mercoledì 5 dicembre 2018

L'aurea mediocrità di Aristotele e le manifestazioni della debolezza umana di fronte all'improvviso caso imprevedibile

E' nota la via di mezzo aristotelica tra due estremi, ad esempio: tra viltà e temerarietà c'è il coraggio, tra avarizia e  prodigalità c'è la liberalità, tra ignavia e bramosia c'è l'ambizione, tra umiltà e orgoglio c'è la modestia, ecc. Ma, spesso, il risultato è il passaggio da un estremo all'altro, perché, come dice Aristotele: "Chi è cosciente di trovarsi a un estremo chiamerà virtù, non la posizione media, ma l'estremo opposto". Ed è per questa ragione che, spesso, il coraggioso può essere considerato un temerario dal codardo e un codardo dal temerario.

Aristotele fornisce una lunga descrizione, quasi un catalogo dell'uomo del "giusto mezzo". Per il nostro scopo possiamo limitarci alle seguenti conclusioni: "Egli è il migliore amico di se stesso ed ha il piacere di star solo, mentre la persona priva di virtù o di capacità è il peggior nemico di se stesso e teme la solitudine". In questa conclusione troviamo, infatti, un elemento fondamentale che ci aiuterà a capire e risolvere l'intera questione: si tratta del termine "capacità".

Riprendiamo come esempio i due estremi: viltà e temerarietà, il cui giusto mezzo si dovrebbe  manifestare come coraggio. Può anche accadere, però, che gli estremi si rovescino l'uno nell'altro: così il vile si fa temerario (magari solo per dimostrare a se stesso di poter dominare la paura), e, viceversa, il temerario diventa vile (magari dopo qualche esperienza molto paurosa finita male). Ora, su che cosa possiamo fare affidamento per sottrarre i due estremi al caso della diversa costituzione psicosomatica o al caso dei diversi accidenti della vita?

C'è qualcosa che accomuna gli estremi senza dipendere soltanto da contingenze casuali? La risposta è affermativa: in comune essi hanno la risposta stereotipata a eventi che non sono conosciuti o per i quali non si ha alcuna esperienza nel fronteggiarli. Ad esempio, chi non conosce l'essenza di un pericolo può vederlo dappertutto ed essere un vile, oppure può non vederlo affatto ed apparire un temerario (per non parlare delle diverse sfumature).

Ma se il pericolo è conosciuto, allora non è più una questione di viltà o di temerarietà e neppure di coraggio. Chi non sa nulla facilmente oscillerà tra due estremi, però, con molte sfumature; e comunque ogni oscillazione dipenderà piuttosto da circostanze casuali che favoriscono ora questo ora quest'altro atteggiamento. Così, quando tutto sembra rivoltarsi contro, è facile scivolare nella codardia o, almeno, nell'eccesso di prudenza; quando, invece, si ha il vento in poppa e tutto fila liscio, senza intoppi e pericoli è facile diventare temerari. Ma come sono contingenti e di breve durata queste cose! Come spesso si rovesciano nell'opposto! Così che il codardo ritrova talvolta un pò di quel coraggio che il temerario incallito, viceversa, comincia a perdere. Naturalmente stiamo qui parlando di chi si affida al caso delle circostanze non volute, ovvero di chi Aristotele giudicava privo di virtù e capacità.

Per arrivare alla soluzione, ossia per comprendere la soluzione dialettica, facciamo un'altra deviazione: prendiamo un esempio in apparenza edificante: il caso di interventi di salvataggio di persone in pericolo, a rischio della propria vita: cioè, quando il salvataggio è un'azione umanitaria, attuata da persone comuni che possono solo improvvisare. In questo caso, lo sprovveduto che si getta in soccorso può peggiorare la situazione rischiando la propria e l'altrui vita. E' perciò un temerario perché non conosce, per inesperienza, né la situazione nella quale interviene né il proprio comportamento in tale situazione. Quando, invece, il salvataggio è attuato da esperti, competenti, ad esempio della protezione civile, allora non si tratta più di temerarietà e neppure soltanto di coraggio, ma di capacità, di conoscenza, di esperienza in un'attività concepita e svolta come mestiere.

Allora il punto fondamentale, la soluzione, consiste in ciò, che la conoscenza e l'esperienza permettono quella capacità di pensare e riflettere rapidamente in frangenti pericolosi, in quegli stessi frangenti che riducono la normale attività cerebrale degli inesperti: ed è questo il terreno nel quale l'uomo comune, privo di conoscenza ed esperienza può oscillare tra i due estremi di viltà e di temerarietà, con rare dimostrazioni di coraggio, se così può essere chiamato il coraggio dettato dalla disperazione).

Insomma, è solo in situazioni sconosciute, gravi, che limitano la capacità di giudizio e riflessione, oppure nella vita di tutti i giorni, nella routine rotta improvvisamente da eventi imprevedibili e impensabili, che le persone entrano in quell'ordine di cose che favoriscono reazioni vili o temerarie, manifestazioni estreme di esistenza, per le quali non esistono "rette vie" intermedie, trattandosi solo di forme della debolezza umana individuale di fronte all'improvviso caso imprevedibile.

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