venerdì 7 giugno 2013

1] La scienza delle (impossibili) previsioni: abbandonare ogni speranza?

Il contributo di A.Vulpiani, fisico teorico dell'Università di Roma, si conferma come un ennesimo esempio di dappocaggine (concettuale) della fisica teorica. Dopo aver sottolineato la differenza tra la facilità di previsione delle eclissi e l'estrema difficoltà in meteorologia e in borsa, e altre amenità sulle "leggi di evoluzione", egli stabilisce la differenza tra leggi deterministiche e leggi probabilistiche, senza distinguere tra 1) i processi della natura, 2) i processi umani simili a quelli naturali, 3) i processi umani di tipo artificiale, tecnologico.

L'estratto che segue mette in evidenza gli equivoci di teoria della conoscenza che agitano i fisici teorici: "In prima approssimazione possiamo classificare le leggi di evoluzione in due grandi classi: deterministiche e probabilistiche. Per determinismo si intende che lo stato del sistema a un certo tempo determina univocamente lo stato a ogni tempo successivo. E' ancora aperto il problema concettuale di come interpretare le leggi, se realmente esistenti o con una mera valenza descrittiva. Anche sulla dicotomia determinismo-probabilismo ci sarebbe molto da dire: descriviamo il lancio di un dado in termini probabilistici, ma si potrebbe obiettare che un dado segue le leggi di Newton che sono deterministiche, in questo caso un approccio probabilistico sarebbe solo un artificio pratico. Al di là degli aspetti filosofici è importante sottolineare che anche in ambito probabilistico ci sono casi in cui le previsioni sono praticamente certe".

Ma qui si confonde praticamente tutto: il determinismo (che consiste nella determinazione di un dato effetto da parte di una data causa) è confuso con le leggi.  Queste, a loro volta, sono confuse con il problema della loro interpretazione, problema che per Vulpiani sarebbe ancora aperto (se siano "realmente esistenti" o abbiano solo "valenza descrittiva"). Infine, che cosa significano le previsioni probabilistiche praticamente certe? riguardano le probabilità o le frequenze? Perché, sulla probabilità, ad esempio, P=1/2 nel lancio della moneta, non è il singolo lancio che può confermarla, ma solo un gran numero di lanci -per i quali, però, non si tratta più di probabilità ma di frequenza.

Quando un fisico teorico, poi, non sa più come andare avanti, riguardo al determinismo, cita il solito Laplace e il suo appello a una intelligenza sovrumana ecc., per poi buttar lì magari una frasetta, tipo"Ovviamente il super matematico non esiste", e infine appellarsi a una speranza "Si potrebbe sperare che un supercomputer possa aiutarci a creare un supermatematico (o almeno una sua buona approssimazione) capace di previsioni con la precisione desiderata".

Ma poi esce fuori il caos a complicare le cose, come aveva scoperto Lorenz! E anche questa è una storia  ripetuta sempre allo stesso modo, fino alla scoperta dei "sistemi deterministici caotici". Avendo scoperto un ossimoro* ne vanno così fieri da affermare, senza avere neppure un dubbio sulla validità della loro teoria: "Questo tipo di comportamento non è una patologia. Il caos è la regola, non l'eccezione; è presente ovunque in geofisica, astronomia, ottica, biologia, chimica, e così via".

Vulpiani vorrebbe risolvere con la matematica del caos quelle che sono le differenze tra i processi naturali soggetti alla cieca necessità prodotta dal caso e i processi artificiali soggetti al predeterminabile effetto prodotto dalla causa. Ora, sul terreno matematico, chi scrive non è in grado di seguirlo potendo solo limitarsi a osservare (concettualmente) che la difficoltà della previsione (prevista già da Maxwell e riscoperta da Lorenz) non poteva trovare soluzione nella matematica, e ad aggiungere che non c'è risultato matematico che possa essere risolutivo se non è possibile esprimerlo nel linguaggio della teoria della conoscenza o dei concetti.

Ebbene, in che modo Vulpiani conclude il suo articolo nel linguaggio dei concetti? Scrivendo: "Poincaré ha stigmatizzato in modo chiaro gli eccessi di un empirismo ingenuo: "La scienza si costruisce con i fatti, come una casa con le pietre, ma una raccolta di fatti non è una scienza più di quanto un mucchio di sassi non sia una casa" Tuttavia, attualmente c'è una nefasta corrente di pensiero che vede come unico ingrediente rilevante nella scienza i dati. Secondo questo punto di vista, che purtroppo prende sempre più piede, dato che siamo nell'era dei dati in abbondanza, si può fare a meno delle teorie, basta usare i dati (sono le parole del guru informatico Chris Anderson). Abbiamo visto che nel problema delle previsioni affidarsi troppo alla mole delle osservazioni è una grande ingenuità".

Allora, bisogna abbandonare ogni speranza nelle previsioni? Nelle righe conclusive leggiamo: "Forse la lezione più significativa è quella che apprendiamo dagli sviluppi dell'intuizione di Lewis Fry Richardson", per realizzare i sogni del quale, "pur con i limiti inevitabili dovuti al caos, è stato necessario lo sviluppo di aspetti matematici (le equazioni "vere" coinvolgono variabili veloci che disturbano, quindi si devono scrivere equazioni efficaci), numerici (algoritmi veloci per integrare le equazioni) e tecnologici  (computer per i calcoli e satelliti per determinare lo stato iniziale)".

Ciò che, però, Vulpiani non ha chiarito è l'oggetto della previsione: se cioè possiamo ancora pretendere la previsione singola (oggetto della sfera del caso imprevedibile) o soltanto la previsione collettiva (oggetto della sfera della necessità prevedibile).

Per concludere, un'osservazione sull'attuale era dei dati, un'era nella quale la tecnologia può secondare l'uomo sia in positivo che in negativo: il gran numero dei dati può, infatti, permettere soluzioni statistiche realistiche, non solo utili ma anche necessarie alla conoscenza dei complessi, e questo rappresenta il lato positivo. Ma, nel contempo, affidarsi soltanto ai grandi numeri ottenuti con la tecnologia informatica, dimenticando la teoria della conoscenza, può solo favorire un rimbabimento della specie umana. (Continua)

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* Si può facilmente osservare che l'espressione caos deterministico è un ossimoro perché contiene due termini antagonisti, come erano, oltre due millenni fa, il caso di Epicuro e la causa di Democrito. Nella storia del pensiero umano, il caso o l'indeterminismo è stato sempre contrapposto diametralmente alla causa o al determinismo.

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