sabato 8 gennaio 2011

"Nati per credere", ovvero l'inclinazione a fraintendere Darwin

Questa tesi è sostenuta da Girotto-Pievani-Vallortigara in un opuscolo che pretende motivare e nel contempo contrastare il successo del "Disegno Intelligente" in America. Lo spunto è dato da una battuta di Dawkins: il nostro cervello sembrerebbe "specificamente progettato per fraintendere il darwinismo". Ma, mentre la battuta di Dawkins era indirizzata a Gould, la tesi di Girotto-Pievani-Vallortigara è indirizzata ai creazionisti, e rappresenta un ingenuo tentativo di giustificare "l'inclinazione naturale a trovare psicologicamente soddisfacenti le spiegazioni animistiche o quelle basate sul "disegno" intelligente o divino, che dir si voglia, delle nostre origini".

Gli autori di "Nati per credere" (2009) sembrano aver dimenticato che la biologia, nelle sue più diverse discipline, ha fornito le più diverse versioni di darwinismo, alcune persino diametralmente opposte come quelle, appunto, di Dawkins e Gould, versioni che reciprocamente si sono sempre accusate di fraintendere Darwin. Il fraintendimento di Darwin all'interno della scienza della vita è un dato di fatto che, tra le altre cose, favorisce proprio il "Disegno Intelligente".

Voler invece vedere nel "fraintendimento" una inclinazione biologica verso il finalismo divino del cervello umano è un prodotto di quel biologismo astorico che tutto affida ai geni, come pretende Dawkins. Ma per individuare la propensione della specie umana alla religione è sufficiente la storia della nostra specie, storia economica, sociale, politica e militare, che, se correttamente ricostruita, rivela anche l'attuale ripresa di tutte le religioni nel mondo: circostanza questa che favorisce ulteriormente il "Disegno Intelligente".

Allora, il tentativo di coinvolgere Darwin, riguardo alla tesi-battuta del fraintendimento, ha tutta l'aria d'essere un'ingenua difesa di un preteso razionalismo scientifico che si sente minacciato dall'irrazionalismo religioso, in un momento in cui la debolezza della scienza umana non dipende dalla forza del "Disegno Intelligente", ma dallo stato confusionale prodotto da una pletora di paradigmi convenzionali e fittizi, senza fondamento scientifico, che popolano la torre di Babele della comunità scientifica.

Secondo gli autori, Darwin sarebbe rimasto colpito "dall'efficacia comunicativa delle descrizioni finalistiche della natura che aveva letto in gioventù". Quindi affermano: "Quando capì di aver scoperto un meccanismo (sic!), la selezione naturale, che rendeva superfluo il ricorso a qualsiasi progetto per spiegare la nascita e l'evoluzione delle specie -compresa quella umana- fu subito consapevole che in questo modo stava contraddicendo non soltanto le credenze religiose creazioniste dell'epoca, ma anche modi molto comuni di pensare".

Certamente Darwin fu consapevole di andare contro il senso comune della sua epoca; ma il senso comune non si crea da solo, è sempre conseguenza del modo di pensare di una o più generazioni, modo di pensare condizionato dalle convinzioni e dalle ideologie dominanti della società, della politica e della scienza del momento. Sembra che gli autori, invece, non ne siano consapevoli. Inoltre, essendo troppo giovani e distratti, non si rendono conto che la biologia molecolare fin dagli anni'50 fa abbondante uso del termine "progetto" (basti pensare alla versione teleonomica di Monod e Mayr), e che la stessa battuta di Dawkins conteneva il verbo "progettare".

Tornando a Darwin, non era solo il creazionismo a preoccuparlo, tanto è vero che all'amico Asa Gray scrisse di trovarsi in un terribile pasticcio per via del caso. Poiché l'Ottocento era dominato, in ogni campo dello spirito umano, dal determinismo riduzionistico e finalistico, Darwin sapeva che la sua epoca non gli avrebbe perdonato una teoria fondata su variazioni casuali.

Ora, quando gli autori pretendono attribuire a Darwin la consapevolezza di aver scoperto un meccanismo, la selezione naturale, compiono più di un errore. Innanzi tutto, non si rendono conto del pasticcio in cui vengono a trovarsi interpretando la selezione naturale come un meccanismo. In questo modo, infatti, avvalorano ciò che vorrebbero negare: il "progetto". Si è mai visto, infatti, un meccanismo senza progetto? Ma poi, il termine stesso di "meccanismo" applicato alla biologia è relativamente recente, essendo stato introdotto dalla biologia molecolare e dall'immunologia. Perciò Darwin non poteva certo essere consapevole di qualcosa di là da venire. Egli ha usato una sola espressione autosufficiente: "selezione naturale", che solo qualche volta ha chiamato "il principio della selezione", e che altre volte ha concepito come la causa dell'evoluzione, in omaggio al determinismo imperante. La "selezione naturale" per lui consisteva semplicemente in un processo di conservazione delle variazioni favorevoli e nella eliminazione delle variazioni nocive.

Darwin era così poco meccanicista che persino nell'analogia tra occhio e telescopio non sottolineò di quest'ultimo il meccanismo ma il processo di perfezionamento: "E' quasi inevitabile confrontare l'occhio con il telescopio. Noi sappiamo che questo strumento è stato perfezionato dai ripetuti sforzi dei più elevati intelletti umani; e siamo portati naturalmente a concludere che l'occhio si sia formato con un processo analogo". Naturalmente egli non è arrivato a comprendere che i prodotti naturali sono molto più dispendiosi dei prodotti umani. Ma questa inconsapevolezza si è perpetuata fino ai nostri giorni, tanto è vero che Pievani, rifacendosi a Jacob, crede che l'evoluzione si comporti come un bricoleur, che tutto utilizza e tutto conserva in maniera parsimoniosa. Eppure avrebbero dovuto sapere entrambi che anche solo il rapporto statistico tra specie conservate e specie estinte attesta un enorme dispendio naturale!

Per concludere queste brevi considerazioni, la comunità scientifica farebbe un doppio errore se nel suo complesso scadesse al livello di disputa, sia pure garbata, con il "Disegno Intelligente", o con altre forme di espressione religiosa, perché significherebbe avvalorare una competizione dalla quale ha tutto da perdere, non avendo certezze da offrire ma solo una pluralità di paradigmi contraddittori; in secondo luogo, in questa competizione sarebbe costretta a difendere posizioni insostenibili, senza trovare alcuno stimolo per uscire dalle sue attuali difficoltà.

(Tratto da "Chi ha frainteso Darwin?" 2009)

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