venerdì 4 gennaio 2019

La possibile fine del capitalismo

Vicino alla fine della mia "carriera" di studioso autodidatta, che ha concepito la senescenza del capitalismo, scopro, grazie a Internet, che esistono studi recenti sul capitale di Marx, che prendono in considerazione la fine dell'egemonia continentale, la fine del capitalismo e altro ancora: argomenti che avevo cominciato ad affrontare con titubanza. Potrei riprendere questi studi partendo dalla prefazione di Riccardo Bellofiore a "La fine del capitalismo. Dieci scenari", 2016, di Giordano Sivini. Come vedremo, sintetizzando molto, l'argomento non è soltanto denso di contenuti complessi, ma è complicato dalla necessità di edulcorare processi economici e politici la cui crisi è foriera di eventi drammatici e persino tragici per la specie umana.

Scrive Bellofiore nella sua prefazione: "La fine del capitalismo. Dieci scenari" di Giordano Sivini è un volume di piccole dimensioni ma di grande utilità. Il libro è, nella sua gran parte, una rassegna del discorso sociologico-economico sul capitalismo, soprattutto recente, al vaglio della questione dell’approssimarsi di una sua ‘fine’, se non di un suo già sperimentato collasso. In capitoli che accoppiano sinteticità a chiarezza espositiva l’autore riesce a dar conto dei caratteri principali della riflessione di alcuni dei pensatori al centro del dibattito odierno sul nodo di una ‘fase terminale’ del capitalismo". Questa è anche l'ipotesi che da anni vado proponendo nella forma marxiana della caduta inarrestabile del saggio medio del profitto, accompagnata da inevitabili conflitti militari, persino nucleari!

Ma vediamo. Così continua la Prefazione di Bellofiore: "Si inizia nel capitolo primo (La fine della storia del capitalismo) con Giovanni Arrighi e Immanuel Wallerstein, della scuola del ‘sistema-mondo’. Si prosegue nel capitolo secondo (L’agonia del capitalismo) con l’elaborazione più recente di Wolfgang Streeck, messa in parallelo con la geografia materialistica di David Harvey in un confronto attorno alla questione del ‘soggetto’. Il passaggio ulteriore, nel capitolo terzo (Il suicidio del capitale), prende di petto sintonie e divergenze nell’arcipelago del marxismo per molti versi eterodosso tra, da un lato, la scuola della ‘critica del valore’, guardando in particolare alla riflessione di Robert Kurz, e, dall’altro lato, alla riflessione di Moishe Postone, l’uno e l’altro propositori di un’uscita dal lavoro. Nel capitolo quarto (Verso la nuova società) viene più decisamente avanti la questione del profilo di un possibile futuro ‘oltre’ il capitalismo, con la considerazione del lungo e differenziato percorso di André Gorz, del discorso sul ‘postcapitalismo’ di Paul Mason, e delle pubblicazioni di Jeremy Rifkin".

A leggere questa sintesi viene da pensare che il saggio di Giordano Sivini sia molto, anzi troppo, denso e complesso, anche se chiaro è il contrassegno di un forte pessimismo proprio a causa della "fase terminale" del capitalismo. Ma Bellofiore scrive ancora: "Il ragionamento di Giordano Sivini non si esaurisce comunque in questa dimensione, nel resoconto ragionato di un dibattito che assume a oggetto l’esaurimento della parabola storica del capitalismo. Vi aggiunge, sia pure per cenni, delle conclusioni e un taglio personale, che peraltro discendono dal modo con cui Sivini ha ordinato il materiale scandagliato con intelligenza. Del punto di vista che pare emergere dal volume, parleremo in conclusione di questa recensione: prima è bene riattraversare il paesaggio che viene tratteggiato nel testo, seguirne le connessioni logiche".

Questa è la presentazione del libro, sul quale torneremo quando sarò in grado di procurarmelo. Per ora anticipo Bellofiore che parla di Salvini che parla, a sua volta, di altri autori a cominciare da Arrighi [Ammetto la mia ignoranza su questo filone di studiosi, dai quali cercherò di trarre -se mi sarà possibile- sintesi fondamentali sul futuro destino del capitalismo.]

Bellofiore continua: "Nel discorso di Arrighi, il capitalismo è cadenzato da grandi fasi, prima di crescita materiale, poi di quella deriva finanziaria che segue al crollo dell’investimento e alla fuga dei capitali. L’evoluzione del capitalismo è inseparabile dalla dimensione statuale, dove Stati sempre più potenti esercitano la loro egemonia sullo spazio dell’accumulazione, centralizzando i flussi dei capitali mobili: una supremazia la cui crisi si esprime nelle fasi di finanziarizzazione dove l’economia mondo si sposta su nuove traiettorie. Così la storia del capitalismo è scandita da quattro cicli sistemici. Nel primo ciclo (la ‘diaspora cosmopolita dei detentori di capitali genovesi’) non vi è una potenza egemone, come negli altri tre cicli (a dominanza olandese, britannica, statunitense). Il quarto ciclo di Arrighi, segnala Sivini, deve sfociare in una ‘crisi terminale’: il monopolio statunitense della violenza dipenderebbe dal consenso di chi controlla la liquidità mondiale; in scritti più tardi Arrighi ha dovuto riconoscere il passaggio dal Giappone e gli Stati dell’Asia orientale alla Cina come nuovo soggetto egemone in potenza. L’egemone in decadenza conserva comunque la sua dominanza in forza del fatto che ‘tutti sono prigionieri’. Vista l’improbabilità del costituirsi di un multipolarismo imperiale, e come possibile alternativa al caos sistemico, Arrighi vede all’orizzonte una società di mercato mondiale. Al suo centro potrebbe collocarsi la Cina, contro le tendenze predatorie del capitalismo, e sviluppando una sostenibilità umana e ambientale. Il discorso si fonda sull’idea che, pur in presenza di capitalisti (a volontà), se lo Stato non è loro subordinato, l’economia è di mercato ma non capitalistica – una concezione che viene attribuita ad Adam Smith."

Insomma, qui si tenta di edulcorare un'analisi che potrebbe tradire la realtà dell'egemonia mondiale, espugnabile soltanto con conflitti mondiali, soprattutto, da quando è sorta una nazione concorrente come la Cina! Ma vedremo in seguito ...

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