venerdì 25 giugno 2010

L'oggetto reale della conoscenza scientifica e la sua sfera d'azione

Riflessioni conclusive

Il Novecento, dopo la seconda guerra mondiale, sembra aver avuto un sacro timore della storia umana, rinnegando il passato e immaginando un presente autosufficiente, indipendente dalla storia. Così ha cominciato a produrre una menzogna dopo l'altra: menzogne in tutti i campi, da quello sociologico a quello filosofico e scientifico. La realtà è stata sommersa dalla finzione e da quella fittizia convenzione che già all'inizio del secolo e nei successivi decenni si era imposta nelle scienze della natura.

Il pensiero scientifico, invece di riflettere le leggi della natura, si è assoggettato all'ideologia dominante, seguendo la moda del fittizio e convenzionale pensiero filosofico, sociologico e storiografico. Perciò il "secolo della menzogna" è stato il secolo dell'umiliazione della scienza reale, sostituita da una mediocre scienza di piccolo cabotaggio, priva di bussola teorica e rollante ai margini di un oceano di dati empirici incomprensibili. Nessuna teoria scientifica, ridotta al miserabile status di paradigma, è stata in grado di comprendere il senso delle grandi questioni naturali e sociali che assillano la specie umana; di conseguenza non c'è ramo della scienza che non si senta impotente nell'indagine dei processi naturali e sociali che sono fondamentali per l'esistenza stessa della nostra specie.

Se il pensiero scientifico contemporaneo continuerà per questa via non potrà evitare la rovina più completa di tutti i rami della scienza, con il prevedibile risultato che la specie umana si troverà sempre più in balia delle catastrofi naturali e sociali, senza neppure sapere il perché. Una vera svolta potrà avvenire soltanto se si riprenderà in considerazione il reale scopo della scienza, il suo reale oggetto e la sua reale sfera d'azione. Ma per far questo, è assolutamente necessario fondare la teoria della conoscenza sulla dialettica di caso e necessità. Scopo, oggetto e sfera d'azione della scienza devono essere concepiti come immanenti e intrinseci alla specie umana, e non come determinazioni estrinseche di volontà umana o sovrumana. Dalla scienza si è sempre preteso troppo o troppo poco, soltanto perché, senza una chiara comprensione della sua origine e del suo travagliato sviluppo, si è preteso attribuirle questo o quello scopo, questo o quell'oggetto, questo o quel campo d'azione, a seconda delle apparenti possibilità ed esigenze del momento storico vissuto.

Persino la separazione tra la sfera della cultura umanistica e la sfera della scienza non è stata il risultato della comprensione del reale ruolo dell'attività scientifica, bensì semplicemente una contrapposizione metafisica tra due forme di espressione dello spirito umano, senza un vero fondamento necessario, senza alcuna oggettiva e necessaria delimitazione tra le due sfere.

D'altra parte, se il romanziere riesce, come Balzac, a rendere ragione degli uomini non come singoli sottoposti ai capricci del caso, ma come tipici rappresentanti di classi sociali, per i quali i sentimenti contano non certo più delle rendite, degli affari in borsa ecc. (tanto che Engels affermò di aver imparato sull'economia della Francia più da Balzac che dagli economisti), e se, viceversa, lo scienziato pretende rendere ragione della materia indagando singole particelle o coppie di particelle, immaginando esperimenti ideali che sembrano fiabe, allora il confine praticamente svanisce: il romanzo diventa scienza e la scienza diventa romanzo. Utilizzando delle note, abbiamo più volte mostrato come scrittori e aforisti siano stati spesso più avanti degli scienziati nella intuizione dei reali processi naturali; e, nei capitoli dedicati alla filosofia del passato fino ai giorni nostri, si è visto che la cosiddetta cultura umanistica si è occupata di scienza, talvolta, con più intelligenza degli stessi scienziati.

Il fatto è che nel rapporto caso-necessità dovevano imbattersi tutti, prima o poi, sebbene nel complesso esista una differenza: gli umanisti trattano in genere eventi casuali, mentre gli scienziati in genere cercano di eliminare il caso dai loro esperimenti. Ma, anche questa differenza viene annullata dalla circostanza "riduzionistica" per la quale, se l'umanista "soffre" per la sorte di un singolo personaggio, lo scienziato "soffre" perché non riesce a determinare la sorte del singolo oggetto.

Se, dunque, non esiste una intrinseca differenza tra scienziato e umanista, esistono invece diversi modi nei quali si manifesta lo spirito umano. Si tratta perciò di chiarire la reale sfera d'azione della conoscenza. Da questo punto di vista, la confusione che si protrae da secoli e millenni è dipesa dal pensiero metafisico (che ha impedito di comprendere le polarità dialettiche caso-necessità, singolo-complesso, possibilità-realtà, ecc.) e dal riduzionismo deterministico (che ha impedito persino ai dialettici di comprendere che il rapporto di causa ed effetto non è affatto un rapporto polare, riducendosi a una vuota tautologia).

Per chiarire la sfera d'azione della reale conoscenza, è necessario stabilire il suo oggetto reale. Allora, solo la comprensione della polarità caso-necessità permetterà di concepire una volta per tutte che l'oggetto della conoscenza è il complesso guidato dalla cieca necessità, che ha per fondamento soltanto il caso relativo ai singoli elementi costituenti. Ne deriva, come conseguenza, che il singolo oggetto, evento, individuo di un complesso necessario è abbandonato ai capricci del caso. La scienza non può farsi carico del singolo elemento casuale di un complesso necessario perché, in quanto tale, è indeterminabile.

La sfera d'azione della scienza è dunque stabilita, così come il suo scopo: la scienza o è reale conoscenza della necessità dell'oggetto complessivo o non è altro che impostura; perciò essa ha come scopo la conoscenza della necessità limitata alla sola sfera degli oggetti complessivi. Non esistono, quindi, confini per la scienza; non esistono campi dello spirito umano preclusi alla conoscenza; esiste, invece, un limite intrinseco per ogni campo, perché ovunque la realtà necessaria si manifesta soltanto nella forma di complessi che sorgono sulla base di numerosi singoli elementi costituenti. Questi singoli elementi appartengono alla sfera della realtà contingente, la quale cambia continuamente in maniera imprevedibile, perché sottoposta alla sfera della molteplice possibilità o della molteplice casualità.

La sfera del possibile è immensa, molto più ampia della sfera del reale; questa comprende sia il reale necessario che il reale contingente, e quest'ultimo è, a sua volta, più esteso del primo. Di conseguenza, la sfera del reale necessario, la sfera degli oggetti complessivi, ossia la sfera delle reali forme materiali, la sola che può essere fatta oggetto di conoscenza scientifica, di conoscenza della necessità, è, fra tutte le sfere, del possibile, del reale contingente e del reale globale, la più esigua e ristretta. Alla scienza non si può chiedere di occuparsi di tutto il reale o, peggio ancora, di tutto il possibile: la scienza, per sua natura, deve trascurare il possibile e il contingente, in quanto appartenenti alla sfera del caso, mentre ha il compito di risolvere il reale necessario, ossia la sfera della necessità che deve essere conosciuta. Dunque, la scienza non può stabilire alcuna legge specifica sul possibile e sul reale contingente, mentre è in grado di farlo sul reale necessario.

La legge scientifica di necessità è qualcosa di certo e stabile che individua, risolve e definisce l'essenza necessaria delle forme materiali reali. La legge di necessità permette la conoscenza della cieca necessità naturale fondata sul caso; perciò, la forma di questa legge non può essere deterministica, ossia fondata sulla connessione di causa ed effetto, ma deve essere statistica, ossia fondata sulla casualità dei grandi numeri costituenti le forme materiali. La legge statistica risolve la necessità delle forme materiali, che è dialetticamente opposta alla casualità dei loro numerosi costituenti interni. La legge statistica risolve la dialettica caso-necessità, che guida ogni forma materiale nel suo processo di origine, evoluzione e termine, in tempi e spazi specifici. Le sfere del possibile e del contingente, dominate dal caso, forniscono la larga base del dispendio; la sfera del reale, dominata dalla cieca necessità, fornisce il ristretto vertice della eccezione statistica. La scienza è, in definitiva, l'eccezione statistica della attività spirituale che indaga l'eccezione statistica della realtà materiale. Detto in parole povere: l'oggetto della scienza si riduce a poca cosa dal punto di vista quantitativo; si riduce a frequenze statistiche più o meno rare, mentre la multiforme e poliedrica realtà contingente, soggetta al caso, rimane fuori della sua portata.

In sostanza, la scienza può operare in tutti i campi, ma solo per rendere ragione della ristretta sfera dei complessi che risultano dai processi naturali e sociali, che vengono osservati e interpretati mediante concetti polari dialettici. Del resto, la realtà multiforme soggetta al caso, e perciò indeterminabile e imprevedibile, preoccupa molto di più l'individuo che le classi, i popoli, e soprattutto la specie umana, la quale è indifferente alla realtà multiforme. In genere non si è mai riflettuto sulla circostanza che la cieca necessità dell'esistenza, per la specie umana, si riduce a poche leggi fondamentali. Invece, chi prende in considerazione miliardi di singoli individui, le loro poliedriche e variopinte condizioni di esistenza, non può evitare di pensare che la scienza sia troppo poco per le aspirazioni dell'uomo, se si limita a trattare le poche leggi della realtà necessaria, lasciando la realtà contingente ai capricci del caso.

Questa inconsistente disapprovazione ha costituito la base del piccolo cabotaggio delle scienze della natura: estremo, quanto vano tentativo di correre dietro alla realtà contingente, dopo il fallimento dei riduzionismo deterministico che, per secoli e millenni, ha tentato inutilmente di determinare la singolarità soggetta al caso. Così l'illusione di determinare necessariamente il singolo oggetto, evento, individuo ha avuto come conseguenza la caduta nell'indeterminismo, quando alla illusione è subentrata la delusione. Invece di comprendere che il fallimento riguardava soltanto l'impostazione riduzionistica, e che quindi era venuto il momento della reale scienza dialettica, che ha come oggetto i complessi necessari, è iniziata una nuova fase nella quale il riduzionismo si è accontentato di fare piccolo cabotaggio, ossia di indagare nei minuti particolari la multiforme realtà contingente, appagandosi della previsione del probabile per addomesticare il caso.

Questa pretesa scienza del particolare, che rifiuta sdegnosamente la ricerca delle leggi di necessità, mentre s'illude di tenere sotto controllo la realtà contingente dominata dal caso, ha perso completamente il controllo della realtà necessaria. Illudendo i singoli individui, crea per loro false aspettative, bisogni superflui, li alletta promettendo la realizzazione di qualsiasi possibilità; ma, nel contempo, delude la specie umana lasciandola in balia della cieca necessità non conosciuta dei processi naturali e sociali. La scienza reale, che si limita a trattare le poche ma fondamentali leggi di necessità, appartiene alla specie umana ed è perfettamente adeguata alle sue esigenze. Alla scienza contemporanea, che corre dietro ai capricci del caso, occorre sostituire una nuova scienza che si preoccupi di conoscere la cieca necessità che domina la specie umana da tempo immemorabile.

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Tratto da "Caso e necessità -  l'enigma svelato -  Volume primo  Teoria della conoscenza". (1993-2002) inedito

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