"In questo capitolo tratterò unicamente della probabilità degli eventi e dei problemi a cui essa dà luogo. Questi problemi sorgono in relazione alla teoria dei giochi d'azzardo e con le leggi probabilistiche della fisica". Così K. Popper inizia l'ottavo capitolo della sua "Logica della scoperta scientifica", e aggiunge: "Le idee che implicano la teoria della probabilità svolgono una parte decisiva nella fisica moderna. Tuttavia non siamo ancora in possesso di una definizione soddisfacente e non contraddittoria di probabilità, o, il che è esattemente lo stesso, non abbiamo ancora un sistema assiomatico soddisfacente per il calcolo delle probabilità. Anche le relazioni tra probabilità ed esperienza non hanno ancora trovato una chiarificazione".
Per ovviare a questa mancanza, Popper si pone due compiti: "Il primo è quello di fornire nuovi fondamenti per il calcolo delle probabilità. Nel tentativo di assolvere a questo compito svilupperò la teoria della probabilità come teoria frequenziale, battendo la strada seguita da Richard von Mises, ma senza far uso di quello che egli chiama l'"assioma di convergenza" (o "assioma limite") e adattando un assioma del disordine (randomness) un pò indebolito. Il secondo compito che mi propongo è quello di delucidare le relazioni esistenti tra probabilità ed esperienza. Questo significa risolvere quello che io chiamo il problema della decidibilità delle asserzioni probabilistiche".
Il vero problema della logica contemporanea, come ormai sappiamo, consiste nella incomprensione della polarità probabilità-frequenza, polarità che rappresenta il riflesso matematico della più generale polarità caso-necessità. Poiché la polarità dialettica è il riflesso di una contraddizione reale che appartiene ai fenomeni naturali, il problema non è certo quello della definizione "non contraddittoria di probabilità" come pretende Popper, ma di comprendere la dialettica probabilità-frequenza, superando le due opposte interpretazioni di probabilità.
"La teoria classica (laplaciana) della probabilità definisce il valore numerico di una probabilità come il quoziente che si ottiene dividendo il numero dei casi favorevoli per il numero dei casi ugualmente possibili". Ora, mentre l'interpretazione soggettivistica "tratta il grado di probabilità come misura dei sentimenti di certezza o di incertezza, di credenza o di dubbio, che possono essere suscitati in noi da certe asserzioni o da certe congetture", "l'interpretazione oggettivistica tratta ogni asserzione di probabilità numerica come un'asserzione intorno alla frequenza relativa con cui un certo evento compare all'interno di una sequenza di accadimenti".
Così, secondo l'interpretazione oggettivistica, dice Popper: "l'asserzione seguente: "la probabilità che il prossimo lancio di questo dado dia cinque è uguale a 1/6" non è propriamente un'asserzione intorno al prossimo lancio, si tratta piuttosto di un'asserzione intorno a un'intera classe di lanci, il cui prossimo lancio è un elemento. L'asserzione in questione non dice niente di più se non che la frequenza relativa del cinque all'interno di questa classe di lanci, è 1/6. Stando a questo punto di vista le asserzioni numeriche di probabilità sono ammissibili soltanto se possiamo darne un'interpretazione in termini di frequenze".
Nel sintetizzare le concezioni soggettivistica e oggettivistica, egli si astiene dal giudicarne la validità. Eppure non è difficile "falsificarle", ovvero verificarne la falsità. Come abbiamo già visto nei precedenti paragrafi, l'errore della concezione soggettivistica consiste nel ritenere che, dato un certo valore di probabilità, ad esempio 1/6 nel lancio di un dado, questo valore possa determinare in noi un'aspettativa psicologica a riguardo di ogni singolo lancio, il cui risultato è in realtà casuale. Ma, a sua volta, anche la concezione oggettivistica compie il suo strafalcione, perché, se è vero che la probabilità non permette la previsione del prossimo singolo lancio, è anche vero che l'"interpretazione in termini di frequenze" riguarda soltanto le sequenze, il cui risultato complessivo è necessario.
Allora, se è vero che il valore di probabilità, che ha per oggetto il singolo lancio, non ne permette la previsione, è anche vero che il valore della frequenza permette solo la previsione relativa alla sequenza; perciò dire che "la frequenza relativa del cinque all'interno della classe di lanci del dado è uguale a 1/6", non è più un'asserzione di probabilità ma di frequenza. E abbiamo, del resto, già dimostrato nei precedenti paragrafi che le asserzioni probabilistiche sono puramente matematiche e precedono (anche storicamente) quelle frequenziali, e che, mentre le prime indicano l'ampiezza della casualità relativa ai singoli elementi, le seconde rappresentano la necessità relativa ai complessi di elementi.
Popper cerca di distinguersi, di essere al di sopra della contrapposizione tra oggettivisti e soggettivisti, sebbene, per sua ammissione, preferisca l'interpretazione dell'oggettivista von Mises, opportunamente attenuata, per adeguarla alla sua concezione anarchica della conoscenza. Concezione che non gli permette di considerare la necessità, e quindi limita il suo ragionamento al solo caso. Per lui la teoria della probabilità è una teoria del caso. Nel paragrafo "Il problema fondamentale della teoria del caso", egli dice che "La più importante applicaziore della teoria della probabilità è l'applicazione a quelli che possiamo chiamare eventi, o accadimenti, "casuali" (chance¬like) o "a casaccio" (random)". Sono eventi caratterizzati da un genere particolare di incalcolabilità, ovvero sono imprevedibili. "E tuttavia proprio questa incalcolabilità ci fa concludere che a questi eventi si può applicare il calcolo delle probabilità".
Che il calcolo delle probabilità si possa applicare agli eventi casuali è più che ovvio, giacché esso è sorto proprio sulla base degli eventi casuali, beneficiando del nesso, già da tempo considerato, tra possibilità e caso. L'evento casuale è qualcosa che ha soltanto la possibilità di realizzarsi, ma nessuna certezza o necessità. Però è stata l'incomprensione del nesso esistente tra probabilità-frequenza statistica e caso-necessità che ha prodotto due concezioni opposte, unilaterali, e sostanzialmente erronee.
Popper si limita a osservare: "Finora neanche la teoria frequenziale è stata in grado di fornire una soluzione soddisfacente di questo problema che chiamerò il problema fondamentale della teoria del caso": e cioè in che modo "possiamo spiegare il fatto che dall'incalcolabilità -cioè dall'ignoranza- possiamo trarre conclusioni che siamo in grado di interpretare come asserzioni intorno alle frequenze empiriche, e che, alla fine, troviamo brillantemente corroborate in pratica?"
Che significa concludere un passo volutamente generico con la locuzione "corroborate in pratica"? In questo modo si tenta di mascherare il problema reale: e cioè, come giustificare le frequenze necessarie confermate sperimentalmente, partendo dal calcolo matematico delle probabilità? La soluzione, come abbiamo già visto, in particolare nei paragrafi di questo capitolo, e più in generale nella prima parte di questo volume, può essere trovata soltanto se si distingue correttamente il singolo elemento dal complesso cui appartiene, e se si collega la polarità dialettica singolo-complesso alla polarità dialettica caso-necessità: in questo modo il rapporto probabilità-frequenza non presenterà più alcun mistero.
E' stato perché i logico formali non hanno mai capito il rapporto singolo-complesso in relazione al rapporto caso-necessità, che essi hanno sempre fatto confusione tra probabilità e frequenza. Così anche Popper, che considera il calcolo delle probabilità una teoria delle sequenze di eventi, e arriva persino ad attribuire a queste ultime la condizione di casualità. Scrive infatti: "Il calcolo delle probabilità è una teoria di certe sequenze di eventi o accidenti casuali o a casaccio, cioè, di una serie di eventi ripetibili, come una serie di lanci di un dado. Queste sequenze sono definite come "casuali" da due condizioni assiomatiche: l'assioma della convergenza (o l'assioma del limite) e l'assioma del disordine (randmness). Una sequenza di eventi che soddisfi entrambe queste condizioni è chiamata da von Mises un "collettivo"."
L'errore di Popper è evidente: egli attribuisce alle sequenze (o collettivi) una qualità che appartiene invece, soltanto, ai singoli eventi: solo questi sono casuali. La casualità relativa ai singoli eventi viene attribuita alle sequenze come se, passando dal singolo evento alla sequenza cui appartiene, nulla cambiasse e il caso non si mutasse in necessità. Non si avvede che passando dal singolo al collettivo, il caso si rovescia in necessità, ovvero la probabilità si trasforma in frequenza. E mentre la probabilità indica soltanto una possibilità fra tante realizzabili dal singolo evento, la frequenza relativa rappresenta la necessità specifica realizzata dal collettivo del quale il singolo evento casuale fornisce la probabilità.
Portandosi dietro questo errore di fondo, Popper non ne azzecca una, mentre ha la presunzione di formulare il suo "progetto di una nuova teoria della probabilità", che lo porterà a contrapporsi al principio di indeterminazione di Heisenberg, e a pretendere di dimostrare nientemeno che "la possibilità di predire, con precisione arbitraria, la traiettoria delle singole particelle". Una vera assurdità! (continua)
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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume Primo Teoria della conoscenza" (1993-2002).
Il vero problema della logica contemporanea, come ormai sappiamo, consiste nella incomprensione della polarità probabilità-frequenza, polarità che rappresenta il riflesso matematico della più generale polarità caso-necessità. Poiché la polarità dialettica è il riflesso di una contraddizione reale che appartiene ai fenomeni naturali, il problema non è certo quello della definizione "non contraddittoria di probabilità" come pretende Popper, ma di comprendere la dialettica probabilità-frequenza, superando le due opposte interpretazioni di probabilità.
"La teoria classica (laplaciana) della probabilità definisce il valore numerico di una probabilità come il quoziente che si ottiene dividendo il numero dei casi favorevoli per il numero dei casi ugualmente possibili". Ora, mentre l'interpretazione soggettivistica "tratta il grado di probabilità come misura dei sentimenti di certezza o di incertezza, di credenza o di dubbio, che possono essere suscitati in noi da certe asserzioni o da certe congetture", "l'interpretazione oggettivistica tratta ogni asserzione di probabilità numerica come un'asserzione intorno alla frequenza relativa con cui un certo evento compare all'interno di una sequenza di accadimenti".
Così, secondo l'interpretazione oggettivistica, dice Popper: "l'asserzione seguente: "la probabilità che il prossimo lancio di questo dado dia cinque è uguale a 1/6" non è propriamente un'asserzione intorno al prossimo lancio, si tratta piuttosto di un'asserzione intorno a un'intera classe di lanci, il cui prossimo lancio è un elemento. L'asserzione in questione non dice niente di più se non che la frequenza relativa del cinque all'interno di questa classe di lanci, è 1/6. Stando a questo punto di vista le asserzioni numeriche di probabilità sono ammissibili soltanto se possiamo darne un'interpretazione in termini di frequenze".
Nel sintetizzare le concezioni soggettivistica e oggettivistica, egli si astiene dal giudicarne la validità. Eppure non è difficile "falsificarle", ovvero verificarne la falsità. Come abbiamo già visto nei precedenti paragrafi, l'errore della concezione soggettivistica consiste nel ritenere che, dato un certo valore di probabilità, ad esempio 1/6 nel lancio di un dado, questo valore possa determinare in noi un'aspettativa psicologica a riguardo di ogni singolo lancio, il cui risultato è in realtà casuale. Ma, a sua volta, anche la concezione oggettivistica compie il suo strafalcione, perché, se è vero che la probabilità non permette la previsione del prossimo singolo lancio, è anche vero che l'"interpretazione in termini di frequenze" riguarda soltanto le sequenze, il cui risultato complessivo è necessario.
Allora, se è vero che il valore di probabilità, che ha per oggetto il singolo lancio, non ne permette la previsione, è anche vero che il valore della frequenza permette solo la previsione relativa alla sequenza; perciò dire che "la frequenza relativa del cinque all'interno della classe di lanci del dado è uguale a 1/6", non è più un'asserzione di probabilità ma di frequenza. E abbiamo, del resto, già dimostrato nei precedenti paragrafi che le asserzioni probabilistiche sono puramente matematiche e precedono (anche storicamente) quelle frequenziali, e che, mentre le prime indicano l'ampiezza della casualità relativa ai singoli elementi, le seconde rappresentano la necessità relativa ai complessi di elementi.
Popper cerca di distinguersi, di essere al di sopra della contrapposizione tra oggettivisti e soggettivisti, sebbene, per sua ammissione, preferisca l'interpretazione dell'oggettivista von Mises, opportunamente attenuata, per adeguarla alla sua concezione anarchica della conoscenza. Concezione che non gli permette di considerare la necessità, e quindi limita il suo ragionamento al solo caso. Per lui la teoria della probabilità è una teoria del caso. Nel paragrafo "Il problema fondamentale della teoria del caso", egli dice che "La più importante applicaziore della teoria della probabilità è l'applicazione a quelli che possiamo chiamare eventi, o accadimenti, "casuali" (chance¬like) o "a casaccio" (random)". Sono eventi caratterizzati da un genere particolare di incalcolabilità, ovvero sono imprevedibili. "E tuttavia proprio questa incalcolabilità ci fa concludere che a questi eventi si può applicare il calcolo delle probabilità".
Che il calcolo delle probabilità si possa applicare agli eventi casuali è più che ovvio, giacché esso è sorto proprio sulla base degli eventi casuali, beneficiando del nesso, già da tempo considerato, tra possibilità e caso. L'evento casuale è qualcosa che ha soltanto la possibilità di realizzarsi, ma nessuna certezza o necessità. Però è stata l'incomprensione del nesso esistente tra probabilità-frequenza statistica e caso-necessità che ha prodotto due concezioni opposte, unilaterali, e sostanzialmente erronee.
Popper si limita a osservare: "Finora neanche la teoria frequenziale è stata in grado di fornire una soluzione soddisfacente di questo problema che chiamerò il problema fondamentale della teoria del caso": e cioè in che modo "possiamo spiegare il fatto che dall'incalcolabilità -cioè dall'ignoranza- possiamo trarre conclusioni che siamo in grado di interpretare come asserzioni intorno alle frequenze empiriche, e che, alla fine, troviamo brillantemente corroborate in pratica?"
Che significa concludere un passo volutamente generico con la locuzione "corroborate in pratica"? In questo modo si tenta di mascherare il problema reale: e cioè, come giustificare le frequenze necessarie confermate sperimentalmente, partendo dal calcolo matematico delle probabilità? La soluzione, come abbiamo già visto, in particolare nei paragrafi di questo capitolo, e più in generale nella prima parte di questo volume, può essere trovata soltanto se si distingue correttamente il singolo elemento dal complesso cui appartiene, e se si collega la polarità dialettica singolo-complesso alla polarità dialettica caso-necessità: in questo modo il rapporto probabilità-frequenza non presenterà più alcun mistero.
E' stato perché i logico formali non hanno mai capito il rapporto singolo-complesso in relazione al rapporto caso-necessità, che essi hanno sempre fatto confusione tra probabilità e frequenza. Così anche Popper, che considera il calcolo delle probabilità una teoria delle sequenze di eventi, e arriva persino ad attribuire a queste ultime la condizione di casualità. Scrive infatti: "Il calcolo delle probabilità è una teoria di certe sequenze di eventi o accidenti casuali o a casaccio, cioè, di una serie di eventi ripetibili, come una serie di lanci di un dado. Queste sequenze sono definite come "casuali" da due condizioni assiomatiche: l'assioma della convergenza (o l'assioma del limite) e l'assioma del disordine (randmness). Una sequenza di eventi che soddisfi entrambe queste condizioni è chiamata da von Mises un "collettivo"."
L'errore di Popper è evidente: egli attribuisce alle sequenze (o collettivi) una qualità che appartiene invece, soltanto, ai singoli eventi: solo questi sono casuali. La casualità relativa ai singoli eventi viene attribuita alle sequenze come se, passando dal singolo evento alla sequenza cui appartiene, nulla cambiasse e il caso non si mutasse in necessità. Non si avvede che passando dal singolo al collettivo, il caso si rovescia in necessità, ovvero la probabilità si trasforma in frequenza. E mentre la probabilità indica soltanto una possibilità fra tante realizzabili dal singolo evento, la frequenza relativa rappresenta la necessità specifica realizzata dal collettivo del quale il singolo evento casuale fornisce la probabilità.
Portandosi dietro questo errore di fondo, Popper non ne azzecca una, mentre ha la presunzione di formulare il suo "progetto di una nuova teoria della probabilità", che lo porterà a contrapporsi al principio di indeterminazione di Heisenberg, e a pretendere di dimostrare nientemeno che "la possibilità di predire, con precisione arbitraria, la traiettoria delle singole particelle". Una vera assurdità! (continua)
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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume Primo Teoria della conoscenza" (1993-2002).
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