sabato 21 dicembre 2013

Splendori e miserie della neurologia

Balzac per ben 13 anni (1835-1847) ha elaborato la sua opera principale, il cui titolo "Splendori e miserie delle cortigiane" ha acquistato una fama imperitura. Si può, allora, immaginare la sorpresa dell'autore di questo blog, lettore di molte opere di Balzac, nel leggere il seguente titolo del libro di Semir Zeki, uscito con "le Scienze" nel 2011: "Splendori e miserie del cervello": sottotitolo "L'amore, la creatività e la ricerca della felicità". Se queste sono le qualità del cervello umano, perché Zeki le ha paragonate alle cortigiane di Balzac, che vivevano nel vizio, nella prostituzione, nella delinquenza e nell'ipocrisia?

Nell'introduzione, l'autore svela le motivazioni del titolo balzachiano, ma lo fa con due considerazioni che si contraddicono: prima afferma che il cervello è "una macchina neurologica di complessità immensa",  "uno splendido trionfo evolutivo di ingegneria neurale, che consente al cervello non solo di ricavare conoscenza ma anche di generalizzarla". Poi sostiene che "Tale splendida facoltà implica sovente un prezzo da pagare, l'infelicità (!). Prezzo che, come vedremo, in quanto strettamente connesso alla creatività, può a sua volta tramutarsi in un vantaggio (sic!). Di qui il titolo del libro, che ho tratto dal grande romanzo di Balzac". Capisca chi può!

Quando, però, Zeki afferma la sua "convinzione che l'evoluzione non proceda per risoluzione di problemi, poiché sarebbe una procedura troppo dispendiosa e pericolosa, che potrebbe implicare l'estinzione di una specie. Credo piuttosto che proceda in modo da ridurre al minimo i problemi o da evitarne addirittura l'insorgenza", l'autore di questo blog capisce molto bene e non si stupisce più di niente, né del titolo né del contenuto: siamo, infatti, in presenza di un determinista riduzionista così cieco nel suo fideismo da non vedere neppure l'enorme dispendio nella estinzione delle specie viventi.

C'è però un passo finale che smaschera l'entusiasmo fittizio di un determinista alle prese con l'imprevedibile variabilità neurologica. E' quando scrive: "Questa variabilità, qualunque siano i fattori determinanti, agisce su un piano comune, che esplorerò nel libro. Fino a quando non avremo compreso in dettaglio (sic!) il progetto comune, non sapremo affrontarla, poiché, per definizione, quest'ultima andrebbe alla ricerca di variazioni nel progetto comune (?). Eppure, è entusiasmante pensare che, da un piano comune di organizzazione e di azione, emergono così tante variazioni capaci di arricchire la nostra esperienza di vita".

Tutto questo significa fare buon viso a cattivo gioco. Si finge soddisfazione, e persino entusiasmo, nei confronti di una variabilità neurologica che mai potrà assoggettarsi al determinismo riduzionistico e meccanicistico, e questo per la semplice ma decisiva ragione che i processi naturali seguono la produzione dispendiosa tipica della dialettica caso-necessità.

Ma Zeki compie un altro arbìtrio, del tutto personale: quello di credere di poter comprendere l'attività neurologica rifacendosi alle opere, agli stili di vita e alle concezioni dei grandi artisti, poeti, romanzieri, pittori, scultori del passato. Ma non è questa la via: un neurologo deve contribuire, per parte sua, alla propria scienza, limitandosi a utilizzare la conoscenza parziale di altre scienze, o attività culturali umane, soltanto per avere una visione d'insieme, non contraddittoria, della conoscenza umana.

Nei prossimi post, mostreremo come, ben lontana dal realizzare le ambizioni umane, la neurologia (e non il cervello), sia, da questo punto di vista e soltanto da questo, una specie di cortigiana balzachiana, con i suoi splendori apparenti e le sue miserie reali.

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