché ogni processo naturale è più o meno accompagnato da attriti o da conduzione di calore". Poi, però, sostiene che i processi reversibili possono essere rappresentati da una legge dinamica causale semplice, il principio di minima azione, che contiene in sé il principio di conservazione dell'energia. Per i processi irreversibili vale, invece, il secondo principio della termodinamica che Boltzman aveva connesso alla teoria dell'atomo in termini statistici.
Scrive Planck: "Secondo l'ipotesi atomica l'energia termica di un corpo non è altro che l'insieme dei movimenti finissimi, rapidissimi e irregolari [ossia casuali] delle sue molecole, l'altezza della sua temperatura corrisponde alla forza viva delle sue molecole, ed il passaggio di calore da un corpo caldo a un corpo freddo è dovuto all'adeguarsi medio delle forze vive delle molecole che continuamente si urtano scontrandosi sulla superficie di contatto dei due corpi". La conclusione che trae è la seguente: "Il fisico che crede alla prova induttiva non può più dubitare: la materia ha struttura atomica, il calore è movimento delle molecole e la conduzione di calore, come ogni altro processo irreversibile, non obbedisce a leggi dinamiche ma a leggi statistiche, cioè a leggi di probabilità (!)".
Dalla lettura di questi passi si ricava una forte impressione sulle difficoltà del determinismo, messo di fronte al fatto che la statistica affronta la maggior parte dei fenomeni reali, lasciando alle leggi dinamiche soltanto qualche fenomeno ideale. Insomma, la statistica ha provato la teoria atomica: i fenomeni e i processi che riguardano atomi e molecole seguono le leggi statistiche! Se tutti i processi naturali sono irreversibili e se i principali fenomeni lo sono a tal punto da non ammettere leggi dinamiche ma soltanto leggi statistiche, come può Planck insistere ancora sulla superiorità delle leggi dinamiche, continuando a considerare quelle statistiche soltanto come provvisorie?
Questa è la principale difficoltà del determinismo che, come vedremo, a forza di dibattersi in contradddizioni insolubili, non farà altro che creare le condizioni favorevoli all'indeterminismo. Non vedendo che il risultato medio statistico ma anche l'eccezione statistica rappresentano la necessità rivelata del fenomeno, ossia la sua legge essenziale, Planck, come la maggioranza dei fisici del suo tempo, ha rovesciato la statistica in probabilistica, ritenendo che essa potesse permettere soltanto previsioni probabili e relativamente incerte. E' l'equivoco, già osservato in Laplace, che si trascina fino ai nostri giorni e che costituisce la base sulla quale poggerà la teoria anarchica della conoscenza.
Planck si giustifica con una pretesa coerenza formale: nonostante che nella realtà (lui scrive, "nella fisica pratica") non c'è da temere che si verifichi un caso contrario alla legge generale della conduzione del calore, "in teoria le cose stanno diversamente. E' infatti chiaro che fra l'impossibilità sia pure estrema e l'assoluta impossibilità c'è un abisso, che può risultare evidente in certe circostanze (sic!)". "Per ciò che riguarda le applicazioni della fisica, queste minime possibilità sono talora da prendere molto sul serio".
E' la vecchia storia esemplificata dalla "minima possibilità" della conduzione del calore in direzione contraria, ossia dal freddo al caldo! E c'è chi si spinge, come fa Reeves, fino ad immaginare la "minima possibilità" della "caduta" del diamante della Torre di Londra nelle tasche di un ignaro passante (sic!). Ma questo genere di ragionamenti va considerato al di fuori della teoria scientifica: chi esprime simile perplessità e incertezze dimostra di non aver capito nulla del reale rapporto probabilità-statistica. I dati statistici, fondati su grandi numeri di singoli eventi casuali, permettono di distinguere al massimo grado la certezza dall'incertezza, la realtà dalla irrealtà, dei fenomeni naturali.
Se poi passiamo alle "minime possibilità" ammesse dalla fisica probabilistica, possiamo citare le considerazioni molto significative di G. Wald, tratte da un suo articolo del 1954, uscito su Scientific American, dal titolo "L'origine della vita": "... facciamo un esempio: ogni fisico sa che esiste una probabilità minima, facilmente calcolabile, che la tavola su cui sto scrivendo si sollevi improvvisamente in aria in modo del tutto spontaneo. Perché ciò si possa verificare basterebbe che alle molecole di cui la tavola è composta, che solitamente, si muovono a caso in tutte le direzioni, capitasse, per puro caso, di muoversi tutte nella stessa direzione. Ogni fisico ammette la possibilità che questo avvenga, ma provate a dirgli che avete osservato un fatto del genere: non molto tempo fa chiesi a un amico, premio Nobel per la fisica, cosa avrebbe risposto se gli avessi detto una cosa simile; egli si mise a ridere e disse che avrebbe creduto più a un mio errore che alla possibilità che il fatto fosse realmente accaduto".
Insomma, si ammette come teoricamente possibile, sebbene in via eccezionale, qualcosa che si ritiene in realtà impossibile! In genere i fisici sbottano di fronte a domande come quella di Wald. Il motivo è facilmente spiegabile: la teoria matematica delle probabilità ha prodotto un risultato apparentemente strano che i fisici non sanno comprendere. Non riescono a capire che il concetto di probabilità vale solo come misura della base casuale (relativa ai singoli elementi) di un fenomeno reale (che si presenta come complesso di elementi).
Insomma, data una tavola, data la conduzione di calore (dal caldo al freddo), ecc., si può utilizzare il calcolo delle probabilità per giungere alle frequenze necessarie. Ma l'inverso non vale: non ha alcun senso reale calcolare in astratto la possibilità che grandi numeri di molecole, seguendo il casuale movimento in tutte le direzioni, finiscano poi per ritrovarsi tutte allineate, casualmente, in un'unica direzione. Il calcolo in questione diventa un puro giochetto matematico, che non può dare la "minima probabilità", intesa come possibilità reale. Nella realtà la possibilità che tutte le molecole si indirizzino in un'unica direzione si tramuterà in realtà soltanto alla fine di un ciclo universale, e non per caso, ma per la cieca necessità del prevalere della gravitazione universale.
Sempre a proposito di eventi dei quali i fisici affermano che sono soltanto molto improbabili, ma non impossibili, vale la pena di citare un episodio comico, raccontato da Edward Teller nel suo libro, "Il lato oscuro della fisica" (1992).
"Durante la Seconda Guerra mondiale avevamo bisogno per il nostro lavoro di separare l'isotopo U235 dal più comune U238. Questa operazione può essere pericolosa e io dovetti studiare come renderla più sicura possibile. Dovetti presentare una relazione dei miei risultati a una commissione militare presieduta dal generale Leslie R. Groves. Mentre presentavo il problema della sicurezza, venivo periodicamente interrotto da una domanda del generale: "Siete sicuro, dottore?" Alla fine un colonnello, che evidentemente non capiva l'entropia, mi chiese se una situazione in cui accidentalmente tutto l'U235 fosse andato in una direzione e tutto l'U238 nella direzione opposta sarebbe stata pericolosa.
Io spiegai che una situazione del genere era come se tutte le molecole di ossigeno della stanza in cui ci troviamo si radunassero sotto il tavolo lasciandoci senza aria per respirare. Allora il generale mormorò: "Dunque voi ammettete che è possibile". Ebbi la tentazione di rispondere, non molto cortesemente, che "se tutte le vostre domande precedenti erano originate da dubbi di questo genere, avrei potuto preoccuparmi molto meno". Ma il dottor Tolman, uno scienziato molto stimato, venne in mio soccorso e disse: "Ciò che il dottor Teller intende dire è che questa circostanza è, in pratica, impossibile".
Il generale, che era un tipo pratico, prese per buona la spiegazione-giustificazione di Tolman; ma se avesse avuto qualche dubbio teorico, avrebbe potuto chiedere: "Ma perché dovete concepire la faccenda nei termini di incertezza probabilistica, ammettendo possibilità "molto, molto, molto" difficili da realizzarsi, quando poi, sbuffando, siete costretti a precisare che ciò vale solo in teoria, mentre nella realtà è assolutamente certa l'impossibilità?"
----
----
*Tratto da "La dialettica caso-necessità in Fisica" Volume secondo (1993-2002)
** Questo scritto e altri che prenderemo in considerazione nel presente paragrafo sono stati pubblicati in "La conoscenza del mondo fisico" (1941) di Max Planck
Nessun commento:
Posta un commento