martedì 5 giugno 2018

1] "La vita della nostra mente" (2011) di Edoardo Boncinelli

"Introduzione. La mente che studia se stessa"

Secondo Boncinelli conosciamo molto della mente umana, ma, leggendo il suo saggio, quella che risulta carente è l'oggettività scientifica, perché sono più spesso i luoghi comuni ad imporsi. Insomma, sostenere che il cervello del bambino, quello dell'adulto e quello dell'anziano differiscono tra loro, ma anche tra diversi individui... questa banalità vale per qualsiasi altro organo umano, ad esempio il cuore, il fegato, lo stomaco, ecc.

Boncinelli è uno scienziato del senso comune che non si rende conto dei limiti del suo modo di procedere. Per esempio, scrive: "Nel corso del libro vedremo che il cervello del bambino non è quello dell'adulto, e questo -a sua volta- non è sempre quello dell'anziano. I tratti fondamentali rimangono, ovviamente, sempre gli stessi, ma alcune caratteristiche evolvono, prima maturando e consolidandosi, poi decadendo progressivamente, con una velocità che non è fissata inderogabilmente dalla natura, che può essere molto diversa da individo a individuo, e che è suscettibile di modulazione di interventi esterni". Ma chi conduce il gioco della evoluzione?

"Si parte da zero", è il titolo del primo paragrafo che inizia così: "Nessuno nasce adulto, anche se per molti aspetti tendiamo a pensare di esserlo sempre stati ..." Ma questa idea, così come le sue conseguenze, potrebbero venire in mente soltanto a uno smemorato. La proposizione che segue è qualcosa di paradossale, per non dire assurdo: "Senza il bambino l'adulto non ci sarebbe; una mancata evoluzione della fase infantile avrebbe conseguenze catastrofiche per alcuni aspetti chiave della percezione, dell'ideazione e dell'espressione". Che cosa è che non va in queste considerazioni? Proprio la pretesa di dimostrare qualcosa di intelligente partendo da premesse tipiche del senso comune.

Così, riguardo al perfezionamento della mente dell'adulto a partire dal bambino, Boncinelli scrive: "I problemi che riguardano la mente e la sua connessione con il cervello si impongono con una evidenza tutta particolare negli anni della formazione". Ma c'era bisogno di un luminare della psicologia per sapere che il cervello di un bambino è in continua evoluzione? Qualsiasi genitore che abbia almeno un diploma o qualsiasi maestro delle elementari, che il diploma ce l'ha, può osservare, direttamente, il fenomeno dello sviluppo mentale del bambino.

Quindi Boncinelli sottolinea la ben nota neotenia della specie umana e la conseguente necessità delle cure parentali. Ma da qui a passare all'hardware e al software come analogia dello sviluppo del cervello nell'infanzia dell'uomo, per poi parlare dei ricordi che si accumulano negli anni, sembra una concessione fatta non alla realtà naturale ma alla realtà artificiale dei prodotti dell'uomo. Invece, è un reale fenomeno della natura umana il seguente: "Le primissime nozioni apprese da ciascuno di noi vengono direttamente incorporate nei circuiti nervosi cerebrali, restano come "scolpite" e sono le più difficili da perdere. Prima o poi riaffiorano sempre, soprattutto nella tarda età, quando al contrario, diventa più difficile richiamare i ricordi che risalgono a epoche più recenti".

Dopo di che Boncinelli attribuisce alla specie umana il vantaggio evolutivo, conseguente il ritardo iniziale dello sviluppo del cervello umano dopo la nascita, e, anche se solo in via di ipotesi, scrive: "sarebbe estremamente interessante appurare se e quanto la maturazione ritardata del nostro cervello favorisca anche l'acquisizione del linguaggio. Purtroppo non possediamo elementi sicuri per rispondere a questa domanda...". Sorprende questa reticenza che, credo, sia dovuta al riduzionismo, mediante il quale Boncinelli pretende di vedere una serie continua di cause ed effetti, senza quei salti dialettici prodotti dalla dialettica caso-necessità. Ma vediamo, a questo punto, una concessione che egli fa al caso, non potendo attribuire il seguente processo alla connessione di causa-effetto.

"La microstruttura di alcune sue regioni [del cervello] e l'assetto anatomo-funzionale di un certo numero delle sue sinapsi non sono dettati direttamente né dai suoi geni né dalla sua vita, bensì da eventi casuali, che non hanno, cioè, una causa specifica nota. Riassumendo: la nostra individualità ha tre fonti principali, che rappresentano anche altre sorgenti di variabilità: una fonte genetica (non tutti abbiamo esattamente lo stesso patrimonio genetico), una fonte ambientale o biografica (non tutti abbiamo vissuto la medesima vita dal momento del nostro concepimento in poi), una fonte puramente casuale (non tutti siamo stati teatro degli stessi microeventi nell'anatomia funzionale del cervello durante lo sviluppo embrionale e nelle fasi successive). Ciascuno di noi è il risultato di questi tre fattori di diversità  ed è per questo che nessuno è identico a chiunque altro, nel cervello ma non soltanto".

Dopo aver chiamato fattore di sviluppo ciò che rientra nella sfera del caso, Boncinelli affibbia il nome di caso anche a eventi dei quali non si conosce la causa specifica, caso che diventa "fattore di diversità". Ed è così che egli sottomette il caso alla causa. Insomma, pur dovendo ammettere il caso per i singoli, egli lo concepisce come causa sconosciuta, introducendo il concetto deterministico di fattore. Ingenuamente è poi costretto ad affermare: "Abbiamo sempre qualche difficoltà nel misurarci con il concetto di caso e nell'accettare un suo ruolo primario in un qualsiasi processo: questa difficoltà è spesso figlia di una serie di pregiudizi e malintesi". Ma qual è il principale pregiudizio- malinteso? Per la dialettica caso-necessità è l'attribuire ai singoli casi la nozione di determinazione causale.

Vediamo, invece, come se la cava Boncinelli: "Se diciamo che una cosa avviene a caso, non vogliamo dire che non ha una causa: ne avrà certamente una o, forse, più di una, come tutti gli eventi del mondo (sic!), solo che noi non la conosciamo: o perché è difficile determinarla o perché non è importante e non vale la pena di cercarla. "Evento casuale" vuol dire, quindi, semplicemente "evento di cui non conosciamo con chiarezza le cause".  Se, per esempio, lanciamo in alto una moneta, atterrerà su una faccia; su quale faccia dipende da molte cause (sic!!!): la velocità di partenza, l'angolazione, le condizioni dell'aria, il punto dove batte contro il terreno e così via. Non è impossibile determinare tutte queste condizioni, ma è molto arduo e non ne vale assolutamente la pena: diciamo allora che il risultato del lancio di una moneta è casuale".

Ecco come il determinista assoluto Boncinelli ha spiegato, con "esemplare" chiarezza, la supremazia della causa sul caso. Peccato per lui, però, che la natura non è guidata dalla impossibile connessione metafisica causa-effetto, ma dalla reale dialettica caso-necessità. Di fronte all'essere vivente e al suo genoma, egli, invece, scrive: "In un essere vivente che si sviluppa operano le leggi della fisica e della chimica che governano tutti i fenomeni naturali, ma in più c'è l'azione dei geni -o per meglio dire, del loro complesso, ovvero il patrimonio genetico o Genoma -di quel particolare individuo. Che avrà innanzitutto una forma umana, e nella stragrande maggioranza dei casi anche tutte le strutture biologiche e tutte le proprietà fisiologiche caratteristiche di un essere umano".  C'è però un ma: "Ma prima ancora dell'incontro con il mondo, o contemporaneamente a questo, tutto deve passare al vaglio dell'insieme ricchissimo di eventi casuali che caratterizzano il suo sviluppo  e la sua crescita".

Insomma, dopo aver imparentato (assimilato) il caso alla causa, Boncinelli non ha più alcuna difficoltà o remora a prendere in considerazione i più diversi "casi!" della vita umana e, soprattutto, quelli che potrebbero rimettere in discussione il determinismo fondato sul rapporto di causa ed effetto. Ma è dopo avere osservato l'eterogeneità degli individui che egli si vede costretto a chiudere il paragrafo con le seguenti parole: "Capire il mondo significa in larga parte sostituirgli un simulacro realistico e comprensibile, e per fare questo occorrono capacità di comprensione sì, ma anche quella di riuscire a trascendere, nel quadro di un'impresa che non ci è ancora del tutto chiara".

Ecco come Boncinelli, nel 2011, nel suo saggio "La vita della nostra mente", ha assoggettato il rapporto dialettico caso-necessità alla determinazione di causa-effetto, credendo di aver trovato la pretesa soluzione deterministica che, per così dire, mettesse a tacere il caso singolo... E questo è avvenuto soltanto due anni dopo la definizione della "dialettica caso-necessità" nel saggio dal titolo "Chi ha frainteso Darwin?", pubblicato dall'autore di questo blog nel 2009. Sarà stato un caso o la cieca necessità di un determinista assoluto?



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