Il probabilismo soggettivista di de Finetti
Non avendo compreso la dialettica probabilità-frequenza statistica, riflesso matematico della più generale dialettica caso-necessità, ossia non avendo compreso che il rapporto probabilità-frequenza è un concetto polare, il pensiero metafisico ha prodotto due opposte teorie sulla probabilità: quella soggettivista e quella oggettivista.
Non avendo compreso la differenza qualitativa esistente tra la probabilità che riguarda la sfera dei singoli eventi casuali e la frequenza che riguarda la sfera degli eventi collettivi necessari, e che il caso relativo alla prima sfera si rovescia nella necessità relativa alla seconda sfera, il pensiero metafisico ha scisso questa dialettica in modo da produrre una opposizione inconciliabile tra chi ha considerato degno di attenzione soltanto l'evento singolo, ovvero la probabilità, e chi, all'opposto, ha considerato degno di interesse scientifico soltanto l'evento collettivo, ovvero la frequenza.
Come spesso accade ai metafisici, anche questa volta ognuna delle due opposte concezioni possiede la sua mezza verità e può criticare la mezza falsità della concezione che le si oppone. Infatti, i soggettivisti hanno ragione ad affermare che la probabilità riguarda soltanto l'evento singolo e, quindi, hanno buon gioco a criticare l'attribuzione di probabilità all'evento collettivo. A loro volta, gli oggettivisti hanno ragione ad affermare che ciò che conta, dal punto di vista della regolarità, è l'evento collettivo e, quindi, hanno buon gioco a criticare la probabilità dell'evento singolo riguardo alla conoscenza scientifica.
Come conseguenza della critica reciproca, le due opposte scuole hanno tentato di sottrarsi alla disapprovazione tentando di sottrarre alla scuola avversaria il suo punto di forza, ma così facendo hanno finito col peggiorare la situazione: così, i soggettivisti hanno preteso considerare la frequenza come probabilità, e gli oggettivisti hanno preteso considerare la probabilità come frequenza: in parole povere, i primi hanno negato l'esistenza di una frequenza collettiva, e i secondi hanno negato l'esistenza di una probabilità singolare, ed entrambi hanno chiamato con lo stesso nome di probabilità ciò che intendevano in maniera opposta.
E la confusione ha raggiunto il culmine quando i soggettivisti, per negare ogni oggettività, persino quella della frequenza, hanno negato l'oggettività del concetto di probabilità (e perciò sono divenuti soggettivisti), e gli oggettivisti, per affermare l'esistenza della sola frequenza (o probabilità) collettiva, hanno negato l'esistenza della probabilità singolare, ovvero hanno negato che si possa definire l'oggettiva probabilità di un singolo evento.
Non c'è dunque da stupirsi se, in questa confusione, si siano persi molti scienziati di formazione sperimentale. Perciò può essere utile anche per loro esaminare qualche rappresentante dell'una e dell'altra scuola, per inquadrare i limiti del loro modo di pensare, e chiarire i confini tra le due scuole. A questo scopo cominciamo dalla "Teoria delle probabilità" (1974) di Bruno De Finetti, matematico fondatore della scuola probabilista soggettivista.*
Nel paragrafo "Della certezza e dell'incertezza", l'autore afferma: "Tutti e sempre ci troviamo -nei confronti di tutte o quasi le cose- in condizioni d'incertezza". Incertezza, persino nel determinismo, ("d'altronde non più di moda"), per via della "insufficiente conoscenza della situazione iniziale e delle presunte leggi,..."
De Finetti parte dall'"incertezza", per poi considerare la "logica" che egli identifica con la "logica del certo". E, in base a questa logica, stabilisce la seguente distinzione tra "certo", "impossibile" e "possibile": "Si potrà stabilire quali, fra tutte le conclusioni che possono interessare, risultino rispettivamente, in base ai dati, o certe (certamente vere), o impossibili (certamente false), oppure possibili. Tale qualifica di "possibile" -una qualifica intermedia, generica e puramente negativa- si applica a tutto ciò che non rientra nei due casi-limite estremi: esprime così la nostra ignoranza, nel senso che, in base a quanto ci consta (di dati e conoscenze) la detta affermazione potrebbe risultare sia vera che falsa".
"Questa definizione di "possibile -aggiunge l'autore- pecca però essa stessa di eccessiva e illusoria fiducia nella "certezza"; suppone infatti che la logica ci basti sempre a separare nettamente ciò che è determinato (o vero o falso) in base a date conoscenze e ciò che non lo è".* Ora, sebbene egli affermi che "All'ambito del logicamente possibile (sopra definito) si aggiungerà sempre in pratica una frangia (mal delimitabile) del personalmente possibile", ossia soggettivistico, per semplificare, scrive: "consideremo sempre il caso in cui "possibile" possa interpretarsi nel senso del logicamente possibile", ossia nel senso dell'oggettivismo.
De Finetti, quindi, definisce il possibile, secondo la logica della certezza, come l'ambito "su cui si estende la nostra incertezza". "Studiare, come ora ci limiteremo a fare, l'ambito delle possibilità, -egli scrive- significherà imparare a riconoscere tutto ciò che, a proposito dell'incertezza, si può dire rimanendo nel dominio della logica del certo, cioè nel dominio di ciò che è oggettivo. La probabilità sarà una nozione ulteriore, non appartenente a tale dominio, e pertanto una nozione soggettiva".
Ma perché ha distinto i due concetti di possibilità e di probabilità, separandoli in due sfere opposte come quella dell'oggettivo e del soggettivo? La sua risposta è la seguente: "Sia la distinzione che il nesso fra i due campi sono facili da chiarire: la logica del certo ci fornisce l'ambito delle possibilità (e il "possibile" non ha gradazioni); la probabilità è una nozione aggiuntiva che si applica nell'ambito della possibilità, facendovi apparire gradazioni ("più o meno probabili") che nella logica del certo non hanno senso".
De Finetti ha perfettamente ragione a sostenere che il possibile non ha gradazioni. Non ha senso dire che qualcosa è più o meno possibile. Ma chi fornisce senso alle gradazioni delle probabilità? L'affermazione che qualcosa è "più o meno probabile" continua a non avere senso oggettivo, perciò ha solo un senso soggettivo: insomma, dipende dalle sensazioni e aspettative del soggetto.
Nel capitolo terzo, "Dall'incertezza alla previsione", l'autore collega questa nozione soggettivista della probabilità alla nozione di "previsione". Ma prima deve distinguere tra previsione e predizione. Quest'ultima, dice, è legata al "possibile": predire è tentare di indovinare fra varie alternative possibili. Quindi non ha alcun valore. Altra cosa è la previsione che, essendo legata al "probabile", può avvalersi della "gradazione". Come prima egli aveva separato la "probabilità" dalla "possibilità" per poterla "graduare", così ora egli separa la previsione dalla predizione per poterla rendere "ponderabile".
De Finetti, in definitiva, pretende rendere misurabile ciò che appartiene alla sfera delle impressioni soggettive, cioè le probabilità, e, grazie alle gradazioni di probabilità, determinare le previsioni. Il brano che segue chiarisce molto bene il suo pensiero:
"L'incerto rimane incerto, ma ai diversi eventi incerti attribuiamo un grado maggiore o minore di quella nuova cosa, extralogica, soggettiva, personale (la mia, la tua, la sua: ciascuno a suo modo), che esprime tali atteggiamenti: quella cosa che anche nel linguaggio abituale si dice probabilità, e che dovremo chiarire e studiare". (Detto tra parentesi, questa impostazione che prende in considerazione la probabilità personale, che ciascuno gradua a suo modo, altro non è che solipsismo) "La previsione, nel senso che diamo al termine e che approviamo (giudicandolo, a differenza della predizione, una cosa seria, fondata, necessaria), consiste nel considerare ponderatamente tutte le alternative possibili per ripartire fra di esse nel modo che parrà più appropriato le proprie aspettative, le proprie sensazioni di probabilità".
Ma come si fa a fondare la necessità della previsione sul solipsismo della probabilità? De Finetti si vede costretto ad aggiungere il requisito di "coerenza"; ma quale coerenza può sortire dalla circostanza che ciascuno a modo suo, ossia solipsisticamente, attribuisce un certo grado di probabilità a un evento incerto?
Ora, se questa impostazione sembra dettata da esigenze quali quelle relative al gioco e alle decisioni, e finché rimane in quell'ambito può solo danneggiare qualche illuso, le cose cambiano quando si tratta di eventi che non dipendono in alcun modo dalle impressioni soggettive. De Finetti è ben consapevole che quando si tratta, ad esempio, del lancio della moneta, l'impressione non è più soggettiva, e quindi è costretto a mettere le mani avanti: "bisogna -egli scrive- evitare l'impressione che in problemi di questo tipo si tratti di una diversa specie di probabilità, oggettiva anziché soggettiva".
Da notare che, per sua stessa ammissione, l'autore, finora, ha teorizzato su concetti come "possibilità", "probabilità", "predizione" e "previsione", senza aver ancora definito la probabilità secondo la specifica teoria del calcolo delle probabilità. Il fatto è che aveva bisogno di mettere le mani avanti, prima di passare alla definizione matematica di probabilità: doveva prima sostenere con forza la sua concezione soggettivista che, di per sé, la definizione di probabilità non favorisce. Cosa questa che risulterà evidente dopo aver preso in considerazione il seguente "teorema: se gli eventi di una partizione vengono giudicati ugualmente probabili, la probabilità di ciascuno di essi è 1/n (indicando con n il loro numero), e la probabilità di un evento-somma m tra essi è m/n. Secondo una locuzione ormai classica, si suole dire che, in tali condizioni, la probabilità è data dal rapporto tra il "numero dei casi favorevoli" (m) e il "numero dei casi possibili" (n)".
Da notare che la "locuzione ormai classica" definisce la probabilità come rapporto numerico tra casi favorevoli e casi possibili. In altre parole non si può distinguere e separare il probabile dal possibile. Perciò, la probabilità, dipendendo dalla oggettiva possibilità, è a sua volta qualcosa di oggettivo. Ma la nota dolente per il soggettivismo viene dal problema della frequenza. Quindi è in relazione ad esso che possiamo valutare la presa di posizione soggettiva di De Finetti. Vediamo a questo proposito il paragrafo "La previsione di frequenze":
" ... la somma delle probabilità deve uguagliare la previsione del numero di successi, ossia, dividendo per n, si ha:
teorema: la media aritmetica delle probabilità deve uguagliare la previsione della frequenza:
(p1+ p2 + ... + pm)/n = P (Y/n) = P(Y)/n
Se, in particolare, gli Ei [gli eventi] si giudicano ugualmente probabili pi = p, risulta p = P(Y/n) = P(Y)/n: la probabilità (comune a tutti gli eventi) è uguale alla previsione della frequenza".
Questa è una chiara definizione oggettiva, che mostra l'identità matematica tra la probabilità del singolo evento e la frequenza del complesso degli eventi, e che, come abbiamo già osservato nei precedenti paragrafi, comporta un profondo problema di interpretazione. L'identità matematica nasconde, come abbiamo tentato di dimostrare, una profonda contraddizione dialettica. Per De Finetti, si tratta, invece, di una banalità!
"Per utilizzare correttamente questo teorema -egli scrive- occorre sia ben chiaro che è una banalità (!); altrimenti si corre il rischio di vederci sotto chissà che cosa". Per lui il Teorema mostra solo un'identità: "non ci vincola affatto salvo dirci che la stessa cosa, scritta in due modi, è pur sempre la stessa cosa (circa come la somma di una tabella a doppia entrata, sommandola per righe oppure per colonne)". Insomma, per il probabilista soggettivista, probabilità e frequenza sono la stessa cosa.
Poiché anche il probabilista oggettivista è dello stesso avviso, da dove sorge il contrasto? Sorge dal fatto che per il soggettivista la frequenza è solo probabilità, mentre per l'oggettivista è la probabilità che è solo frequenza. Quindi per il primo la frequenza è, come la probabilità, soggettiva, mentre per il secondo la probabilità è, come la frequenza, oggettiva. Questo è l'oggetto del contendere. (Continua)
* Nel prossimo paragrafo prenderemo in considerazione un rappresentante della scuola oggettivista, Hans Reichembach.
** Come si vede, la logica del certo altro non è che la logica deterministica, per la quale tutto è necessario: la necessità coincide con il reale, mentre ciò che appare come caso dipende dalla nostra ignoranza delle cose; e il caso coincide con il possibile.
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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume primo Teoria della conoscenza" (1993-2002)
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