"LA DIALETTICA
CASO-NECESSITA' IN BIOLOGIA
L'ENIGMA SVELATO"
PREMESSA
L'erroneo
predominio del determinismo
La prima osservazione da fare, passando dalla fisica
alla biologia, è che l'oggetto di quest'ultima si riduce
quantitativamente a un'inezia, mentre qualitativamente cresce di
complessità in maniera incommensurabile. La materia vivente
rappresenta, infatti, una percentuale infima dell'enorme quantità di
materia presente nel cosmo. Ma, nel contempo, rappresenta il
risultato più complesso e maturo dell'evoluzione. Per riflettere
scientificamente questa complessità biologica, il pensiero
dialettico, se così si può dire, è ancora più necessario che in
fisica.
Darwin è stato l'unico importante teorico della
biologia, perché ha concepito l'evoluzione necessaria delle specie,
mentre, se non è stato in grado di riflettere la dinamica di questa
evoluzione, lasciando nei pasticci i suoi successori, è soltanto
perché non è riuscito a concepire la dialettica caso-necessità.
Così, pur avendo intuito il ruolo del caso, non è riuscito a
sottrarsi dal predominio del pensiero deterministico-riduzionistico,
giungendo alla conclusione contraddittoria che, se il caso è
osservabile in ogni singola variazione, la selezione naturale opera
necessariamente sui singoli organismi che variano.
Se il caso è stato il "terribile pasticcio"
di Darwin, esso rappresenta, oggi, la bestia nera dei biologi di
tutte le scuole, a tal punto che un biologo come Dawkins ha scritto
un volume di 500 pagine, solo perché "dominato dall'idea del
caso", e nella speranza di trovare un modo per ammansirlo e
"strappargli gli artigli". Ciò che, invece, in
questo libro, si vuole dimostrare è che, grazie alla logica
dialettica fondata sulla polarità caso-necessità, è possibile
affrontare in modo nuovo la biologia, per raggiungere quei risultati
scientifici che rimangono inevitabilmente preclusi all'attuale
determinismo finalistico, riduzionistico e meccanicistico della
teoria del "codice genetico".
PREFAZIONE
La legge biologica
dell'evoluzione dispendiosa
Il concetto di evoluzione ci permette di riflettere
il movimento della materia organica, praticamente ad ogni livello: da
quello dei genomi a quello delle cellule, degli organi, degli
organismi, delle specie, ecc.; e, sebbene l'evoluzione, ad ogni
livello, abbia i suoi tempi specifici, occorre aver chiaro che non si
può comprendere pienamente l'evoluzione delle specie se non si è
compresa l'evoluzione dei genomi, delle cellule, degli organi e degli
organismi che appartengono alle specie stesse. Così, quando si tenta
di spiegare l'esplosione evolutiva del Cambriano, la prima cosa da
considerare è l'"esplosione evolutiva" della cellula
eucariotica. E’ il salto evolutivo dalla cellula procariotica alla
cellula eucariotica che ha permesso l'origine e l'evoluzione delle
specie. E il primo contrassegno che dobbiamo sottolineare di questa
evoluzione è il numero incredibilmente elevato di specie diverse il
cui esito è stato, in gran parte, l'estinzione.
La storia delle teorie dell'evoluzione, come ogni
storia delle diverse concezioni del pensiero, è sterminata: ma non
c'è una sola teoria dell'evoluzione che consideri il dispendio
delle specie (e degli organismi di ogni specie) come il contrassegno
principale, la chiave, per comprendere l'evoluzione della
materia organica. Questo aspetto, in genere, è stato e continua ad
essere sottovalutato o considerato come un dato di fatto sul quale
non valga la pena di indagare.
1) L'incompresa necessità dialettica
nella concezione di Jacques Monod:
la concezione teleonomica al posto
della dialettica caso-necessità
Nel suo libro, "Il Caso e la necessità",
pubblicato nel 1970, il premio Nobel per la medicina, J. Monod, dopo
aver osservato che i cristalli e gli organismi viventi si distinguono
da ogni altro oggetto a causa della riproduzione invariante della
propria struttura, e dopo aver precisato che "le strutture
cristalline rappresentano una quantità di informazione inferiore di
parecchi ordini di grandezza rispetto a quella che si trasmette di
generazione in generazione negli esseri viventi, anche nei più
semplici", conclude: "questo criterio puramente
quantitativo -è bene sottolinearlo- consente di distinguere gli
esseri viventi da tutti gli altri oggetti, compresi i cristalli".
Occorre invece sottolineare, come aveva osservato
Engels, che "questo punto di vista matematico unilaterale",
trascurando le differenze qualitative, favorisce la concezione
meccanicistica per la quale "la quantità si converte in
qualità". Una semplice quantità non permette, però, di
distinguere diverse qualità, perché soltanto "una
variazione quantitativa modifica la qualità" ("Dialettica
della natura"). Ma, immaginare di poter distinguere la
qualità inerente la vita dalla qualità inerente oggetti inanimati
come i cristalli, mediante la pura quantità di informazioni, non è
soltanto un errore del "punto di vista matematico
unilaterale", è anche un errore specifico della nuova
concezione della biologia molecolare, che prende il nome di teoria
del codice genetico, la quale si fonda su concetti e idee tratte
dalla cibernetica e dall'informatica.
Questa nuova concezione, nella versione divulgata da
autori come Monod, Mayr, ecc., si fonda soprattutto sul concetto di
teleonomia. In questo capitolo ci proponiamo di dimostrare che
la concezione teleonomica rappresenta una soluzione convenzionale e
fittizia dell'irrisolto problema del rapporto caso-necessità.
Per questo scopo, il saggio di Monod rappresenta il nostro punto di
partenza.
"La pietra angolare del metodo scientifico
-scrive l'autore- è il postulato della oggettività della
natura, vale a dire il rifiuto sistematico di considerare la
possibilità di pervenire a una conoscenza "vera" mediante
qualsiasi interpretazione dei fenomeni in termini di cause finali,
cioè di "progetto"." "Ma l'oggettività ci
obbliga a riconoscere il carattere teleonomico degli esseri viventi,
ad ammettere che, nelle loro strutture e prestazioni, essi realizzano
e perseguono un progetto. Vi è dunque, almeno in apparenza, una
profonda contraddizione epistemologica. Il problema centrale della
biologia consiste proprio in questa contraddizione che occorre
risolvere se essa è solo apparente, e dimostrare insolubile se è
reale".
Con quest'ultima frase del passo citato, Monod svela
il suo modo di pensare metafisico: infatti, solo il pensiero
metafisico può pensare di risolvere le contraddizioni apparenti,
ritenendo insolubili quelle reali. Per il pensiero dialettico è,
invece, l'opposto: una contraddizione apparente è qualcosa che si
può lasciare ai filosofi, mentre una contraddizione reale può
essere risolta come opposizione dialettica. Ma la contraddizione
individuata da Monod è solo apparente, perché, nel dichiarare
oggettivo il carattere teleonomico degli esseri viventi, egli afferma
semplicemente il principio teleologico nella nuova forma cibernetica.
Avendo posto all'inizio del suo saggio una
contraddizione solo apparente, Monod ha dimostrato di avere a cuore
ben altro che la soluzione della difficile questione del rapporto
caso-necessi!tà. Infatti, è proprio perché i fatti
osservati in biologia molecolare potevano indirizzare verso la
soluzione dialettica di questo rapporto che Monod ha pensato bene di
sbarazzarsi della dialettica materialistica, dopo aver dichiarato
ipocritamente d'aver voluto ricostruire per punti "il
profondo pensiero del fondatori del materialismo dialettico".
La questione fondamentale della teoria della
conoscenza è il riflesso nella coscienza umana del mondo esterno,
indipendente da essa. Il pensiero umano deve, quindi, essere
capace di elaborare concetti e strumenti di indagine che permettano
questo riflesso. Monod, non appena tocca questa fondamentale
questione, sembra emozionarsi senza ritegno, perdendo completamente
il lume della ragione: "Il mondo esterno 'riflesso dal
pensiero umano': è questo in effetti il nocciolo della questione. La
logica della inversione (?) esige evidentemente (!) che
tale riflesso sia molto di più (?!) di una trasposizione
(?), più o meno
fedele, del mondo esterno". Di evidente qui c'è soltanto
l'imbarazzo di un metafisico che di fronte alla dialettica riesce
solo a balbettare frasi senza senso!
Se, con le sue frasi da azzeccagarbugli, Monod ha
inteso dire che il pensiero deve fare molto di più che riflettere il
mondo esterno, allora ha detto una stupidaggine; se, invece, ha
inteso un'altra cosa, proprio non si riesce a comprenderlo, perché
non si riesce a trovare il senso di frasi tanto contorte e
reticenti. Ponendosi il problema del riflesso del pensiero umano,
considerandolo la vera questione di fondo, Monod aveva, comunque, due
alternative: o affrontarlo avendo in mente come obiettivo l'interesse
della teoria della conoscenza, oppure scadere al livello della
peggiore ideologia. Egli ha scelto la seconda strada, percorrendola
senza alcuno scrupolo, neppure quello di cadere nel ridicolo. Così
ha dichiarato il fallimento del materialismo dialettico, affermando
che l'esempio dei chicchi di granturco, usato da Engels, illustra
"soprattutto l'entità dei guai epistemologici provocati
dall'uso "scientifico" delle interpretazioni dialettiche".
Come presto vedremo, Monod ha respinto le
"interpretazioni dialettiche" poco prima di aver
compiuto un plagio dialettico, sia pur emendato in senso metafisico,
ossia nel suo abituale modo di pensare. Abbiamo già considerato, nel
primo volume di biologia, che il pensiero metafisico, quando non è
più riuscito a vedere la necessità deterministica, ha proclamato
drammaticamente la "legge del caso". Così fa
Monod, di fronte al groviglio inestricabile delle proteine. La nota
dolente per i biologi molecolari venne dalla descrizione della prima
sequenza completa di una proteina globulare, realizzata da F. Singer
nel 1952. "Fu questa -scrive Monod- ad un tempo una
rivelazione e una delusione". Perché fu una delusione?
"Perché non vi si scorgeva nessuna particolarità, nessuna
limitazione" (ossia nessuna necessità?). La ricostruzione
di altre centinaia di sequenze di proteine diverse acuì lo
sconforto, a tal punto da far dichiarare: "oggi si può
dedurre la legge generale: la legge del caso".
Ma se la legge generale della vita è la legge del
caso, ciò significa che la legge generale è la mancanza di leggi
scientifiche. E allora dove va a finire la scienza? Monod deve averlo
pensato se, dopo avere dichiarato la legge del caso, è andato a cercare
anche la legge della necessità. Così scrive: "Ma se, in
questo senso, qualsiasi struttura primaria ci appare come il puro
risultato di una scelta casuale effettuata, per ciascun anello della
catena, tra i venti residui disponibili, in un altro senso,
altrettanto significativo, si deve riconoscere che questa sequenza
reale non è stata affatto sintetizzata a caso, poiché lo stesso
ordine si ripete, praticamente senza errori, in tutte le molecole
della proteina considerata".
Monod, intitolando il suo saggio "Il caso e
la necessità", si riprometteva di risolvere la più
difficile questione della teoria della conoscenza in relazione alla
biologia molecolare, dove il caso si mostra ovunque e la necessità
sembra scomparire anche troppo spesso. Ma, fin qui, egli si ritrova con
due sfere diverse completamente separate tra loro, anche
temporalmente: prima viene il caso, poi la necessità; e come si
passa da una sfera all'altra? "Il caso -egli scrive- è
captato, conservato e riprodotto dal meccanismo dell'invarianza e
trasformato in regola e necessità". Questa è la sua
soluzione, che rappresenta, però, un plagio della dialettica
materialistica, perché il concetto di trasformazione di un polo nel
suo opposto è un concetto dialettico. Ma la forma in cui Monod
immagina questa trasformazione è metafisica, perché egli non è
capace di pensare in altro modo: qui il caso viene "captato,
conservato e riprodotto" da un meccanismo invariante, qui la
faccenda è concepita nei termini del più rigido meccanicismo.
Nella concezione di Monod, esiste un meccanismo
DNA-proteine, “che sfida qualunque descrizione 'dialettica'."
Questo meccanismo è "fondamentalmente cartesiano e non
hegeliano: la cellula è proprio una macchina"! Una macchina
ben strana questa, che continuamente si modifica per alterazioni
accidentali. E allora, poiché queste alterazioni "rappresentano
la sola fonte possibile di modificazione del testo genetico, a sua
volta unico depositario delle strutture ereditarie dell'organismo, ne
consegue necessariamente che soltanto il caso è all'origine di ogni
novità, di ogni creazione della biosfera". Quindi anche
l'origine della vita non può che essere casuale. La conclusione è
drammatica: "Il caso puro, il solo caso, libertà assoluta ma
cieca, alla radice stessa del prodigioso edificio dell'evoluzione".
E questa è, per Monod, "l'unica ipotesi possibile".
Il pensiero metafisico, con Monod, ha consegnato
alla teoria della conoscenza una contraddizione irrisolta: da un lato
l'assoluta casualità dell'origine della vita e delle mutazioni
biologiche; dall'altro, l'assoluta necessità del meccanismo
invariante DNA-proteine. Questa concezione assolutamente metafisica
si vede però costretta a prendere dalla dialettica il passaggio dal
caso al suo opposto, la necessità. Ma non può fare altro che
affermarlo una volta per tutte, come se in questo modo la faccenda
fosse definitivamente chiusa. Così Monod scrive: "Ma una
volta iscritto nella struttura del DNA l'avvenimento singolare, e in
quanto tale imprevedibile, verrà automaticamente e fedelmente
replicato e trattato, ( ... ). Uscito dall'ambito del puro
caso entra in quello della necessità, della più inesorabile
determinazione".
Con la sola affermazione della trasformazione
(passaggio) del caso in necessità, affermazione plagiata dalla
dialettica, Monod ha di fatto sbarazzato il campo della biologia
molecolare dalla casualità. Così i biologi molecolari potranno
tranquillamente uscire dall'ambito del puro caso dichiarandolo
responsabile delle mutazioni, ed entrare nell'ambito della più
inesorabile determinazione, dove tutto viene indagato come un
meccanismo o parte di un meccanismo invariante.
Post Scriptum
A un anno circa dalla pubblicazione del mio
opuscolo, "Chi ha frainteso Darwin?" (2009), citerò
un paragrafo della seconda parte dal titolo “Darwin
e darwinisti: equivoci e spropositi”, dove si mostra che
anche l'autore de "L'origine delle specie" ebbe
molto a soffrire per l'incompreso rapporto tra il caso e la necessità
da parte del determinismo ottocentesco. Perciò scrivevo: "Le
riflessioni sulla teoria di Darwin della evoluzione per selezione
naturale potrebbero non avere mai fine, perché, se pressoché
infinite sono le inferenze empiriche, le interpretazioni oscillano
inevitabilmente tra il caso e la necessità, senza soluzione. I
numerosi compromessi che egli ha dovuto fare sia nei confronti del
determinismo riduzionistico dell'Ottocento sia nei confronti del
determinismo teologico, ereditato dal Settecento, dipendono dalla
metafisica contrapposizione tra l'osservazione delle "variazioni
casuali" e l'insolubile determinazione della necessità della
evoluzione delle specie. Per ogni aspetto indagato, ogni volta si è
presentata questa insolubile contrapposizione. Come vedremo, la
storia del pensiero biologico aveva sistemato le cose in modo tale da
rendere, allora, impossibile la soluzione".
e speriamo bene che tu riesca a pubblicare, avere un testo in mano invece che dei post è davvero essenziale, anche sotto l'aspetto della divulgazione, che non è secondario.
RispondiEliminac'è un passo che ho riletto più volte e che però per come è formulato non mi è chiaro, nel senso che mi appare contraddittorio:
«Occorre invece sottolineare, come aveva osservato Engels, che "questo punto di vista matematico unilaterale", trascurando le differenze qualitative, favorisce la concezione meccanicistica per la quale "la quantità si converte in qualità". Una semplice quantità non permette, però, di distinguere diverse qualità, perché soltanto "una variazione quantitativa modifica la qualità" ("Dialettica della natura").»
"soltanto "una variazione quantitativa modifica la qualità" ("Dialettica della natura")", e fin qui siamo d'accordo, ma come si concilia con : "trascurando le differenze qualitative, favorisce la concezione meccanicistica per la quale "la quantità si converte in qualità" ?
Per il momento ho la testa da un'altra parte e mi riesce difficile concentrarmi per risponderti. La mia scadente memoria a breve intralcia il mio lavoro. E i due recenti post, quello sulla seconda guerra mondiale e quello sulla biologia l'hanno messa a dura prova. Comunque speriamo bene...
RispondiEliminaTroppo tempo è trascorso dai miei studi sulla dialettica della natura. Ma, non vorrei sbagliare, per la dialettica le variazioni quantitative si rovesciano in modificazioni qualitative, invece per la concezione meccanicista la quantità in se stessa rimane tale. Per motivi che tengo per me, io sto lavorando da alcuni anni senza i libri sui quali ho studiato nei decenni passati, ma soltanto con quelli che, nel frattempo, ho prodotto. Perciò, con l'aggiunta del calo della memoria, finisce che mi trovo impacciato su problemi come quello che hai sollevato, che per quasi mezzo secolo non sono stati problemi per me.
RispondiEliminainfatti non sbagli: per la dialettica le variazioni quantitative si rovesciano in modificazioni qualitative
EliminaMi tranquillizzi riguardo alla memoria.
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