mercoledì 25 dicembre 2013

"CONNETTOMA" (2012) di Sebastian Seung -Seconda parte

(Continuazione) Prendiamo in considerazione il seguente brano con il quale l'autore, Seung, involontariamente ma sostanzialmente, ridicolizza lo stato attuale della scienza neurologica, allo scopo di offrire una nuova soluzione legata al connettoma: la connettopatia: "In sintesi, gli esperti credono che l'autismo e la schizofrenia siano causati (!) da una neuropatologia, causata (!) a sua volta dallo sviluppo anormale del cervello, causato (!) a sua volta da una combinazione di influssi (sic!) genetici e ambientali anormali. I neuroscienziati stanno muovendo i primi passi verso la scoperta dei geni che potrebbero aiutarli a stringere il cerchio sui processi dello sviluppo, e ciò sembra incoraggiante; ma ammetto con disagio che la domanda più importante è ancora senza risposta: cos'è la neuropatologia? E, visto che mancano i dati, le teorie fioccano".

Come si può osservare, sottolineate dai miei punti esclamativi, per la scienza neurologica le teorie dovrebbero riguardare le cause: dovrebbero essere tutte teorie deterministiche che pretendono scovare rapporti di causa-effetto. E ancora, la stranezza, sottolineata dall'autore, è che si producono teorie deterministiche per sopperire alla mancanza di dati, ossia proprio quando mancano i dati sperimentali! Ed egli, a sua volta, notando che fioccano le teorie in mancanza di dati, si concentra -sono le sue parole- "solo su quella che a mio parere è la più sensata, l'autismo e la schizofrenia sono connettopatie".

Quindi egli mette a confronto i due metodi: la vecchia genomica e la nuova connettomica. La prima ha scoperto i geni (troppi) associati all'autismo e alla schizofrenia, ma ha anche scoperto che la loro incidenza sullo sviluppo della malattia è statisticamente bassa (l'1-2% dei casi) [quindi vale necessariamente solo per il complesso statistico non per il singolo malato casuale]. Dunque, conclude: "La genomica è ancora incapace di prevedere l'autismo e la schizofrenia nei singoli individui, proprio come la neofrenologia non può prevedere il QI".

La situazione cambia, invece, quando una malattia dipende da un solo gene responsabile: "I test genetici sono molto efficaci nel prevedere la malattia di Huntington, un disturbo neurovegetativo che colpisce di solito intorno alla mezza età. La MH inizialmente si manifesta con movimenti involontari casuali, a scatto, e progredisce verso il declino cognitivo e la demenza. Dato che è coinvolto un solo gene, la MH è molto più semplice da prevedere dell'autismo. Una versione anomala del gene è rilevabile con un test del DNA molto accurato: se il test è positivo significa che l'individuo svilupperà la MH, un risultato negativo rivelerà invece il contrario. Comprendere invece la genetica dell'autismo e della schizofrenia è molto più complicato a causa del numero dei geni coinvolti. Una possibile soluzione è affermare che l'autismo è composto da numerosi autismi, ciacuno causato da un differente gene difettivo".

L'ultima osservazione è a suo modo valida perché confermata dall'esperienza, la quale mostra che esistono varie gradazioni e manifestazioni di autismo, ma ciò non significa che siano il prodotto di specifiche cause. Ripetiamo: secondo la dialettica caso-necessità, le cause valgono solo per i meccanismi prodotti dall'uomo. Per i prodotti della natura non esistono cause. Quindi non esistono diversi autismi per differenti cause. L'osservazione empirica mostra una vasta gamma di individui umani che presentano sfumature diverse di autismo, secondo la media di Gauss; perciò solo eccezionalmente, a un'estremo della curva, l'anormalità si presenterà inequivocabilmente.

Seung, comunque, "rassicura il lettore" sul fatto che la concezione connettomica è molto più ottimistica di quella genomica: "Quella genomica è una visione pessimistica, piena di vincoli; il nostro connettoma, invece, cambia nel corso della vita, ed è un processo di cui siamo in parte controllori. Il connettoma porta con sé un messaggio ottimistico, ricco di possibilità e di potenzialità. Ma è proprio così? Fino a che punto possiamo cambiare noi stessi?" Quest'ultima domanda dubbiosa ci ha fatto porre tra virgolette la rassicurazione del lettore.

Seung continua: "Allora è possibile cambiare?" La risposta è sorprendente: "è emerso un altro determinismo, basato stavolta sul cervello, e quasi altrettanto pessimista": il determinismo connettomico. Anche qui è evidente che lo scienziato moderno, in prevalenza sperimentatore, non sa "connettere" senza essere dominato dalla concezione determinista: egli non sa cercare altro che cause nei suoi esperimenti (perciò, se una pulce, privata delle sue zampette, non salta su comando, la causa potrebbe anche essere addebitata alla sordità). Vecchia e abusata barzelletta questa che, però, riflette molto bene l'inettitudine dello sperimentatore determinista a cogliere la realtà dei processi e dei fenomeni naturali.

Cambiando argomento, abbiamo visto che nei primi due anni di vita di un bambino si forma il maggior numero di sinapsi, e che in seguito molte si perdono. Pur tuttavia, si è scoperto che persino in età adulta se ne formano di nuove. Anzi, ad avviso di chi scrive, lo studio e le conseguenti conoscenze acquisite in età adulta favoriscono la perdita di molteplici sinapsi inutili e l'acquisto di poche sinapsi fondamentali. Del resto anche nel campo della reale conoscenza dovrebbe valere il principio che una sola verità distrugge in un sol colpo un enorme numero di falsità.

Se torniamo su questo argomento è perché Seung prende in considerazione un interessante aspetto ad esso collegato. La questione si pone nel seguente modo: se tra la nascita e i 2-3 anni c'è il massimo sviluppo di sinapsi, si potrebbe pensare che sia favorito il metodo dell'insegnamento precoce di leggere e scrivere, ma Greenough e colleghi hanno evidenziato l'opposto: e cioè, scrive Seung: "Dato che esperienze come la stimolazione visiva e l'esposizione al linguaggio sono state a portata del bambino per l'intera storia umana, lo sviluppo del cervello si "aspetta" di riviverla, e si è evoluto per farvi affidamento. Viceversa, esperienze come leggere un libro erano sconosciute ai nostri antenati più lontani, e dunque lo sviluppo del cervello non avrebbe potuto evolversi in modo da dipendere da questi strumenti; per questo gli adulti riescono ancora a imparare a leggere, persino se è mancata loro l'opportunità nell'infanzia".

L'osservazione è nel suo complesso valida. E anche l'autore di questo blog può confermarla con la sua esperienza personale: da adulti e in vecchiaia si possono studiare tematiche anche complesse di scienze che non si erano mai affrontate in passato, ovviamente grazie allo sviluppo di nuove connessioni. Seung cita anche Norman Doidge che, nel suo libro "Il cervello infinito", racconta di storie di adulti che si sono ripresi molto bene da problemi neurologici. "Doidge sostiene che il cervello è incredibilmente plastico, molto più di quanto medici e neuroscienziati abbiano mai creduto".

A questo proposito, Seung cita anche lo scontro tra due neuroscienziati  [1) il più rinomato, Pasco Rakic dell'università di Yale, che dagli anni '70 affermava come dogma che dopo la nascita (o almeno dopo la pubertà) nei mammiferi non nascevano più neuroni, 2) la meno nota, Elisabeth Gould dell'università di Princeton, che aveva scoperto l'esistenza di nuovi neuroni nella neocorteccia di scimmie adulte]. E osserva: "Non è difficile capire perché questo confronto tra due accademici sia finito in prima pagina. Ci stupiamo ogni volta che il nostro corpo sappia ripararsi autonomamemte: le ferite sulla pelle guariscono, lasciando una semplice cicatrice; e fra gli organi il fegato è un campione di autoriparazione, capace com'è di ricrescere persino se viene asportato per due terzi. Ebbene, se la corteccia dell'adulto aggiungeva nuovi neuroni, significava che il cervello aveva una capacità di autoguarirsi superiore ad ogni aspettativa".

La scoperta che nuovi neuroni compaiono nell'ippocampo e nel bulbo olfattivo anche in assenza di lesioni poteva voler dire che "i nuovi neuroni hanno una funzione guaritiva; forse aumentavano le potenzialità di apprendimento, in modo analogo alle nuove sinapsi  che, secondo quanto ipotizzato, incrementano la capacità di memoria migliorando la capacità d'imparare nuove associazioni. L'ippocampo fa parte del lobo temporale mediale, l'area dove è stato scoperto il neurone di Jennifer Aniston; e alcuni ricercatori sono convinti che l'ippocampo deve essere estremamente plastico, e la sua plasticità arrichita di nuovi neuroni. Altrettanto accadrebbe nel bulbo olfattivo, che userebbe i nuovi neuroni per memorizzare gli odori.

Secondo il darwinismo neurale l'eliminazione delle sinapsi opera in tandem con la loro creazione per archiviare i ricordi; pertanto è lecito aspettarsi che la creazione dei neuroni sia accompagnata da un processo simultaneo di eliminazione: e' uno schema che si ripropone per molti tipi di cellule, che muoiono nel nostro organismo durante lo sviluppo. Questa morte è detta programmata perché ha i connotati del suicidio: le cellule contengono infatti dei meccanismi (sic!) naturali di autodistruzione che si attivano in presenza di stimoli adeguati".

Insomma, il processo appena descritto, se concepito in senso dialettico, permette di comprendere, ad esempio, che uno studioso può eliminare dalla propria mente precedenti errori, può correggersi e avere sempre nuove idee, ecc., come può anche eliminare vecchi errori soltanto per sostituirli con altri nuovi di zecca!

Seul afferma, poi, come promessa per il futuro: "Se la connettomica subirà un processo esponenziale duraturo, allora la scoperta di interi connettomi umani sarà possibile prima che si chiuda il ventunesimo secolo. Oggi sono impegnato con i miei colleghi a superare le barriere tecniche che ci impediscono di vedere i connettomi: ma cosa succederà se ci riusciamo? Cosa faremo a quel punto? Nei prossimi capitoli esplorerò alcune possibilità entusiasmanti, tra cui creare mappe più dettagliate del cervello, svelare i segreti della memoria, focalizzare le cause (sic!) fondamentali dei disturbi cerebrali e, addirittura, scoprire nuovi modi per curarli".

E' veramente, sempre, la solita storia! Si dice: la nostra generazione può far ben poco per il momento, ma  vi possiamo già garantire che cosa potranno fare i nostri successori entro il secolo. Insomma, noi scienziati di oggi non sappiamo spesso cosa fare, ma sappiamo che gli scienziati di domani faranno cose grandi e ve le possiamo persino anticipare perché sappiamo tutto quello che c'è da sapere e da fare in un futuro lontano, così che possiamo persino esaltarci legittimamente per i futuri stupendi risultati!

Quanta ingenuità accompagna questo metodo! La storia della scienza mostra, invece, l'opposto: mostra che le nuove generazioni di scienziati sperimentali inventano sempre nuovi strumenti e, di conseguenza, nuove concezioni per adeguarle al nuovo livello tecnologico del loro tempo. Ma poche sono le generazioni che hanno fatto progredire la conoscenza teorica, la conoscenza della realtà. Per non dire che l'umanità ha già sperimentato secoli bui, nei quali anche la tecnologia non è progredita e spesso è regredita. 

* E se ciò non avviene nel secolo della globalizzazione, si spiega solo con fenomeni che solo da poco tempo si ha il coraggio di denunciare.
                   

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