venerdì 11 gennaio 2019

Determinismo riduzionistico in biologia: Edoardo Boncinelli e Steven Rose a confronto

Partiamo dal primo autore: nel Marzo 2010,  Boncinelli si domandava, nella sua rubrica sulla rivista "Le Scienze", "Genoma completato?" Pare proprio di no. Nel 2000 fu pomposamente annunciato il completamento del genoma, ma non era esatto. Nel 2003 ci fu un secondo annuncio. "Infine -scrive Boncinelli- nel 2006 fu pubblicata la versione dichiarata definitiva. Ma ancora oggi ci sono numerosi scienziati che ci lavorano. Perché?". Perché se all'inizio si è utilizzata una miscela di DNA di diverse persone, in seguito, "si è verificato che i genomi di individui diversi sono molto diversi fra loro, molto più di quanto si pensasse, e possono contenere anche centinania di migliaia di differenze, piccole e non".

Anche studi successivi hanno dimostrato "l'incredibile eterogeneità esistente tra individuo e individuo o anche all'interno dello stesso individuo". Insomma, sta diventando un lavoro poco simpatico e lungo. Un esempio è "l'enorme regione del nostro cromosoma 6 che contiene  il "complesso maggiore di istocompatibilità" (MHC), che controlla la fattibilità dei trapianti e tante altre cose".

"Da tempo -dice Boncinelli- si continua a studiare, in particolare la sequenza indidividuale di 2000 persone di tutti i continenti. L'operazione promette bene, e presto sapremo anche questi ulteriori dettagli del nostro genoma. Ma resta un problema insolubile. Per sapere quali differenze nucleotidiche sono essenziali e quali no occorrerebbe determinare le sequenze dei genomi di tutti gli esseri umani, presenti, passati e ... futuri. E collegarle alle loro caratteristiche biologiche, normali o patologiche. C'è quindi una sorta di indeterminazione del genoma umano: per conoscerlo occorre analizzare un numero potenzialmente infinito di individui. Altrimenti un margine di incertezza ci sarà sempre: un nuovo principio di indeterminazione?"

Già Hume aveva osservato che ogni individuo rispondeva in maniera diversa all'oppio, senza prendere in considerazione il caso, ma anche senza cercare alcun principio di indeterminazione. L'incomprensione del caso individuale, singolare, è semplicemente un portato del determinismo riduzionistico. E stupisce che Boncinelli, dopo aver tanto insistito a favore di quest'ultimo, scopra un possibile principio di indeterminazione nel genoma umano.

Sarà un caso, ma su Le Scienze del Settembre 2009, un mese dopo la pubblicazione del mio breve saggio ("Chi ha frainteso Darwin?") che trattava anche le staminali e il loro rapporto con la proliferazione tumorale,  Boncinelli scrisse nella sua rubrica un articolo, dal titolo "Quando le staminali sono maligne", dove una delle sue prime dichiarazioni è la seguente: "Da poco però sono comparse anche cellule staminali portatrici di luce sinistra: le cellule staminali tumorali". Ma non sottolineò che è proprio la capacità delle cellule staminali di dividersi continuamente che fornisce la base biologica della malignità dei tumori, quando esse diventano tumorali. E' forse un caso che i tumori della pelle, dell'intestino, ecc. riguardino distretti pieni di cellule staminali per assicurare il continuo ricambio organico dei tessuti? Perciò le CSC (cancer stem cell), cellule staminali tumorali, hanno nella propria forma di esistenza la proliferazione continua: da qui la loro possibile malignità.

Sebbene Boncinelli sia consapevole che "Il modello spiegherebbe bene non tanto e non solo la genesi di una forma tumorale, quanto il suo mantenimento e la sua eventuale recidività nel tempo, nonostante le cure e i trattamenti chemioterapici", appare insoddisfatto, tanto insoddisfatto da aggiungere che l'esistenza di queste cellule staminali tumorali leucemiche sono ben documentate, ma c'è "tra gli esperti del campo una notevole disparità di vedute riguardo alla loro effettiva esistenza e applicabilità ai tumori solidi, almeno ad alcuni, del modello delle cellule staminali tumorali". Il perché di questa reticenza ce lo spiega il capoverso successivo e finale dell'articolo: "E' chiaro che la cosa è della massima importanza, perché investe la questione del miglior trattamento delle diverse forme tumorali. Speriamo che la cosa si chiarisca presto, anche perché questo clima di incertezza non fa che aumentare il grado di confusione che circonda tutto ciò che riguarda le cellule staminali. E non ce n'è proprio bisogno". In parole povere, sulla questione Boncinelli era completamente all'oscuro e, soprattutto, dispiaciuto perché non favoriva il riduzionismo.

 
E, infatti, su Le Scienze di Aprile 2014 possiamo appurare che egli non rinuncia al suo beneamato riduzionismo. Questa volta è il titolo stesso ad essere evidente: "In uno stormo di uccelli migratori il movimento dei singoli condiziona il gruppo". Il termine "condizionare" è però generico, e, come vedremo, nella descrizione del volo ci sta persino l'opposto: e cioè che il movimento del "gruppo" condiziona il movimento dei singoli. Insomma, qui riduzionismo e olismo si fronteggiano, per così dire, alla pari. Ma Boncinelli ci tiene a stabilire, fino dall'incipit, il peso del riduzionismo sulla scienza moderna. Infatti scrive: "La scienza moderna è pesantemente fondata sul riduzionismo, sui cui meriti però non sono tutti d'accordo. Effettivamente, spiegare le cose complesse osservando il comportamento di quelle più semplici che stanno sotto e le sostengono si è rivelato eccezionalmente utile."

Dopo questa premessa alla quale si potrebbe obiettare la genericità del termine "sostenere" e dei termini "sopra" e "sotto", l'autore, per dare man forte al suo beneamato riduzionismo, così continua: "Mi è capitato però di sentire qualcuno che invocava il modo di volare in formazione degli uccelli migratori come un controesempio. Qua non sarebbe quello che sta sotto che spiega quello che sta sopra, ma al contrario sarebbe l'insieme degli uccelli che volano in formazione a porre condizioni al volo stesso". In questo esempio di certo c'è solo il volo in formazione che è un processo complessivo. Poi si possono fare "esperimenti": "L'esperimento è consistito nel seguire in dettaglio il movimento di singoli uccelli che volavano in formazione, e il risultato è chiaro. L'uccello che vola dietro un altro cerca di tenersi alla distanza giusta e di battere le ali con una sfasatura definita rispetto al primo, in modo da trarre profitto dallo stare dietro ed evitarne gli svantaggi".

Trarre profitto? Evitare gli svantaggi? Ma di chi stiamo parlando? Forse di singoli individui coscienti? Se il volo è precisamente in formazione, a parte la prima fila e l'ultima, ovunque gli uccelli, presi singolarmente, sono contemporaneamente davanti a uno di una fila e dietro a uno di un'altra; ma non è finita, occorre aggiungere ancora, i due singoli uccelli, posti ai fianchi, per cui dovrebbe essere sperimentalmente impossibile stabilire le cause singole e gli effetti singoli di ogni singolo uccello partecipante al complessivo volo in formazione. Ma Boncinelli ci assicura che: "Nessuno può sapere quanto c'è di istintivo e quanto di appreso in questa complessa [e soprattutto complessiva] operazione, ma tutto funziona come se fosse il movimento dei singoli componenti dello stormo a condizionare il procedere di quello e non viceversa. Un'altra spiegazione riduzionistica quindi, anche se si tratta di un riduzionismo di portata limitata".

Il "come se" non è però una garanzia né a favore del riduzionismo né a favore dell'olismo. Tant'è che un olista potrebbe concepire la cosa nei termini opposti: "tutto funziona come se fosse il movimento dello stormo a condizionare il comportamento dei singoli uccelli". Infine, per dare man forte al proprio convincimento riduzionistico, Boncinelli si affida al sommo poeta, non prima, però, di aver scritto un brano nel quale riduzionismo e olismo si confondono tra loro. Non ci resta che passargli la parola:

"Spesso molti uccelli migratori volano in formazione, cercando di massimizzare il risultato degli sforzi individuali [dunque sono i singoli a conformarsi al complesso!]: questo risultato lo ottengono ottimizzando la distanza di uno dall'altro e lo sfasamento del loro battito d'ali in modo da essere agevolati al massimo dal volo dell'uccello che precede senza esserne al contempo danneggiati [ecco una semplice descrizione presa come spiegazione ad hoc, confermata anche nel proseguo]. In effetti l'uccello che sta avanti lascia una scia d'aria in movimento, che per qualche metro spinge verso l'alto e dopo verso il basso. Ebbene, l'uccello che viene dopo deve prendere qualcosa della spinta ascensionale, ma non della spinta verso il basso. Deve volare quindi a una certa distanza da quello che lo precede e battere le ali in un'opportuna controfase rispetto a quello".

Pare proprio di vederli, sotto i nostri occhi, tutti questi singoli uccelli e magari di poterli interrogare riguardo alla loro accortezza di piloti. Ma non potendo farlo, il riduzionista Boncinelli è costretto a chieder lumi ad un "esperto", il sommo poeta:

"E come i gru van cantando lor lai, 
faccendo in aere di sè lunga riga,
così vid'io venire traendo guai,
ombre portate da la detta briga",

dice Dante nel canto di Paolo e Francesca".

Dice Dante ... appunto... Ma che incredibile passo indietro nel tempo occorre fare per rimanere abbarbicati al riduzionismo!

------------------------------------------------------------------------


E adesso passiamo a Steven Rose

Sintetizziamo le sue seguenti riflessioni. Il primo aspetto da considerare è che "Più una persona è anziana, maggiore è la probabilità che coloro che gli erano vicini -familiari e amici- siano morti, accrescendo il suo senso di solitudine". Inoltre la pensione, la perdita del lavoro (fuori casa) è "una minaccia al proprio senso di autostima". E ancora: "E' plausibile che l'effettiva riduzione della sensibilità del cervello e delle risposte agli stimoli esterni renda la vita mentale privata più importante, nel momento in cui ci si affida all'ausilio della memoria per fare l'inventario della vita che si è vissuta".

"Il cervello che invecchia". Se tutti gli organi invecchiano con conseguenze sulle loro funzioni, il primo organo da considerare è il cervello. E qui scopriamo un paradosso che si potrebbe sintetizzare così: qualsiasi organo ben "allenato" produce risultati che neppure la primavera dell'età è in grado di garantire senza allenamento. Un altro apparente paradosso posso trovarlo nel seguente passo che mi riguarda personalmente: tra i 50 e i 65 anni ho prodotto la mia opera in 5 volumi su Teoria della conoscenza, Fisica, Biologia, Storia e Storia della Globalizzazione. Ma ecco che cosa scrive Rose: "Ciò che accade è che il cervello si contrae con l'età in media entro la popolazione europea addirittura del quindici per cento tra l'età di 50 e 65 anni"! Si può immaginare la mia sorpresa quando lessi questa affermazione, qualche tempo dopo aver prodotto la mia opera. E' evidente che non è la sola quantità di neuroni che conta.

Tralascerò l'invecchiamento degli organi, che come settantenne si sta già manifestando da tempo, tratterò invece l'aspetto principale dei segni dell'invecchiamento cerebrale che posso verificare anche su me stesso.  Scrive Rose: "con il passare degli anni si realizza un aumento nella vastità e nella complessità del linguaggio, ma cresce anche la frequenza di errori, di parole dimenticate e di sbagli nella denominazione degli oggetti. In generale, l'invecchiamento può essere associato a un rallentamento nella capacità di apprendere cose nuove, o una perdita di adattabilità a nuovi contesti (il che vale sicuramente per me) ma anche a migliorare strategie per ricordare capacità e abilità apprese in passato."

In definitiva il deterioramento della memoria è qualcosa che spinge, soprattutto uno studioso, a prendere provvedimenti. Per chi scrive il principale provvedimento è stato riportare sintesi dei miei studi su fogli o su schede di computer come sto facendo anche in questo momento. Del resto il lavoro di studio è sempre accompagnato da sintesi e riassunti. Infine, per esperienza personale, posso dire che in vecchiaia si può perdere molto tempo anche a ricercare una parola "perduta", oppure materiale di studio accumulato e messo da qualche parte. Ma alla fine tutto torna, tutto o quasi si ritrova, basta non perdersi d'animo.

Rose sottolinea gli aspetti principali del decadimento della memoria con la vecchiaia, utilizzando anche la propria esperienza personale, come quando parla del veloce cambiamento tecnologico e sociale  che disorienta l'anziano. Un esempio che cita è quello delle tecniche di laboratorio imparate da studente, che oggi sono praticamente sparite dai laboratori. Ma le note più dolenti sono quelle che riguardano le malattie del cervello, ossia le neurodegenerazioni, come nel caso del morbo di Parkinson e del morbo di Alzheimer. Riguardo a quest'ultimo scrive: "Si dice che all'età di 80 anni una persona su cinque sia affetta"  da questo morbo. E così abbiamo introdotto un nuovo argomento particolarmente drammatico.

Tentativi di trovare soluzioni all'Alzheimer

Rose giunge alla seguenti conclusioni: "Nel corso di questi sette capitoli ho argomentato che possiamo comprendere il presente solo nel contesto del passato. La storia evolutiva spiega come siamo arrivati ad avere i cervelli che possediamo oggi. La storia di sviluppo spiega come emergono le persone individuali; la storia sociale e culturale fornisce il contesto che vincola e modella quello sviluppo; una storia di vita individuale plasmata dalla cultura, dalla società e dalla tecnologia si conclude con l'invecchiamento e alla fine con la morte".

Apro una parentesi: le conclusioni di Rose hanno stimolato in chi scrive un'idea peregrina, così esprimibile: se la maggioranza degli esseri umani è plasmata dalla cultura, dalla società e dalla tecnologia del proprio tempo, nessuno può essere in grado di valutare la realtà da queste determinata. Perciò, forse, quel che è successo a chi scrive, essere stato messo completamente da parte dalla società, gli ha permesso di guardare la realtà dal di fuori senza esserne condizionato e plasmato. Così ha potuto valutare la torre di Babele della comunità scientifica con i suoi errori teorici che nessuno dei suoi abitanti invece, plasmati fin dai banchi delle università, può non solo comprendere ma neppure immaginare.

Nel capitolo ottavo, Rose annota giustamente: "la ricerca della "verità" sul mondo naturale non può essere separata dal contesto sociale in cui viene condotta. Nonostante la loro riluttanza ad ammettere che il nostro lavoro è pertanto intessuto di ideologia, nondimeno tutti gli scienziati naturali concedono che il nostro spiegamento di domande e riposte, quella capacità che genera gli esperimenti produttivi, è sia resa possibile che vincolata dalle tecnologie disponibili"...

Questo è vero, però non va dimenticato che nella storia sono rimaste false concezioni dure a morire, come il determinismo (il rapporto di causa-effetto) in relazione ai processi naturali. E queste false concezioni sono rimaste incollate alla teoria della conoscenza, perchè filosofi e scienziati non sono riusciti a superare la millenaria contrapposizione tra il caso di Epicuro e la causa di Democrito.

Steven Rose prova a collocare il problema nella storia del pensiero a partire da Cartesio: "Lo stesso Descartes deve aver riconosciuto che il suo dualismo era un compromesso scomodo e pericoloso, ragion per cui si trattenne dal pubblicare gran parte del suo lavoro nel corso della sua vita, per timore di soccombere a un destino analogo a quello di Galileo. La nascita della neuroscienza richiese di strappare il controllo dell'anima e della mente dalle mani dei teologi e dei filosofi, una lotta per il potere che occupò il periodo compreso tra Descartes e i fisiologi materialisti radicali del XIX secolo. Willis e i suoi contemporanei accortamente presentirono la possibile accusa che una descrizione materialista del cervello avrebbe spianato la via all'ateismo.

Questa fu esattamente l'accusa lanciata contro (e accolta da) i materialisti radicali come La Mettrie verso la fine del XVIII secolo, quando Spinoza e i suoi seguaci stavano insistendo sulla natura unitaria e deterministica dell'universo. Tale panteismo fu interpretato come affine all'ateismo e procurò a Spinoza la scomunica da parte della comunità ebraica in Olanda".

Ma Spinoza teneva separata la mente dal cervello, cosa che continuò in seguito grazie a filosofi che si dichiaravano materialisti pur privilegiando la mente sul cervello. Rose osserva che anche i più razionalisti tra i filosofi del Settecento provavano quasi una forma di rispetto e riverenza nei confronti della mente. Dice che specialmente nella tradizione inglese si parla di "filosofia della mente senza fare alcun riferimento al cervello". Certo, una cosa è il cervello, l'organo della mente, altra cosa sono i prodotti della mente: i concetti, i ragionamenti, ecc., ma Rose si preoccupa di sottolineare l'atteggiamento di indipendenza dello studio della mente dal cervello. A mio avviso una cosa, comunque, è lo studio delle idee e dei concetti, altra cosa è lo studio della mente come prodotto di un organo: il cervello, che può avere malattie con conseguenze imprevedibili sulla stessa produzione di idee e concetti.

A questo punto Rose specifica: "Certamente nessuno ai giorni nostri affermerebbe che il cervello e la mente non sono collegati, ma piuttosto che i loro distinti linguaggi, i loro termini di riferimento, sono così separati che è vano tentare di correlare, poniamo, il concetto di "agentività umana" con il materialismo meccanicista riduzionista di coloro che vorrebbero eliminare il "mentale" dal discorso. Ma tale implicito dualismo è sempre meno in voga e ha scarse possibilità di sopravvivere al continuo progredire del lavoro dei neuroscienziati. Quindi, ritornando alla storia post-cartesiana, per tutto il XVII secolo e a dispetto dei filosofi, le idee meccaniciste invasero la biologia guadagnando sempre più credito, sotto lo stimolo offerto dagli sviluppi avvenuti in altre scienze".

Rose si lamenta, però, della situazione attuale della sua scienza. Scrive: "L'impegno su scala mondiale che è stato riversato nelle neuroscienze sta producendo una indigeribile massa di dati a tutti i livelli". "L'empirismo non è sufficiente. Semplicemente siamo attualmente privi di una cornice teorica in cui poter sistemare questa montagna di dati. Siamo, mi sembra, ancora intrappolati all'interno del modo di pensare meccanicista e riduzionista entro cui si è formata la nostra scienza. Imprigionati come siamo, non riusciamo a trovare un modo per pensare coerentemente in termini di livelli e di dimensioni molteplici, per incorporare la linea temporale e la dinamica dei processi viventi nella nostra comprensione delle molecole, delle cellule e dei sistemi."

"Qualche anno fa, -egli ricorda- a un simposio sul riduzionismo nelle scienze biologiche, mi sono scontrato con l'illustre filosofo Thomas Nagel sulla questione dei livelli di spiegazione. Sostenendo il primato delle spiegazioni riduzioniste, Nagel suggeriva che mentre i resoconti di livello più elevato, come quelli mentalistici, potevano descrivere un fenomeno, solo quelli riduzionisti "di livello più basso" potevano spiegarlo. In molti casi, i resoconti di livello inferiore sono descrittivi, mentre quelli di livello superiore esplicativi". Capisca chi può.

"Spiegare il cervello, curare la mente?"

Qui Rose mette subito in campo il declino cognitivo che, come abbiamo già visto, inizia a 50 anni, ma più marcatamente dopo i 65. Posso dire, già, per esperienza personale che, dedicando oltre 10 ore al giorno a studi molto complessi di teoria della conoscenza,  fisica,  biologia e  storia su quasi un migliaio di libri, il declino, in quella fascia d'età, non l'ho notato affatto, anzi la capacità di apprendimento, di comprensione e di critica del mio cervello è molto migliorata. Naturalmente, per concludere questa nota personale, posso anche aggiungere che verifico su me stesso, da diversi anni, un declino della memoria a breve, con dimenticanze imprevedibili di breve momento che mi stupiscono, ma che l'esercizio continuo riesce a contenere.

Ciò che in genere gli studiosi del cervello, compreso lo stesso Rose, non dichiarano apertamente è che l'oggetto del loro studio è lo stesso oggetto che permette loro di studiarlo. Se si affermasse una volta per tutte: col mio cervello e grazie al nutrimento di libri, al sostegno di riflessioni, di idee maturate in studi di lunga durata, posso arrivare a concepire questo e a negare quest'altro, ecc, così facendo, risulterebbe chiara, ad esempio, la contrapposizione tra un Rose e un Boncinelli sulla questione del riduzionismo. Sta di fatto che, oggi, un autodidatta, con la sua dialettica caso-necessità,  ha inficiato sia la vecchia idea del determinismo riduzionistico, sia la più recente idea dell' indeterminimo.

Ma se torniamo al calo della memoria, un deficit dovuto all'età o ad altre circostanze quali costituzione psicofisica, malattie varie d'ogni genere, comprese, ovviamente quelle psichiche, dobbiamo anche considerare l'opposto dialettico: l'eccesso di memoria, la memoria inesauribile e irrefrenabile, come quella di Shereshevhii citato da Rose. "Questa incapacità di dimenticare gli rese impossibile intraprendere una carriera diversa da quella di esecutore di esercizi di memoria". Questo dice Rose per poi aggiungere: "Desideriamo davvero il potenziamento cognitivo?"

La mia risposta personale è che certi ricordi si preferirebbe cancellarli, o meglio, si preferirebbe cancellare quelle azioni e quei pensieri personali del passato che non smettono di tormentarci tornandoci alla mente. Personalmente, con la vecchiaia, provo a combattere sia contro le dimenticanze temporanee del momento che attirano scontentezza e rimbrotti da parte di chi mi sta accanto, sia contro vecchi ricordi brutti,  soprattutto drammatici, che mi tornano alla mente come ospiti sgraditi.

Ma riportiamo la mente nei ranghi: nel capitolo 11 troviamo un titolo significativo: "Il prossimo grande passo?", con le seguenti considerazioni iniziali: "I potenziatori cognitivi e il Ritalin esemplificano due caratteristiche importanti della società psicocivilizzata entro cui ci muoviamo: da un lato il suo essenziale individualismo, dall'altro i suoi metodi sempre più sofisticati di controllo e di coercizione apparentemente non violenta". E riguardo allo sviluppo tecnologico della neurologia Rose scrive: "A quanto mi sembra vi sono due grandi mete verso cui sono dirette le tecnologie. La prima è quella di prevedere i possibili comportamenti futuri o intenzioni attuali a partire dai dati genetici, neurochimici o di neuroimaging. La seconda è di modificare o indirizzare quel comportamento mediante un intervento diretto".

Così salta fuori il problema dei problemi, "risolto" il quale gli esseri umani  cadrebbero in balia di qualsiasi potere istituzionale, collettivo, ma anche individuale: si tratta della possibilità di "Leggere la mente". In questo paragrafo Rose si interessa del seguente problema: semplificando, esistono espressioni individuali che smascherino l'individuo, nel senso di evidenziare i suoi reali sentimenti, le sue reali intenzioni? Col brain imaging si può scoprire "se una persona sta intenzionalmente mentendo?" oppure "si può distinguere i ricordi "falsi" da quelli "veri"?"

E sulla lettura del pensiero scrive: "Sicuramente non è stato solo il mondo del commercio ad aver manifestato entusiasmo. Per lungo tempo i servizi segreti militari si sono interessati alle prospettive e alle possibilità di mettere a punto tecnologie per leggere la mente e controllare il pensiero". "Vi sono anche speculazioni circa l'ipotesi di un futuro impiego della "lettura del  pensiero" o della "telepatia sintetica" come strumento di comunicazione tra gli agenti o le forze speciali" ecc. ecc.

Ma a fronte di questi pericoli possiamo tranquilizzarci con le seguenti riflessioni di Steven Rose: "Che le microonde e i campi magnetici pulsanti possano disorientare è evidente. Che la tecnologia potrebbe essere perfezionata per consentire l'azione a distanza è presumibilmente una prospettiva, per valutare la quale avrei bisogno di conoscenze di fisica migliori di quelle che possiedo. Ma l'ipotesi che una tecnica siffatta sarà sufficientemente ben controllata da consentire l'inserimento e la manipolazione a distanza di pensieri e intenzioni specifiche in particolari individui resta a mio giudizio un'impossibilità neuroscientifica. Sarebbe meglio tentare con la telepatia -e non crediate che in ambito militare non sia stato fatto!

La stimolazione magnetica transcraniale rimane un intrigante strumento di ricerca con un possibile, anche se non dimostrato potenziale terapeutico. Resto dubbioso circa il suo futuro impiego come mezzo per violare i diritti umani o specificamente per manipolare il pensiero, non perché ingenuamente mi fidi dellle buone intenzioni dei ricercatori che lavorano sotto la direzione del DARPA, ma perché in generale sono convinto che il cervello non funzioni in quel modo e che, purtroppo, per il futuro che possiamo prevedere, vi saranno probabilmente strade più efficaci per perseguire perfino il più sinistro degli obiettivi".

Possiamo concludere con l'intelligenza artificiale, sulla quale, scrive Rose: "L'approccio odierno all'"intelligenza artificiale" risale in realtà al matematico Alan Turing e ai crittografi di Bletcheley Park della seconda guerra mondiale. Poco prima di suicidarsi nel 1950 e all'inizio dell'era del computer, Turing propose il suo famoso test per determinare se un computer possedeva o meno una coscienza". Problema questo, a mio avviso, che poteva sorgere soltanto in una mente matematica contemporaneamente autistica. E ancora: "Dal 1950 la creazione di una macchina capace di superare il test di Touring è diventato il Santo Graal per generazioni di ricercatori impegnati nello studio di ciò che essi chiamano intelligenza artificiale".

Ma, dopo mezzo secolo di incredibile sviluppo dei computer, l'I.A. è, ancora, lettera morta. Però, il vero paradosso da nessuno neppure intuìto è che la mancanza di intelligenza concettuale, tipica di menti autistiche matematiche, ha preteso risolvere proprio ciò che a loro mancava, la vera intelligenza umana, illudendosi di poterla applicare alle macchine. Infine, si potrebbe concludere con quest'ultima beffa della stupidità umana, se non fosse che, abbastanza di recente, l'etica ha acquistato un ruolo importante in un mondo neurocentrico. Scrive Rose che oggi le tecnologie di controllo sociale sono molto più avanzate di quelle al tempo del Grande fratello, dal titolo "1984" del libro scritto da George Orwell nel 1948. Ed è con sottile ironia che osserva: "Come per il controllo del pensiero, in un mondo in cui i mass media, televisione, radio e giornali sono nelle mani di poche imprese globali gigantesche e spietate, forse la stimolazione cerebrale transcraniche non può aggiungere granché".

"Come continuo a sottolineare, la natura dialettica della nostra esistenza come esseri biosociali implica che le nostre tecnologie aiutano a dar forma a quello che siamo, ristrutturando i nostri stessi cervelli; quando cambia la tecnologia, cambia anche la concezione che abbiamo di noi stessi come persone, la nostra concezione di che cosa significhi essere umani". Come non essere d'accordo!

Infine, la responsabilità dei nostri atti può essere attribuita ai geni? Certamente no! Afferma Rose che scrive: "Negli anni Cinquanta era diventato di moda affermare che molti atti criminali fossero la conseguenza di un'infanzia di povertà e abusi. Esiste qualche differenza logica tra dire: "Non sono stato io, sono stati i miei geni" e "Non sono stato io, è stato il mio ambiente"? Direi di no. Se abbiamo la sensazione che tale differenza esista, è perché siamo tacitamente affezionati all'idea che le cause "biologiche" siano più importanti, in qualche modo più determinanti, in un certo senso, di quelle "sociali". Questa è la trappola del determinismo biologico". Come non dargli ragione, anche questa volta!

                                                                        _ _




Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...