Sullo scambio delle merci, Marx osserva: "In un primo momento il loro rapporto quantitativo di scambio è completamente casuale. Sono scambiabili per l'atto di volontà dei loro possessori di alienarsele reciprocamente. Intanto, il bisogno di oggetti d'uso altrui si consolida a poco a poco. La continua ripetizione dello scambio fa di quest'ultimo un processo sociale regolare". "Da questo momento in poi si consolida, da una parte, la separazione fra l'utilità delle cose per il bisogno immediato e la loro utilità per lo scambio. D'altra parte il rapporto quantitativo diventa dipendente dalla produzione. L'abitudine le fissa come grandezze di valore".
Inizialmente "L'articolo di scambio non riceve dunque ancora una forma di valore indipendente dal suo proprio valore d'uso o dal bisogno individuale di coloro che compiono lo scambio. La necessità di questa forma si sviluppa col crescere del numero e della varietà delle merci che entrano nel processo reale". La necessità deriva quindi dai grandi numeri: il crescere del numero e della varietà delle merci che entrano nel processo di scambio, crescita che dipende dai singoli scambi casuali, rovescia il caso singolo nella necessità complessiva di un processo sociale regolare.
Lo stesso discorso vale per la forma di denaro: "Da principio è casuale che essa (la forma generale dell'equivalente) aderisca a questo o a quel genere di merci. Ma, nell'insieme, due circostanze sono quelle decisive. la forma di denaro aderisce o ai più importanti articoli di baratto dall'estero, che di fatto sono forme fenomeniche naturali e originano dal valore di scambio dei prodotti indigeni; oppure all'oggetto d'uso che costituisce l'elemento principale del possesso inalienabile indigeno, come, p. es., il bestiame".
In seguito "La forma di denaro passa a merci che per natura sono adatte alla funzione sociale di equivalente generale, ai metalli nobili, nella stessa misura che lo scambio di merci fa saltare i suoi vincoli meramente locali, e quindi che il valore delle merci si amplia a materializzazione del lavoro umano in genere". I metalli preziosi sono naturalmente adatti a svolgere la funzione del denaro: "poiché la differenza della grandezza di valore è puramente quantitativa, la merce denaro dev'essere suscettibile di differenze meramente quantitative, cioè d'essere divisibile ad arbitrio, e dev'essere ricomponibile, riunendo le parti. E l'oro e l'argento posseggono per natura questa proprietà".
Ma la circolazione delle merci si attua attraverso la mediazione della forma del prezzo, ossia del denaro; e il "denaro come misura del valore è la forma fenomenica necessaria della misura immanente di valore delle merci, del tempo di lavoro". Di conseguenza, "il prezzo, ossia la forma di denaro delle merci è, come la loro forma di valore in generale, una forma distinta dalla loro forma corporea tangibilmente reale, quindi è solo forma ideale ..."
Così, aggiunge Marx, se il valore di una merce esiste, sebbene invisibile (perché visibile è solo la forma corporea tangibile), il prezzo è la forma ideale rappresentata. Ora, come "misura dei valori e come scala dei prezzi, il denaro adempie a due funzioni del tutto diverse. E' misura dei valori, quale incarnazione sociale del lavoro umano; è scala dei prezzi quale peso stabilito di un metallo. Come misura di valore, serve a trasformare i valori delle merci varie e multicolori in prezzi, in quantità ideali di oro; come scala dei prezzi esso misura quelle quantità di oro".
Ora, se il valore è espresso idealmente nel prezzo, non ne consegue necessariamente che il prezzo esprima il valore della merce: il prezzo potrebbe essere casualmente superiore o inferiore ad esso perché si tratta di singole merci. Scrive Marx: "Dunque la grandezza di valore della merce esprime un rapporto necessario, immanente al suo processo di formazione, con il tempo sociale di lavoro. Con la trasformazione della grandezza di valore in prezzo, questo rapporto necessario si presenta come rapporto di scambio di una merce che la merce denaro esistente fuori di essa. Però in questo rapporto può trovare espressione tanto la grandezza di valore della merce, quanto il più o il meno, nel quale essa è alienabile in date circostanze".
Per un paradosso, che costituisce una contraddizione dialettica, la necessità del valore delle merci, nel momento stesso in cui si trasforma nella forma di prezzo, e ciò può avvenire solo per le singole merci, perde il suo carattere necessario perché rientra nell'ambito del caso singolo. "la possibilità di una incongruenza quantitativa fra prezzo e grandezza di valore sta dunque nella forma stessa di prezzo. E questo non è un difetto di tale forma, anzi al contrario ne fa la forma adeguata d'un modo di produzione, nel quale la regola si può fare valere soltanto come legge della media della sregolatezza operante alla cieca".
Insomma, il prezzo, la forma di denaro delle merci, rappresenta una contraddizione in quanto non è congruente con la grandezza di valore; ma ciò non è un difetto di tale forma, è invece la forma adeguata al modo di produzione capitalistico. Per comprendere a fondo la conclusione di Marx, occorre stabilire, in primo luogo, che l'incongruenza tra valore e prezzo riguarda le singole merci che sono soggette al prezzo ma non alla necessità del valore. La necessità del valore si fa valere solo nel complesso delle merci come cieca necessità, in quanto fondata sulla sregolatezza, ossia sul caso inerente i singoli elementi che costituiscono il complesso stesso. Marx aveva ben compreso questa dialettica di caso e necessità che ha espresso nella "legge della media della sregolatezza, operante alla cieca".
La contraddizione tra valore e prezzo è dunque, fondamentalmente, un riflesso della contraddizione singolo-complesso: il concetto di valore è un concetto scientifico proprio perché riflette la necessità del complesso: insomma, esso vale per l'insieme di tutte le merci; il prezzo, invece, è una nozione pratica che riflette la sregolatezza dello scambio delle singoli merci. Nel prezzo delle singole merci, il valore non può comparire: il prezzo lo rappresenta in maniera inconstante, volubile, perché variano le circostanze casuali che quotidianamente producono il prezzo delle singole merci.
Dice Marx che la circolazione complessiva delle merci spezza il limite casuale dello scambio singolo, immediato, e conduce alla necessità del "ricambio organico del lavoro umano", conseguenza questa non voluta, non predeterminata dai singoli individui: "Da una parte si vede qui come lo scambio di merci spezzi i limiti individuali e locali dello scambio immediato di prodotti e sviluppi il ricambio organico del lavoro umano. Dall'altra parte si sviluppa tutta una sfera di nessi sociali e naturali incontrollabili dalle persone che agiscono".
Si sviluppano, cioè, un'infinità di nessi sociali naturali che, in quanto casuali singolarmente presi, non sono controllabili dalle persone che agiscono. La necessità dello scambio organico del lavoro umano avviene mediante un'infinità di singole metamorfosi di merci che sono, in sé e per sé, casuali; e, a loro volta, queste singole metamorfosi avvengono all'interno della complessiva circolazione delle merci che è, in sé e per sé, ciecamente necessaria. Se ogni possessore di merce o denaro vende o compra, a seconda di una miriade di occasioni e di circostanze casuali, alla fine si manifesta una cieca necessità: quella della circolazione complessiva di merci e denaro.
"La divisione del lavoro trasforma il prodotto del lavoro in merce e così rende necessaria la trasformazione di esso in denaro; e allo stesso modo rende casuale che tale transustazione riesca o meno. Ad ogni modo qui il fenomeno -sottolinea Marx- va considerato puro, cioè si deve presupporre che esso proceda normalmente".
La precisazione sulla "purezza" del fenomeno ha spesso prodotto fibrillazioni nei marxisti... puri; e ciò a ragione, perché costituiva una debolezza teorica. Marx giustamente ha dovuto distinguere il momento casuale del singolo fenomeno indagato dalla sua essenza complessivamente necessaria; però è stato costretto a concepire il fenomeno puro, nel senso della sua manifestazione normale. Ma il fenomeno puro, per Marx, non è nient'altro che il fenomeno depurato dal caso: non è quindi una questione di "normalità", ma di necessità. La scienza può riflettere soltanto leggi di necessità, perciò egli ha voluto (e dovuto) chiarire che la necessità si manifesta nel fenomeno puro. E se ha dovuto fare questa precisazione è stato perché, pur avendo spesso sostenuto che il caso compare nelle singole manifestazioni di un fenomeno nel suo complesso necessario, non è mai arrivato alla conclusione logica definitiva: il singolo è casuale, il complesso è necessario.
Così, sono le singole trasformazioni di singoli scambi di merci in somme di denaro ad essere soggette al caso, mentre nel complesso delle trasformazioni il caso scompare, lasciando posto alla necessità -che può anche manifestarsi in una crisi di sovrapproduzione nella quale il processo di circolazione delle merci mostra il dispendio tipico di ogni processo naturale- Il concetto di fenomeno puro è, quindi, superfluo per la concezione dialettica caso-necessità, perchè il cosiddetto fenomeno puro può essere soltanto il complesso necessario che non ha più nulla a che vedere con la singolarità casuale. Allora, il fenomeno non è normale solo quando la trasformazione avviene: il fenomeno è normale proprio perché si verifica necessariamente soltanto nel suo complesso, lasciando i propri, numerosi singoli eventi al caso.
Scrive Marx: "Con l'estensione della circolazione delle merci cresce il potere del denaro, della forma sempre pronta, assolutamente sociale, della ricchezza". "Mirabile cosa l'oro! Chi lo possiede è padrone di tutto ciò che desidera. Con l'oro si possono perfino far pervenire le anime in paradiso!" (Colombo, Lettere dalla Giamaica, 1503). "Come nel denaro è cancellata ogni distinzione qualitativa delle merci, il denaro cancella per parte sua, leveller radicale, tutte le distinzioni. Ma anche il denaro è merce, una cosa esterna, che può diventare proprietà privata di ciascuno".
La cieca necessità della trasformazione della merce in denaro -assicurata soltanto a livello del complesso della circolazione delle merci, mentre a livello dei singoli è lasciata al caso- produce la cieca necessità del potere del denaro come potenza sociale, che diventa potenza privata di singoli individui solo casualmente. Poiché, ormai, tutti i valori d'uso si presentano come merci, con qualità differenti che il denaro cancella, "il possessore di grandi somme di denaro è padrone di tutto ciò che desidera".
Ma il possesso individuale del denaro non è garantito necessariamente, così come non è garantita necessariamente la trasformazione di singole, determinate merci in denaro. La potenza sociale del denaro, nella società capitalistica, è un fatto certo, ciecamente necessario; la potenza privata del denaro è, invece, un fatto incerto affidato ai capricci del caso. Il principale fondamento dell'incertezza della vita individuale nella società contemporanea è proprio il caso relativo alla potenza privata del denaro. Poiché sono infinite le forme di appropriazione di denaro e le forme attraverso le quali può essere perduto, nessuno può essere certo del grado e della durata delle sue fonti di reddito che gli procurano una data quantità di denaro; perciò, nessuno può essere certo del grado e della durata della sua "potenza privata" in relazione ai propri bisogni e desideri: se, in altre parole, è o sarà padrone o schiavo di essi.
Tratto da "La dialettica caso-necessità nella storia" (2003-2005)
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