martedì 24 dicembre 2013

Steven Rose sui singoli individui plasmati da cultura, società e tecnologia

Steven Rose, "Il cervello del XXI secolo" (2005), compie la seguente osservazione conclusiva: "Nel corso di questi sette capitoli ho argomentato che possiamo comprendere il presente solo nel contesto del passato. La storia evolutiva spiega come siamo arrivati ad avere i cervelli che possediamo oggi. La storia di sviluppo spiega come emergono le persone individuali; la storia sociale e culturale fornisce il contesto che vincola e modella quello sviluppo; una storia di vita individuale plasmata dalla cultura, dalla società e dalla tecnologia si conclude con l'invecchiamento e alla fine con la morte".

Siamo nell'anno 2005, e ancora al primo posto continuano ad essere collocati i singoli individui culturalmente, socialmente e tecnologicamente plasmati. Come abbiamo già visto e vedremo ancora, altre questioni si porranno dopo il primo decennio del 2000, in parte suscitate dagli studi e riflessioni di un autodidatta (che nessuno peraltro nomina: non sia mai che i professionisti della scienza si lascino perturbare da un autodidatta!).

Ma, leggendo le conclusioni di cui sopra di Steven Rose, nella mente dell'autodidatta è sorta questa idea peregrina: se la maggioranza degli uomini è plasmata dalla cultura, dalla società e dalla tecnologia (e tanto più è plasmata nella propria professione), nessun uomo potrà essere in grado di valutare cultura, società e tecnologia in maniera oggettiva e incondizionata: così ogni giudizio sulla propria epoca sarà relativo, condizionato com'è dall'epoca stessa. Anzi il condizionamento del proprio tempo si estenderà anche al giudizio sul passato e alle previsioni sul futuro.

Se così stanno le cose, allora ogni epoca produce (plasma) presente e passato a propria immagine e somiglianza! Ma allora una conoscenza reale può, per un puro caso eccezionale, essere prodotta soltanto da chi si ritrovi messo completamente da parte dalla propria società, così da non esserne più condizionato (ovvero plasmato). Sorte questa, casualmente subìta -a cavallo di due millenni- dall'autore di questo blog. E' stato, dunque, grazie al suo completo distacco sociale che l'autodidatta ha potuto concepire chiaramente la Torre di Babele della comunità scientifica e i suoi incredibili errori -che nessuno dei suoi partecipanti, invece, potrà mai vedere, plasmato com'è fin dai banchi delle università e, in seguito, nei laboratori.

Nel capitolo successivo, l'ottavo, Steven Rose prende in considerazione il seguente condizionamento: "La ricerca della "verità" sul mondo naturale non può essere separata dal contesto sociale in cui viene condotta. Nonostante la loro riluttanza ad ammettere che il nostro lavoro è pertanto intessuto di ideologia, nondimeno tutti gli scienziati naturali concedono che il nostro spiegamento di domande e risposte, quella capacità che genera gli esperimenti produttivi, è sia resa possibile che vincolata dalle tecnologie disponibili..." "Nuovi strumenti offrono nuovi modi di pensare, nuove e precedentemente inconcepibili domande a cui rispondere".

Insomma, nuova tecnologia = nuove ricerche e nuovi modi pensare? Rose sembra, però, dimenticare che anche le nuove domande, con le loro risposte, sono plasmate non solo dalla propria epoca ma anche dalla vecchia tradizione di un passato anche molto remoto, come è stato la tradizione millenaria, dura a morire, del determinismo (causa-effetto) e del suo opposto diametrale, l'indeterminismo (il caso): entrambi applicati da sempre, in competizione tra loro, allo studio della natura. E' la millenaria contrapposizione tra la causa necessaria di Democrito e il caso imprevedibile di Epicuro che soltanto un incondizionato parìa della comunità scientifica poteva prendere in seria considerazione e finalmente risolvere.

Sebbene Steven Rose abbia combattuto l'eccessivo condizionamento esercitato dalla comunità scientifica sui propri membri, la cui maggioranza è assoggettata da secoli di sottomissione al riduzionismo deterministico, c'è un suo passo che conferma tutte le difficoltà procurate dal condizionamento dell'antagonismo insolubile tra la causa democritea e il caso epicureo: "Se, come ho sostenuto, il cervello non può essere compreso se non in un contesto storico, a maggior ragione la nostra stessa comprensione del cervello non può essere compresa se non in un contesto storico. Le nostre conoscenze sono contestualizzate e vincolate, al punto che sia le domande sia le risposte che oggi ci sembrano autoevidenti non lo erano in passato e non lo saranno in futuro. E nemmeno vedremmo le cose come le vediamo se le scienze stesse si fossero sviluppate in una differente cornice socioculturale".

Questa dichiarazione sembra una resa completa al relativismo soggettivistico e alla sfiducia verso una reale, oggettiva, conoscenza. Ma, per capirci di più, affronteremo -nel prossimo post- un libro più recente scritto a due mani dai coniugi Rose, libro nel quale si sente anche una nuova e diversa influenza che potremmo forse, collegare, anche se indirettamente, alla nuova teoria dell'autodidatta che ha risolto l'opposizione diametrale tra la causa di Democrito e il caso di Epicuro. 

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