martedì 1 ottobre 2019

L'anomalia italiana

Vediamo il capitolo conclusivo (n.35 intitolato "L'Italia nel quadro della nuova gerarchia internazionale"), tratto dal volume di Valerio Castronovo dal titolo: "L'anomalia italiana". Sottotitolo "Un profilo storico dagli anni ottanta ai giorni nostri"" (2018)                    
                   "VERSO L'ADDIO DEL QUANTITATIVE EASING

   Da quando avevamo cominciato a compiere i primi passi lungo il percorso segnato dal trattato di Maastricht, la strada dell'economia italiana ha continuato a esser accidentata, piena di buche e di curve, malgrado gli sforzi compiuti nel frattempo per far ingresso dapprima nell'Eurozona ed evitare poi il pericolo di una sbandata irrimediabile dopo la crisi del 2008.
   Di fatto sono rimasti altrettanto evidenti che significativi i nostri punti deboli, in quanto il reddito procapite degli italiani è cresciuto solo del 5 per cento rispetto a quello del 34 per cento acquisito dall'insieme degli altri partner della Ue, il debito pubblico è aumentato da meno del 100 a quasi il 132 per cento del Pil e la produttività totale dei fattori (che include il capitale) è venuta diminuendo. Tranne il buon andamento presoché costante delle esportazioni, in pratica è da più un ventennio che l'Italia ha seguitato a navigare nelle acque di una sostanziale stagnazione appena scalfita dai recenti segnali di una ripresa che va tuttavia consolidata.

   Le cause di questo deprimente stato di cose sono quasi esclusivamente di natura endogena: anche se il rifiuto espresso dalla Commissione di Bruxelles (allineata al dogma di una rigida politica di austerità) nei riguardi di una mutualizzazione dei debiti sovrani (come quella rappresentata dagli eurobond) ha reso certamente più pesante l'ipoteca del nostro debito pubblico. Tuttavia è pur vero che, dal luglio 2012, l'annuncio della Bce che avrebbe acquistato all'occorrenza titoli di Stato del paesi più in difficoltà e poi, dal 2015, il Quantitative easing hanno alleggerito sensibilmente i tassi d'interesse altrimenti elevati (in quanto esposti alle valutazionin dei mercati) rendendo così possibile la sostenibilità da parte del Tesoro del nostro debito, che resta comunque il "tallone d'Achille" dell'Italia.
   Il nostro Paese è rimasto pertanto uno degli anelli deboli dell'Eurozona e ciò concorre a ridurre pure le sue quotazioni a livello politico.
   Dato per scontato che un'eventuale uscita dall'Euro sarebbe in queste condizioni una sorta di suicidio, in quanto complicherebbe ancor più i nostri problemi finanziari e quelli della nostra economia reale, risulta comunque indispensabile la terapia suggeritaci nel giugno 2017 dal Fondo monetario internazionale: ossia, la prosecuzione di riforme strutturrali coerenti e una maggiore produttività per la progressiva riduzione di un debito pubblico frattanto stabilizzatosi ma non ancora a un punto tale da acquisire un'adeguata credibilità dei mercati.
    D'altra parte, la Bce seguiterà solo per alcuni mesi ad acqui-stare lo stesso volume di titoli pubblici italiani e non è affatto scontato che i tassi d'interesse rimangano bassi come è avvenuto finora, ma è dato prevedere che lieviteranno. Né si può ritenere, naturalmente, che basterebbero altre privatizzazioni per ridurre il peso del nostro maxidebito: a meno di immaginare una dismissione pezzo per pezzo del demanio pubblico, del tutto inconcepibile.
    Sappiamo, comunque, fin d'ora, stando a un rapporto della Commissione di Bruxelles, che la sostenibilità del nostro debito risulta a rischio nel medio periodo, per via di politiche monetarie tendenzialmente restrittive, oltre a essere esposta a eventuali shock sfavorevoli.
    In pratica, l'Italia si trova quindi a dover far assegnamento unicamente su se stessa per ridurre l'indebitamento pubblico (giunto alla cifra di 40 mila euro per ciascun italiano d'ogni età) e per uscire dall'impasse in cui versa da molto tempo, sciogliendo i tanti vincoli che ancora penalizzano la competitività del sistema economico e neutralizzando il pericolo di un ulteriore impoverimento di vari strati della popolazione, già duramente provati. Poichè durante la recessione, fra il 2008 e il 2016, il reddito procapite è sceso di 2.800 euro e i disoccupati sono aumentati alla cifra di tre milioni.
    Spetta perciò alla nostra classe dirigente venire a capo delle emergenze che ci assillano e imprimere una sterzata che valga a riportare l'Italia in corsa, sebbene l'Unionne europea non possa starsene alla finestra. Poiché, nell'ambito di una compagine caraterizzata da un insieme di rapporti interdipendenti, occorre che le istituzioni comunitarie agiscano, alla luce dell'interesse collettivo, per mantenere coeso l'assetto dell'Europa e salvaguardare le sue prerogative nello scenario internazionale, in base a una strategia efficace e condivisa, orientata alla crescita a a un impegno solidale. Ciò da cui dipendono d'altronde la tenuta della Ue e la sua possibilità di reggere i duri confronti in atto su scala mondiale.

                          NELLE SECCHE DEL NOSTRO SISTEMA POLITICO

    La bocciatura del progetto di riforma costituzionale, che avrebbe dovuto abolire un sistema parlamentare bicamerale, e la nuova legge elettorale per due terzi in senso proporzionale avevano resuscitato in Europa i timori sulla governabilità del nostro Paese.
    In questo contesto, da un lato, si era rifatto sotto il centro-destra, in seguito sia al largo successo riportato nelle elezioni amministrative del giugno 2017 in oltre un centinaio di Comuni (fra cui, alcune vecchie roccaforti "rosse") alla formazione fra Forza Italia con a capo un redivivo Berlusconi), la Lega di salvini e Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni di un unico schieramento. Dall'altro, il Pd si era spaccato in due per l'uscita dal partito di Renzi (tornato a capo della segreteria in seguito al risultato delle primarie) di 37 deputati e 14 senatori che avevano dato vita, sotto la guida di Bersani e di Roberto speranza affiancati da D'Alema, al Movimento democratico e progressista, dal quale era sorto un nuovo partito dei Liberi uguali con l'apporto di Sinistra italiana. E questi due tronconi della sinistra avevano incrociato i ferri in una sfida sempre più serrata su tutta la linea. Inoltre a occupare la ribalta si era attestato il Movimento Cinquestelle, forte degli ultimi risultati elettorali che lo avevano proiettato al primo posto rispetto agli altri partiti, con una parte dei suoi militanti schierata su posizioni euroscettiche.
    Anche il leader della Lega Salvini ha messo in discussione, nell'ambito del centrodestra, i legami dell'Italia con la Ue, mentre Renzi, nell'intento di arginare l'offensiva degli scissionisti, ha alzato la voce nei riguardi degli "eurocrati" di Bruxelles prospettando all'occorrenza il veto del Pd all'introduzione del Fiscal Compact nei trattati europei, finendo così per mettere in imbarazzo il governo in carica, in quanto Gentiloni era di tutt'altro avviso. Già ministro delle Comunicazioni fra il 2006 e il 2008 con Prodi, dopo un noviziato politico fra la sinistra e il movimento ambientalista, e giunto nell'Ottobre 2014, con Renzi, a ricoprire l'incarico di ministro degli Esteri, ha continuato infatti ad agire dopo l'ingresso nel dicembre 2016 a Palazzo Chigi al posto del leader del Pd (dimessosi in seguito al risultato negativo del referendum costituzionale) con lo stesso passo misurato e lo stesso modo calibrato che l'avevano fino ad allora contraddistinto.
    Perciò solo una parte della classe politica, con il rincalzo di Berlusconi (spintosi a Bruxelles, per riaccreditarsi presso i leader del Partito popolare europeo garantendo il sostegno del suo partito alla causa europeista) costituisce un punto di riferimento sicuro per i vertici dell'Eurozona e della Bce. Troppo poco, in sostanza, per garantire un ancoraggio ai canoni finanziari di Bruxelles in una situazione economica e sociale nuova, complessa e incerta. D'altra parte, se in Germania s'è raggiunto, infine, dopo sei mesi, un accordo pur stiracchiato fra Cdu e Spd, lo si deve al fatto che il corso dell'economia tedesca ha tranquillizzato nel frattempo sia i mercati internazionali che l'opinione pubblica interna.

                              TRA I RISCHI DI GUERRE COMMERCIALI
                                 E I VINCOLI DELL'UNIONE EUROPEA

    Se per i nostri ambienti economici lo spread con i Bund tedeschi è rimasta la pietra angolare di paragone per misurare lo stato effettivo della finanza pubblica e quindi l'atteggiamento dei mercati, per vari settori politici e per i principali quotidiani hanno assunto sempre più rilievo i propositi dell'inquilino dell'Eliseo. E' vero che egli è atteso a un banco di prova impegnativo come il suo controverso progetto di riforma del mercato del lavoro; ma ha intanto mostrato a chiare lettere di mirare, ricalcando per certi aspetti le orme di De Gaulle, a un rilancio dell'azione di Parigi sul versante della politica internazionale e nell'ambito del concerto europeo. Tanto più che Macron ha preso fin da subito le distanze dall'atteggiamento della Merkel apertamente in contrasto con un personaggio come Trump. E lo ha fatto invitando il presidente americano a Parigi, in occasione della ricorrenza del 14 luglio, perché assistesse, al suo fianco, alla tradizionale sfilata militare sugli Champs Elisées, non senza richiamare alla memoria gli storici rapporti intercorsi tra la Francia e l'America in epoca prerivoluzionaria. E' quindi evidente la sua intenzione di tenersi le mani libere per agire in proprio, muovendo comunque dalla sua convinzione che Trump sia il principale alleato del'Europa e con lui si debba pur sempre fare i conti.
    Conclusasi l'epoca di Obama con un record di ben 75 mesi consecutivi di crescita dell'occupazione (grazie ai salvataggi di banche, imprese automobilistiche e di altri settori), ma senza che fossero migliorate sensibilmente le condizioni della middle class, il nuovo inquilino della Casa Bianca sta giocando le sue carte all'insegna dello slogan "America First", in funzione di una politica populista e protezionista. Inoltre ha ammonito in modo perentorio i governi euro-occidentali che considera finito il tempo in cui gli Stati Uniti hanno provveduto alla sicurezza del vecchio continente e che adesso tocca perciò a loro fornire un maggior contributo finanziario alla Nato per la propria difesa. In ogni caso, Trump non intende "esportare la democrazia", come Clinton e Obama si sono impegnati a fare in passato; a lui importa piuttosto, da un lato, promuovere un riavvicinamento (a certe condizioni) con la Russia di Putin e trattare con la Cina, senza badare al suo regime autoritario ma solo a convenienti rapporti commerciali; e, dall'altro, rafforzare i rapporti con l'Arabia saudita e altri paesi sunniti avversari dell'Iran.
    Perciò si dà ormai per scontato che non si possa giungere alla firma dei negoziati per il trattato transatlantico fra gli Usa e la Ue. Ciò che in fondo non dispiace affatto sia ai movimenti populisti euro-occidentali e alla destra euroscettica prevalentemente nelle contrade centro-orientali. D'altronde dopo il divorzio della Gran Bretagna dalla Ue, è tornata alla ribalta lla storica "relazione speciale" fra Londra e Washington (non a caso Trump aveva invitato alla Casa Bianca, quale suo primo ospite, Theresa May).
    In questo contesto c'è il rischio che a perderci di più sia l'Italia, in quanto le restrizioni anche alle importazioni dall'Europa che Washington non ha escluso di voler applicare potrebbero avere conseguenze più pesanti a paragone di quelle per altri paesi della Ue. Tra il 2010 e il 2016 il valore delle nostre esportazioni verso gli Usa sono aumentate del 59 per cento in dollari correnti, venti punti in più rispetto alla Germania e 37 in più al della Francia. E nel corso del primo semestre del 2017 (grazie alle macchine utensili, alle auto di alta gamma, al tessile e alla moda) si è registrato un avanzo commerciale nello scambio di beni con gli Stati Uniti pari all'1,5 del nostro Pil.
    Ma c'è da dubitare sulla nostra possibilità di manenere la posizione di ottavo partner degli Usa, sia per le difficoltà di contrastare numerose contraffazioni concernenti alcuni nostri marchi rinomati, sia per le nuove tendenze protezionistiche di Washington.
    Inoltre, col taglio delle tasse annunciato dal presidente americano assistito da uno staff di ex banchieri della Goldman Sachs, gli Stati Uniti sono in grado di risucchiare altri capitali e aziende dall'Europa e ciò vale annche per l'Italia. Tant'è che il nostro governo, insieme a quello francese e tedesco, non ha mancato di protestare perché lla riforma fiscale concepita da Tramp crea di fatto una forma implicita di dumping, di concorrenza sleale.
    Per di più, su un altro versante nevralgico come quello dei nostri rapporti con la Cina, che ha frattanto compiuto passi da gigante anche nell'hi-tech, non mancano i motivi di tensione. E ciò per via della sua crescente capacità produttiva nel settore siderurgico, che insidia le posizioni dell'Ilva (il principale produttore d'acciaio in Europa) e sta guadagando terreno in altri comparti nevralgici (come alluminio, semiconduttori, parti di ricambio, per auto, vetro e carta), grazie a varie pratiche di dumping. Perciò, contro la richiesta della Cina di venire riconosciuta come un'economia di mercato a pieno titolo, il nostro governo continua a opporsi. Ma non è detto che altri partner della Ue (compresa la Germania, interessata all'esportazione in Cina di auto elettriche) non finiscano prima o poi per cedere.
    Frattanto, a causa di una congerie di promesse d'ogni sorta elargite dai partiti durante la campagna elettorale che aumenterebbero notevolmente la spesa pubblica senza adeguate coperture finanziarie, sono cresciute a Bruxelles le apprensioni sull'effettiva attuazione delle misure necessarie per la riduzione del nostro debito e per una eventuale manovra correttiva di bilancio. D'altra parte, ad alimentare queso genere di riserve, condivise anche dal Fondo monetario internazionale, concorrono determinate circostanze oggettive. Innanzi tutto, la Banca centrale europea ha previsto una progressiva uscita dal Quantative easing, a partire dal gennaio 2018, riducendo da 80 a 60 miliardi i propri acquisti sul mercato dei titoli pubblici, per dimezzarli poi dal successivo settembre. Di conseguenza, sebbene l'Eurotower deterrà in prospettiva 300 miliardi di titoli pubblici italiani (insieme a un buo numero di obbligazioni societarie), andrà abbassando man mano il "bazooka" con cui ha agito sinora al fine di contenere al massimo possibile i tassi d'interesse e assecondare la ripresa dell'economia europea. Nel contempo la vigilanza della Bce ha annunciato nel novembre 2017 che aumenterà gli accantonamenti che le banche dovranno effettuare a copertura dei crediti deteriorati inesigibili (non performing longs) che esse hanno in pancia: anche se poi ha concesso in proposito una stretta "più morbida" in un periodo di due anni.
    Si tratta, quindi, di vedere se, in seguito a un "ombrello protettivo" meno esteso dells Bce, tornerà ad aumentare lo spread dei nostri Btp con i Bund tedeschi. Poiché il debito pubblico dell'Italia ha contnuato a crescere dal 2011, salendo dal 116 per cento al 132 nel 2017 e, pur stabilizzatosi a quella data, non è detto che il governo risultante dall'esito delle urne del marzo 2018 sarà in grado di garantire una politica economica compatibile con le effettive risorse disponibili, dopo che si è già ottenuta da Bruxelles una riduzione dell'aggiustamento dei conti pubblici, non più negoziabile senza un aumento parallelo dell'Iva e delle accise.
    Per giunta, c'è da tener presente che la Germania, per prima, non è propensa a completare l'unione bancaria o a rafforzare il "Fondo salva Stati", qualora l'Italia non provveda a varare adeguate misure di ristrutturazione del debito sovrano che limitino sia i rischi e i costi di un eventuale salvataggio esterno sia la presenza di titoli di Stato nel portafoglio delle nostre banche. Anche perché incombe a questo riguardo la prospettiva sostenuta da Schauble prima della sua uscita di scena nell'ottobre 2017, ma tutt'altro che dissoltasi nel frattempo, di trasformare il "Fondo salva Stati" in un vero e proprio Fondo monetario europeo col compito di vigilare sui conti pubblici togliendo quindi importanti competenze alla Commissione di Bruxelles, ritenuta da Berlino troppo politicizzata: ciò che Juncker ha finito per avallare pronunciandosi ufficialmente in tal senso nel suo discorso, nel settembre 2017, al Parlamento di Strasburgo sullo stato dell'Unione.
    Ne questi sono gli unici scogli che occorre superare nel nostro itinerario, in quanto c'è di mezzo pure il problema che verrà imponendosi col prossimo bilancio comunitario 2021-2027, poiché sarà decurtato per la mancanza del contributo di Londra uscita dalla Ue. Perciò l'Italia dovrà cercare di limitare i tagli a due capitolo del budget europeo essenziali al nostro Mezzogiorno, come quelli concernenti rispettivamente l'agricoltura e la pesca e la "politica di coesione sociale", al fine di impedire un aumento del divario del Sud rispetto al resto del Paese. La commissione europea ipotizza infatti di dare la priorità ad altri fondi, come quelli per l'immigrazione e la sicurezza, per soddisfare le istanze di numerosi Paesi.
    Si spiega pertanto come seguitiamo ad arrancare fra ideali europeisti e crude lotte di quartiere nell'ambito dell'Unione europea e, allo stesso modo, sul versante più generale della politica estera, a destreggiarci per una "quadratura del cerchio" fra gli impegni dell'Alleanza atlantica e gli interessi economici con la Russia di Putin." 

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