Vale la pena di dedicare due post all'autore di "CONNETTOMA", che affronta il tema dell'apprendimento e il tema della memoria. Riguardo al primo, egli osserva "come l'ispessimento della corteccia, così l'aumento del numero di sinapsi è correlato con l'apprendimento, ma la relazione di causa ed effetto non è chiara". La realtà è, infatti, che il determinismo fallisce in neurologia perché, alla prova dei fatti sperimentali, si può solo osservare che si tratta di aumento di singoli, numerosi eventi, i quali si rovesciano dialetticamente nella cieca necessità complessiva, come l'apprendimento, maggiore o minore, di nuove conoscenze e la loro memorizzazione.
L'autore parla di due processi di archiviazione dei ricordi: "Per trovare la soluzione al problema della memoria dobbiamo scoprire se sono coinvolte la ripesatura e la riconnessione e, in caso affermativo, in che modo. In precedenza ho spiegato la teoria secondo cui le associazioni e le catene sinaptiche sono i pattern di connessione relativi alla memoria. Ora farò un passo ulteriore, avanzerò la tesi che i pattern siano creati dalla ripesatura e dalla riconnessione, e affronterò le molte domande conseguenti. Per esempio, i due processi sono indipendenti o funzionano insieme? E per quale ragione il cervello dovrebbe usare entrambi, e non uno solo? E poi, possiamo spiegare alcuni limiti della memoria come deficit di questi due processi di archiviazione?"
Prima di andare avanti, alcune osservazioni. In primo luogo occorre concepire i complessi mnemonici necessari solo sulla base di un grande dispendio di singole numerosissime sinapsi casuali, in secondo luogo attribuendo alla natura della mente modalità meccanicistiche si cade in un profondo errore: la memoria non è un prodotto statico che può, come una macchina, logorarsi nel tempo: la memoria è un processo dinamico e continuo che coinvolge numerosi eventi, i quali scompaiono dalla coscienza del presente, per poi riapparirvi anche solo fugacemente oppure durevolmente, con tenacia, secondo la volontà dell'individuo o persino contro la sua volontà oppure, ancora, capricciosamente per puro caso.
E' il processo mnemonico, nel suo complesso, che va compreso nella sua natura dialettica. Così da permettere di conoscere anche i suoi due opposti estremi: quello della supermemoria e quello della smemoratezza. Seung vede questi problemi, ma sbaglia a credere di poterli affrontare come meccanismi e persino come meccanismi minuti, elementari! Ed è solo a pagina 146 che si decide di prendere in considerazione il caso, nel senso delle singole, minute circostanze casuali che fanno sì, come aveva notato a suo tempo Leibniz, che persino tra le foglie di un albero non ve ne siano neppure due uguali.
Quindi l'autore ricorda: "In precedenza ho ipotizzato che la creazione delle sinapsi sia casuale", però poi aggiunge che occorre tenere presente il controllo genetico. Mettere in rapporto il caso con il determinismo genetico è veramente un bel rebus (insolubile), che egli ritiene di risolvere così: "Il connettoma iniziale, generato nelle primissime fasi dello sviluppo, è dunque il prodotto dei geni e della casualità, dei quali si stanno ancora indagando i contributi relativi [!]".
Seung sostiene giustamente che "il fatto di connettersi (tra due neuroni) non è determinato dai geni. In un primo tempo la connessione dipende dagli incontri casuali delle ramificazioni all'interno di regioni definite geneticamente, e dalla creazione casuale di sinapsi durante gli incontri. Tuttavia, con il procedere dello sviluppo, anche le esperienze plasmano il connettoma, Ma, in che modo, esattamente?"
Il modo dipende dalla sfera che si considera. Dal punto di vista delle singole esperienze, il caso la fa sempre da padrone; dal punto di vista dei complessi, invece, s'impone la cieca necessità. Allora, se Seung avesse anche solo affermato che le connessioni (e le esperienze) sono, singolarmente prese, casuali, ma, nel loro complesso, diventano necessarie (secondo medie statistiche o rarità statistiche) avrebbe di fatto espresso la teoria dialettica caso-necessità. Comunque, egli sembra aver colto alcuni punti fondamentali. A questo proposito, troviamo un'osservazione sperimentale molto interessante, a pagina 147, dove compare un quadro con 5 figure, le quali mostrano l'evoluzione dei dendriti dalla nascita fino ai quattro anni di età. Inaspettatamente si può osservare che il massimo dei dendriti è raggiunto a 2 anni. Poi inizia la loro diminuzione per potatura, già molto evidente a 4 anni.
Di fronte a questo imprevedibile risultato, l'autore scrive: "Nel quinto capitolo avevo prudentemente invitato a non considerare l'apprendimento negli adulti come una creazione di sinapsi. Lo stesso discorso vale per il cervello giovane: infatti, durante lo sviluppo, si registra un'attività di distruzione delle connessioni". Da "adulti il loro numero è diminuito del 60 per cento rispetto al picco della prima infanzia. Una crescita e una riduzione simile valgono anche per le ramificazioni dei neuroni: i dendriti e gli assoni crescono inizialmente in modo esuberante, ma solo in seguito alcuni rami verranno recisi (...)".
Tentando una personale interpretazione di questi fenomeni naturali, si potrebbe osservare che nel neonato si formano in breve tempo e spontaneamente un gran numero di ramificazioni di neuroni e sinapsi la cui qualità non regge il confronto con la quantità. Si potrebbe sostenere che il neonato subisce un numero enorme di sollecitazioni neurologiche provenienti dall'enorme varietà del mondo esterno, sollecitazioni puramente casuali e di qualità scadente. Ma a 4 anni, quando si manifesta un primo barlume di coscienza, molte di queste sollecitazioni sono già state eliminate: ossia è avvenuto qualcosa di simile a una selezione naturale.
Allora, lo sviluppo neurologico consisterebbe in un processo di eliminazione delle originarie numerosissime ramificazioni e sinapsi scadenti, accompagnate dalla formazioni di nuove ramificazioni e sinapsi più scarse ma di qualità migliore. E anche questo è uno specifico esempio di dispendio: l'intelligenza umana è il frutto della enorme perdita di connessioni "stupide" e della costruzione di rare connessioni "intelligenti". Del resto, non avviene questo sia nello studio e nella riflessione personale sia in tutto il patrimonio culturale e scientifico secolare della specie umana? Così, ad esempio, una sola idea geniale non elimina torri di Babele erette su fondamenta erronee?
Secondo l'ipotesi dell'autodidatta è il continuo processo di apprendimento che riduce le molteplici connessioni false o sgradevoli per mantenere o rafforzare rare connessioni vere o gradite. Questa è la natura con il suo dispendio: i processi neurologici non garantiscono spontaneamente la certezza della conoscenza umana, tutt'altro! Ancora una volta, si manifesta il tipico dispendio naturale: solo uno su mille ce la fa e approfitta del dispendioso processo neurologico per produrre reale conoscenza. Seung, invece, considera un ossimoro la distruzione creativa, perchè ragiona per opposti diametrali, non dialetticamente. (Continua)
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