Inizierò con un duplice paradosso della dimenticanza: anche gli studiosi col passare degli anni perdono la memoria, ma il fatto che vengano dimenticati è un'altra cosa. Ho ripreso in mano i miei appunti estratti da un libro fondamentale di Steven Rose, poi ho cercato su Wikipedia potendo appurare che la sua biografia consiste in una striminzita paginetta. E così ho potuto riflettere sul fatto che se uno scienziato della natura, invecchiando, si rende conto di perdere parzialmente la memoria, in quanto è avversario del riduzionismo che domina nelle scienze naturali, rischia, invece, d'essere completamente dimenticato.
Il libro di Rose, "Il cervello del XXI secolo. Spiegare, curare e manipolare la mente", è uscito nel 2005 e riguarda principalmente questioni di apprendimento e memoria, in relazione alle quali il suo autore esprime palesemente un profondo pessimismo sulle possibilità scientifiche della neurologia. Tutto il libro è una denuncia in questo senso. Come egli scrive: "Lo scopo di questo libro non è affatto quello di offrire qualche nuova radicale "teoria della coscienza". Quello che in realtà cercherò di spiegare è la ragione per cui sono convinto che come neuroscienziato non abbia nulla di molto utile da dire circa quella particolare Grande C [coscienza] e perché di conseguenza, come affermò Wittgenstein molti anni or sono, faremmo meglio a stare in silenzio".
Accompagnato da questo pessimismo, Rose continua: "La grande espansione delle neuroscienze ha prodotto una quasi inimmaginabile mole di dati, fatti, risultati sperimentali, a tutti i livelli da quello submolecolare a quello del cervello nel suo complesso". "Ma come riunire questa massa in una teoria coerente del cervello?" "Il cervello, infatti, è pieno di paradossi", manca una "Grande Teoria Unificata". Gli studi sperimentali vanno su diversi livelli, dalla biologia molecolare specifica delle cellule-neuroni alla ricerca nel campo del brain imaging, ecc. Ma, "superato il Decennio del Cervello e a metà del supposto Decennio della Mente, siamo ancora ricchi di dati e poveri di teorie".
Di fronte a un pessimismo così apertamente dichiarato non ci rimane che trarre, da questo libro "sconfortante", qualche punto fermo o, almeno, qualche illuminazione. Innanzi tutto, Steven Rose è molto deluso dopo i suoi 45 anni di studio nel campo delle neuroscienze: "Quale sarà il futuro del cervello?" Si chiede, e precisa: "Intendo dire, quale speranza abbiamo attualmente di "comprendere" il cervello? Siamo in grado di comporre il mosaico quadrimensionale a più livelli del cervello nello spazio e nel tempo, come è necessario fare prima di poter anche solo iniziare l'effettivo lavoro di decodifica delle relazioni tra mente e cervello? O meglio, prima di iniziare a imparare le regole di traduzione tra questi due linguaggi così diversi? E che cosa sarà di tutti i nostri cervelli e di tutte le nostre menti in un mondo in cui le tecniche di manipolazione neurotecnologica stanno diventando sempre più potenti?"
Il materiale trattato da Rose è veramente troppo vasto, quindi dovrò selezionare. Di tutti i capitoli è il sesto quello che considero più interessante, perché tratta questioni di teoria della conoscenza. Ma interessanti sono, anche, alcuni capitoli successivi, dove vengono trattate questioni per così dire "allarmanti". Rose, come scienziato, ha due qualità che l'autore di questo blog apprezza in uno studioso: 1) è materialista in quanto ammette "la natura materiale del mondo stesso", 2) afferma d'essere, come scienziato, "inevitabilmente realista". Però, aggiunge di dover utilizzare spesso modelli "costruiti" "in maniera inscindibile dal contesto sociale e culturale nel quale è avvenuto quel processo di sviluppo". Contesto, egli aggiunge, che ha imposto alla scienza occidentale tradizioni filosofiche riduzionistiche, nonostante che esse siano messe a dura prova dalla complessità del mondo reale.
Sulla specificità del processo neurologico, Rose respinge la metafora informatica: "Le tre dimensioni della struttura cellulare e della forma dell'organismo e la quarta dimensione temporale entro cui si svolge lo sviluppo non possono essere semplicemente "dedotte" dall'unidimensionale filamento di DNA, come in un programma per computer. Gli organismi sono analogici non digitali" La differenza tra analogico e digitale è che il digitale è discreto, si basa sulla codifica binaria: falso-vero, 0-1; l'analogico, invece, è continuo. Ed è questa continuità che si manifesta in maniera specifica con il grande dispendio caratteristico dei processi naturali biologici.
Riguardo ai processi neurologici, il dispendio si mostra nel modo seguente: "Durante lo sviluppo embrionale vi è una vasta sovrapproduzione di cellule. Nascono molti più neuroni di quanti sopravvivono in seguito. Il numero di assoni che raggiungono la loro destinazione è maggiore di quello delle cellule bersaglio atte a riceverli. Gli assoni devono pertanto competere per il proprio bersaglio. Quelli che non lo trovano deperiscono e muoiono".
A questo punto Rose fa un'interessante osservazione che ha per oggetto il grande dispendio naturale: "Questa sovrapproduzione di neuroni e sinapsi potrebbe sembrare uno spreco. Essa ha condotto all'argomento per cui come nella evoluzione la "selezione naturale" elimina gli organismi meno adatti allo stesso modo un processo simile di selezione si realizza nel cervello in via di sviluppo -un processo che l'immunologo e teorico della coscienza umana, Gerald Edelman, ha chiamato "darwinismo neurale"."
Inoltre, aggiunge un'altra idea che giustifica il dispendio naturale e cioè che "La sopravvivenza di uno dipende dalla presenza di molti". Questa è l'idea giusta, che non non ha bisogno delle vecchie metafore della cooperazione e della competitività, ma soltanto della naturale sopravvivenza dispendiosa di uno fra tanti e per un puro caso garantito soltanto dai grandi numeri. Non si tratta, perciò di morte programmata, secondo Rose, che si mostra scettico anche sul nome di apoptosi.
Poi ribadisce che un tempo si pensava di nascere con molti neuroni che si perdevano per strada. Oggi, invece, si ritiene che "Benchè vi sia una perdita di neuroni con l'età, specialmente in tarda età, perfino nell'organismo adulto il cervello (in particolare la corteccia olfattiva) tiene in riserva una piccola popolazione di cosiddetti progenitori, o cellule staminali, che hanno la capacità di differenziarsi in neuroni quando necessario", cioè quando c'è da riparare tessuti danneggiati. E qui Rose introduce il concetto di autopoiesi, nel senso che è l'ambiente a condizionare, con la selezione naturale, il destino delle cellule. E questa rappresenta, a mio avviso, l'idea forte che può risolvere il problema.
Lo sviluppo della memoria
La memoria è l'argomento centrale degli interessi di Steven Rose. Quando e come si sviluppa la memoria? "La capacità più generale di riconoscere e conseguentemente di ricordare gli episodi della propria vita, la cosiddetta memoria autobiografica o episodica, si sviluppa in modo graduale parallelamente alla maturazione della neocorteccia". Consideriamo rapidamente le aree di Broca e di Vernicke, la prima importante per la sintassi, la seconda "importante per la semantica, per il significato delle parole, specialmente dei nomi." "Durante lo sviluppo postnatale del cervello, la produzione sinaptica nell'area di Vernincke raggiunge il suo apice tra gli otto e i dodici mesi, mentre l'area di Broca matura più lentamente, per raggiungere il pieno sviluppo solo intorno ai quattro anni di età; anche il processo di mielinizzazione nell'area di broca avviene più lentamente che nell'area di Vernincke. E' ragionevole assumere che questi pattern di maturazione siano correlati allo sviluppo del linguaggio parlato e della sua comprensione".
Osservando la figura del cervello è evidente che l'area posteriore di Vernincke è più antica, mentre quella anteriore di Broca è successiva e più evoluta. La velocità di acquisizione del linguaggio è sorprendente: riguarda i primi 2-4 anni di vita. Questi sono gli anni che caratterizzano l'acquisizione della "madrelingua" (e ovviamente anche delle altre lingue che si apprendono molto facilmente, mentre il loro apprendimento in età più avanzata è normalmente difficile). Riguardo al ruolo del cervello e alla sua origine e funzione, quella originaria darwiniana, Huxley, il buldog di Darwin, espresse il punto di vista del "materialismo meccanicista", ovviamente determinista, per il quale "il cervello secerne pensieri come il rene secerne l'urina". Ma non è questa, per Rose, la via per affrontare la coscienza umana.
Sull'origine della coscienza sorgono problemi, per risolvere i quali Rose si rivolge ad Antonio Damasio che ha scritto "Alle origini della coscienza e del concetto di sé", a mio avviso, senza cogliere l'essenza del processo, mettendo insieme troppe cose contraddittorie: struttura, meccanismi e processi, relativi al funzionamento della mente in quattro aree cruciali: vista/percezione, dolore, emozione/sentimento e memoria. Ma il dato da sottolineare è che in un cervello umano adulto ci sono 100 miliardi di neuroni, ossia grandi numeri che favoriscono risultati complessivi dispendiosi.
Quindi, Steven Rose sostiene, a ragione, che attualmente "la tendenza dominante tra i principali neuroscienziati è decisamente riduzionista nella sua insistenza sulle spiegazioni molecolari. Queste sono voci potenti, ma io continuerò a sottolineare la distinzione tra consentire e determinare o addirittura "essere la stessa cosa". La vita mentale e la coscienza, come non sono riducibili alla biochimica, non possono nemmeno essere abbassate al livello delle singole sinapsi o dei singoli neuroni". E così Rose è tra i pochi che, isolati, si oppongono alla maggioranza dei riduzionisti, tra i quali in Italia si trova il buon Boncinelli, parlando del quale dovremmo perdere un pò di tempo a breve.
Rose critica molto anche la farmaceutica orientata contro i neutrasmettitori con farmaci che "operano chimicamente in corrispondenza di sinapsi specifiche". Giustamente sostiene che "Né i neuroni né le sinapsi sono monadi isolate, bensì unità costituenti all'interno di strutture comunicative". E giustamente vede in azione i complessi necessari e non i singoli costituenti casuali: "Il cervello, come continuo a sottolineare, è una collezione di mini organi."
Meglio, comunque, sarebbe concepire il cervello come un complesso di complessi in esso contenuti. Ma, stringi, stringi, Rose deve ammettere di non sapere dove guardare nel cervello. Ad esempio il cervelletto ha una struttura così regolare che chi lo ha indagato ha scritto un libro dal titolo: "The Cerebellum As a Neuronal Machine". Riportiamone le conclusioni tratte da Rose: "In effetti questa geometria particolarmente precisa fa sì che il cervelletto appaia quasi come una macchina che svolge una funzione simile a quella del regolatore di una macchina a vapore, impegnato a smorzare un movimento eccessivo. Potrebbe sembrare che almeno qui vi sia una struttura rigidamente specificata che lascia poco spazio alla plasticità. Ma riguardo al cervelletto vi è più di quanto questa descrizione potrebbe implicare. Esso svolge un ruolo nella pianificazione del movimento e nella valutazione dell'informazione sensoriale ai fini dell'azione e pertanto, come altre strutture cerebrali, è in grado di apprendere -ovvero di modificare adattativamente gli output in risposta all'esperienza".
E ancora: "Da nessuna parte nel cervello esiste un luogo in cui la neurologia misteriosamente si trasforma in psicologia. Quindi rimane il problema molto complesso, assai poco determinista e riduzionista che da nessuna parte nel cervello esiste un luogo in cui la neurofisiologia misteriosamente si trasforma in psicologia ossia il problema di come operi complessivamente il cervello e di come si trasformi in comportamento psicologico, ossia in idee, parole, scritti e discorsi".
Ecco la difficoltà! La mente con i suoi prodotti è il risultato complessivo del cervello: "I neuroni smettono di operare individualmente e iniziano a lavorare come membri di un gruppo in cui è la popolazione piuttosto che la singola cellula a diventare importante generando stati stabili che sono meglio compresi nei termini della teoria del caos, con entrate e uscite di corrente che fluiscono attraverso la popolazione neurale". In buona sostanza, su queste basi, se la teoria di un autodidatta fosse stata conosciuta, Rose avrebbe potuto indicare come soluzione non la teoria del caos ma la dialettica caso-necessità.
Memoria e coscienza
Nel capitolo "La memoria e il paradosso dei livelli" Steven Rose scrive: "La memoria, il mio tema centrale di ricerca, è la nostra proprietà più caratteristica; prima di tutto essa costituisce la nostra individualità, fornisce alla nostra traiettoria di vita una continuità autobiografica, in modo che, perfino a ottanta e novant'anni, siamo capaci di richiamare alla mente episodi della nostra infanzia". In effetti, considerando le numerosissime sintesi e demolizioni molecolari, la stabilità della mente stupisce.
Poi osserva che oggi "la tesi dominante tra i neuroscienziati segue un'ipotesi formulata originariamente dallo psicologo Donald Hebb nel 1949: l'ipotesi che le nuove nozioni (sia quelle incidentali che quelle specificamente apprese) risultino modificazioni nella connettività sinaptica, rafforzando alcune sinapsi e indebolendone altre, in modo da creare nuove vie tra alcuni insiemi di interneuroni che rappresenterebbero in qualche modo la memoria, forse in maniera simile alla traccia su un CD o su un nastro magnetico".
E, dopo queste considerazioni, troviamo un'idea molto importante, sulla quale in genere si riflette assai poco: noi ricordiamo sempre l'ultimo ricordo che la mente ci fornisce di un evento, perciò è facile ricordare male. Secondo Rose l'atto di ricordare non è passivo, ma attivo perché il fatto di rievocare ricrea un ricordo diverso. Così finisce che ricordiamo l'ultima rievocazione, fatto ben noto nel campo della giustizia in relazione ai ricordi dei testimoni.
Rievocare è dunque un processo, "Parlare di "memoria è una reificazione, vuol dire trasformare un processo in una cosa. L'uso del termine suggerisce l'esistenza di un singolo fenomeno chiamato memoria". Ma c'è una lista infinita di tipi di memoria. Insomma "il funzionamento del processo di rievocazione dei ricordi rimane ancora alquanto misterioso. Chiaramente, il ricordare è un evento attivo, non passivo e attinge a una varietà di processi cognitivi ed emotivi".
Dice Rose che "Lo psicologo Endel Tulving si è spinto così in là da affermare ... che la "memoria" come tale non esiste nel senso di una entità instanziata nelle strutture cerebrali; piuttosto essa viene attivamente portata in essere nell'atto di ricordare. Egli dice ecforizzata". Insomma, anche con la memoria è come con la conoscenza: o si cerca la realtà, ossia, la verità o si possono costruire falsi ricordi come si possono costruire false conoscenze.
"E' tempo di confessarsi. Molti anni fa nella verde arroganza della mia giovinezza scrissi un libro intitolato THE CONSCIUS BRAIN. Alcuni critici più avveduti ma gentili acclamarono il mio titolo come un intenzionale paradosso. Ma il "Cervello cosciente" non è un ossimoro, è solo un punto di partenza. Come ho sottolineato più volte, i cervelli non sono indipendenti dai corpi". "Ma i corpi inviano segnali ai cervelli anche in altri modi, attraverso i sistemi immunitari e soprattutto esperienze emotive -interesse, stress, paura, sensazione di pericolo, ma anche appagamento e gioia, euforia- che, nel contesto della coscienza umana, come fa notare Damasio, diventano sentimenti".
La memoria emozionale sembra più potente di quella meramente cognitiva. "Ma, naturalmente, i cervelli non sono situati unicamente nei corpi. L'organismo individuale, la persona, si trova nel mondo. I cervelli e i corpi sono sistemi aperti, non chiusi, in costante interazione con il mondo materiale, biologico e sociale esterno". Perciò, secondo Rose "La mente è più vasta del cervello", e, riguardo alla coscienza, egli si chiede se sia possibile ridurla "a un processo cerebrale, o quanto meno spiegarla in termini di meccanismi naturali"*.
Per la moglie di Rose, Hilary, sociologa, esistono vari tipi di coscienza: quella freudiana, con il suo mondo inconscio, poi la coscienza sociale, di classe, etnica e persino femminista; insomma, conclude Rose: si tratta del "riconoscimento di possedere un punto di osservazione da cui è possibile interpretare e agire sul mondo". Ma si può anche dire, più semplicemente, che si tratta della falsa coscienza che ogni singolo individuo porta con sè nella sua esistenza quotidiana e che "utilizza" quando deve interpretare le azioni proprie, individuali o di gruppo, e quelle degli altri.
Insomma, si tratta di un nodo irrisolto e confuso perché soggetto a due spinte: una interna (il proprio carattere ) e una esterna (il carattere della famiglia e del gruppo sociale di appartenenza). Rose si ribella, non accetta il "mondo impoverito condiviso da filosofi e neuroscienziati, i quali riducono tutti questi svariati mondi a quello dell'essere consapevoli, svegli, non anestetizzati". Sostiene invece che "essere coscienti è qualcosa di più; significa essere consapevoli della propria storia passata e della propria collocazione nel mondo, dei propri intenti e scopi per il futuro, della propria agentività e delle strutture culturali e sociali in cui si vive".
Ha ragione: si tratta della confusione tra coscienza di sé pura e semplice e coscienza della società, ossia della cultura nella quale si è immersi, che è collegata al grado di conoscenza complessivo. Perciò quante coscienze necessariamente limitate esistono! Dall'io penso dunque sono in senso personale, all'io penso familiare, sociale, ecc. Rose qui si barcamena come può e, partendo dalla considerazione che indubbiamente "il cervello e il corpo sono la base che rende possibile la coscienza", scopre le diverse coscienze individuali e, persino, le diverse coscienze individuali a seconda dell'età.
La coscienza, però, deve avere contenuti, e non solo quello del momento, "ma quello di tutti i momenti passati della storia dell'individuo. La coscienza è pertanto una proprietà emergente, non dicotomizzabile, indissolubilmente collocata nella storia". Ma occorre aggiungere: c'è coscienza e coscienza. Ognuna, che dipende dalla propria storia individuale, che è più o meno in rapporto con diversi livelli di conoscenza, i più frequenti dei quali confinano con i molteplici casi di ignoranza e incoscienza.
Seguono poi le considerazioni sulla natura della coscienza e sulla sua indagine, Scrive Rose: "La coscienza è passibile di investigazione scientifica, ma non si presta ad essere ingabbiata dai metodi della neuroscienza con i suoi strumenti di Brain imaging, i nostri elettrodi e i nostri armadietti dei medicinali pieni di farmaci psicoattivi". "Questo cervello, allora, è quel prodotto e processo meraviglioso che è risultato da eoni di evoluzione e, per ciascun essere umano, da decenni di sviluppo individuale, l'organo necessario per la coscienza, il pensiero, la memoria, il senso di identità, che la moderna neuroscienza sta iniziando sia a descrivere che a spiegare". Ma che è molto lontana dall'averne raggiunto una sufficiente conoscenza e consapevolezza.
* Il fatto, però, è che in natura non ci sono meccanismi e, riguardo alla coscienza, sembra, secondo lo psichiatra Giulio Tonioni, citato da Rose, che sia soltanto ciò che ti abbandona quando dormi e che ritorna quando sei sveglio. Sottile ironia!
Il libro di Rose, "Il cervello del XXI secolo. Spiegare, curare e manipolare la mente", è uscito nel 2005 e riguarda principalmente questioni di apprendimento e memoria, in relazione alle quali il suo autore esprime palesemente un profondo pessimismo sulle possibilità scientifiche della neurologia. Tutto il libro è una denuncia in questo senso. Come egli scrive: "Lo scopo di questo libro non è affatto quello di offrire qualche nuova radicale "teoria della coscienza". Quello che in realtà cercherò di spiegare è la ragione per cui sono convinto che come neuroscienziato non abbia nulla di molto utile da dire circa quella particolare Grande C [coscienza] e perché di conseguenza, come affermò Wittgenstein molti anni or sono, faremmo meglio a stare in silenzio".
Accompagnato da questo pessimismo, Rose continua: "La grande espansione delle neuroscienze ha prodotto una quasi inimmaginabile mole di dati, fatti, risultati sperimentali, a tutti i livelli da quello submolecolare a quello del cervello nel suo complesso". "Ma come riunire questa massa in una teoria coerente del cervello?" "Il cervello, infatti, è pieno di paradossi", manca una "Grande Teoria Unificata". Gli studi sperimentali vanno su diversi livelli, dalla biologia molecolare specifica delle cellule-neuroni alla ricerca nel campo del brain imaging, ecc. Ma, "superato il Decennio del Cervello e a metà del supposto Decennio della Mente, siamo ancora ricchi di dati e poveri di teorie".
Di fronte a un pessimismo così apertamente dichiarato non ci rimane che trarre, da questo libro "sconfortante", qualche punto fermo o, almeno, qualche illuminazione. Innanzi tutto, Steven Rose è molto deluso dopo i suoi 45 anni di studio nel campo delle neuroscienze: "Quale sarà il futuro del cervello?" Si chiede, e precisa: "Intendo dire, quale speranza abbiamo attualmente di "comprendere" il cervello? Siamo in grado di comporre il mosaico quadrimensionale a più livelli del cervello nello spazio e nel tempo, come è necessario fare prima di poter anche solo iniziare l'effettivo lavoro di decodifica delle relazioni tra mente e cervello? O meglio, prima di iniziare a imparare le regole di traduzione tra questi due linguaggi così diversi? E che cosa sarà di tutti i nostri cervelli e di tutte le nostre menti in un mondo in cui le tecniche di manipolazione neurotecnologica stanno diventando sempre più potenti?"
Il materiale trattato da Rose è veramente troppo vasto, quindi dovrò selezionare. Di tutti i capitoli è il sesto quello che considero più interessante, perché tratta questioni di teoria della conoscenza. Ma interessanti sono, anche, alcuni capitoli successivi, dove vengono trattate questioni per così dire "allarmanti". Rose, come scienziato, ha due qualità che l'autore di questo blog apprezza in uno studioso: 1) è materialista in quanto ammette "la natura materiale del mondo stesso", 2) afferma d'essere, come scienziato, "inevitabilmente realista". Però, aggiunge di dover utilizzare spesso modelli "costruiti" "in maniera inscindibile dal contesto sociale e culturale nel quale è avvenuto quel processo di sviluppo". Contesto, egli aggiunge, che ha imposto alla scienza occidentale tradizioni filosofiche riduzionistiche, nonostante che esse siano messe a dura prova dalla complessità del mondo reale.
Sulla specificità del processo neurologico, Rose respinge la metafora informatica: "Le tre dimensioni della struttura cellulare e della forma dell'organismo e la quarta dimensione temporale entro cui si svolge lo sviluppo non possono essere semplicemente "dedotte" dall'unidimensionale filamento di DNA, come in un programma per computer. Gli organismi sono analogici non digitali" La differenza tra analogico e digitale è che il digitale è discreto, si basa sulla codifica binaria: falso-vero, 0-1; l'analogico, invece, è continuo. Ed è questa continuità che si manifesta in maniera specifica con il grande dispendio caratteristico dei processi naturali biologici.
Riguardo ai processi neurologici, il dispendio si mostra nel modo seguente: "Durante lo sviluppo embrionale vi è una vasta sovrapproduzione di cellule. Nascono molti più neuroni di quanti sopravvivono in seguito. Il numero di assoni che raggiungono la loro destinazione è maggiore di quello delle cellule bersaglio atte a riceverli. Gli assoni devono pertanto competere per il proprio bersaglio. Quelli che non lo trovano deperiscono e muoiono".
A questo punto Rose fa un'interessante osservazione che ha per oggetto il grande dispendio naturale: "Questa sovrapproduzione di neuroni e sinapsi potrebbe sembrare uno spreco. Essa ha condotto all'argomento per cui come nella evoluzione la "selezione naturale" elimina gli organismi meno adatti allo stesso modo un processo simile di selezione si realizza nel cervello in via di sviluppo -un processo che l'immunologo e teorico della coscienza umana, Gerald Edelman, ha chiamato "darwinismo neurale"."
Inoltre, aggiunge un'altra idea che giustifica il dispendio naturale e cioè che "La sopravvivenza di uno dipende dalla presenza di molti". Questa è l'idea giusta, che non non ha bisogno delle vecchie metafore della cooperazione e della competitività, ma soltanto della naturale sopravvivenza dispendiosa di uno fra tanti e per un puro caso garantito soltanto dai grandi numeri. Non si tratta, perciò di morte programmata, secondo Rose, che si mostra scettico anche sul nome di apoptosi.
Poi ribadisce che un tempo si pensava di nascere con molti neuroni che si perdevano per strada. Oggi, invece, si ritiene che "Benchè vi sia una perdita di neuroni con l'età, specialmente in tarda età, perfino nell'organismo adulto il cervello (in particolare la corteccia olfattiva) tiene in riserva una piccola popolazione di cosiddetti progenitori, o cellule staminali, che hanno la capacità di differenziarsi in neuroni quando necessario", cioè quando c'è da riparare tessuti danneggiati. E qui Rose introduce il concetto di autopoiesi, nel senso che è l'ambiente a condizionare, con la selezione naturale, il destino delle cellule. E questa rappresenta, a mio avviso, l'idea forte che può risolvere il problema.
Lo sviluppo della memoria
La memoria è l'argomento centrale degli interessi di Steven Rose. Quando e come si sviluppa la memoria? "La capacità più generale di riconoscere e conseguentemente di ricordare gli episodi della propria vita, la cosiddetta memoria autobiografica o episodica, si sviluppa in modo graduale parallelamente alla maturazione della neocorteccia". Consideriamo rapidamente le aree di Broca e di Vernicke, la prima importante per la sintassi, la seconda "importante per la semantica, per il significato delle parole, specialmente dei nomi." "Durante lo sviluppo postnatale del cervello, la produzione sinaptica nell'area di Vernincke raggiunge il suo apice tra gli otto e i dodici mesi, mentre l'area di Broca matura più lentamente, per raggiungere il pieno sviluppo solo intorno ai quattro anni di età; anche il processo di mielinizzazione nell'area di broca avviene più lentamente che nell'area di Vernincke. E' ragionevole assumere che questi pattern di maturazione siano correlati allo sviluppo del linguaggio parlato e della sua comprensione".
Osservando la figura del cervello è evidente che l'area posteriore di Vernincke è più antica, mentre quella anteriore di Broca è successiva e più evoluta. La velocità di acquisizione del linguaggio è sorprendente: riguarda i primi 2-4 anni di vita. Questi sono gli anni che caratterizzano l'acquisizione della "madrelingua" (e ovviamente anche delle altre lingue che si apprendono molto facilmente, mentre il loro apprendimento in età più avanzata è normalmente difficile). Riguardo al ruolo del cervello e alla sua origine e funzione, quella originaria darwiniana, Huxley, il buldog di Darwin, espresse il punto di vista del "materialismo meccanicista", ovviamente determinista, per il quale "il cervello secerne pensieri come il rene secerne l'urina". Ma non è questa, per Rose, la via per affrontare la coscienza umana.
Sull'origine della coscienza sorgono problemi, per risolvere i quali Rose si rivolge ad Antonio Damasio che ha scritto "Alle origini della coscienza e del concetto di sé", a mio avviso, senza cogliere l'essenza del processo, mettendo insieme troppe cose contraddittorie: struttura, meccanismi e processi, relativi al funzionamento della mente in quattro aree cruciali: vista/percezione, dolore, emozione/sentimento e memoria. Ma il dato da sottolineare è che in un cervello umano adulto ci sono 100 miliardi di neuroni, ossia grandi numeri che favoriscono risultati complessivi dispendiosi.
Quindi, Steven Rose sostiene, a ragione, che attualmente "la tendenza dominante tra i principali neuroscienziati è decisamente riduzionista nella sua insistenza sulle spiegazioni molecolari. Queste sono voci potenti, ma io continuerò a sottolineare la distinzione tra consentire e determinare o addirittura "essere la stessa cosa". La vita mentale e la coscienza, come non sono riducibili alla biochimica, non possono nemmeno essere abbassate al livello delle singole sinapsi o dei singoli neuroni". E così Rose è tra i pochi che, isolati, si oppongono alla maggioranza dei riduzionisti, tra i quali in Italia si trova il buon Boncinelli, parlando del quale dovremmo perdere un pò di tempo a breve.
Rose critica molto anche la farmaceutica orientata contro i neutrasmettitori con farmaci che "operano chimicamente in corrispondenza di sinapsi specifiche". Giustamente sostiene che "Né i neuroni né le sinapsi sono monadi isolate, bensì unità costituenti all'interno di strutture comunicative". E giustamente vede in azione i complessi necessari e non i singoli costituenti casuali: "Il cervello, come continuo a sottolineare, è una collezione di mini organi."
Meglio, comunque, sarebbe concepire il cervello come un complesso di complessi in esso contenuti. Ma, stringi, stringi, Rose deve ammettere di non sapere dove guardare nel cervello. Ad esempio il cervelletto ha una struttura così regolare che chi lo ha indagato ha scritto un libro dal titolo: "The Cerebellum As a Neuronal Machine". Riportiamone le conclusioni tratte da Rose: "In effetti questa geometria particolarmente precisa fa sì che il cervelletto appaia quasi come una macchina che svolge una funzione simile a quella del regolatore di una macchina a vapore, impegnato a smorzare un movimento eccessivo. Potrebbe sembrare che almeno qui vi sia una struttura rigidamente specificata che lascia poco spazio alla plasticità. Ma riguardo al cervelletto vi è più di quanto questa descrizione potrebbe implicare. Esso svolge un ruolo nella pianificazione del movimento e nella valutazione dell'informazione sensoriale ai fini dell'azione e pertanto, come altre strutture cerebrali, è in grado di apprendere -ovvero di modificare adattativamente gli output in risposta all'esperienza".
E ancora: "Da nessuna parte nel cervello esiste un luogo in cui la neurologia misteriosamente si trasforma in psicologia. Quindi rimane il problema molto complesso, assai poco determinista e riduzionista che da nessuna parte nel cervello esiste un luogo in cui la neurofisiologia misteriosamente si trasforma in psicologia ossia il problema di come operi complessivamente il cervello e di come si trasformi in comportamento psicologico, ossia in idee, parole, scritti e discorsi".
Ecco la difficoltà! La mente con i suoi prodotti è il risultato complessivo del cervello: "I neuroni smettono di operare individualmente e iniziano a lavorare come membri di un gruppo in cui è la popolazione piuttosto che la singola cellula a diventare importante generando stati stabili che sono meglio compresi nei termini della teoria del caos, con entrate e uscite di corrente che fluiscono attraverso la popolazione neurale". In buona sostanza, su queste basi, se la teoria di un autodidatta fosse stata conosciuta, Rose avrebbe potuto indicare come soluzione non la teoria del caos ma la dialettica caso-necessità.
Memoria e coscienza
Nel capitolo "La memoria e il paradosso dei livelli" Steven Rose scrive: "La memoria, il mio tema centrale di ricerca, è la nostra proprietà più caratteristica; prima di tutto essa costituisce la nostra individualità, fornisce alla nostra traiettoria di vita una continuità autobiografica, in modo che, perfino a ottanta e novant'anni, siamo capaci di richiamare alla mente episodi della nostra infanzia". In effetti, considerando le numerosissime sintesi e demolizioni molecolari, la stabilità della mente stupisce.
Poi osserva che oggi "la tesi dominante tra i neuroscienziati segue un'ipotesi formulata originariamente dallo psicologo Donald Hebb nel 1949: l'ipotesi che le nuove nozioni (sia quelle incidentali che quelle specificamente apprese) risultino modificazioni nella connettività sinaptica, rafforzando alcune sinapsi e indebolendone altre, in modo da creare nuove vie tra alcuni insiemi di interneuroni che rappresenterebbero in qualche modo la memoria, forse in maniera simile alla traccia su un CD o su un nastro magnetico".
E, dopo queste considerazioni, troviamo un'idea molto importante, sulla quale in genere si riflette assai poco: noi ricordiamo sempre l'ultimo ricordo che la mente ci fornisce di un evento, perciò è facile ricordare male. Secondo Rose l'atto di ricordare non è passivo, ma attivo perché il fatto di rievocare ricrea un ricordo diverso. Così finisce che ricordiamo l'ultima rievocazione, fatto ben noto nel campo della giustizia in relazione ai ricordi dei testimoni.
Rievocare è dunque un processo, "Parlare di "memoria è una reificazione, vuol dire trasformare un processo in una cosa. L'uso del termine suggerisce l'esistenza di un singolo fenomeno chiamato memoria". Ma c'è una lista infinita di tipi di memoria. Insomma "il funzionamento del processo di rievocazione dei ricordi rimane ancora alquanto misterioso. Chiaramente, il ricordare è un evento attivo, non passivo e attinge a una varietà di processi cognitivi ed emotivi".
Dice Rose che "Lo psicologo Endel Tulving si è spinto così in là da affermare ... che la "memoria" come tale non esiste nel senso di una entità instanziata nelle strutture cerebrali; piuttosto essa viene attivamente portata in essere nell'atto di ricordare. Egli dice ecforizzata". Insomma, anche con la memoria è come con la conoscenza: o si cerca la realtà, ossia, la verità o si possono costruire falsi ricordi come si possono costruire false conoscenze.
"E' tempo di confessarsi. Molti anni fa nella verde arroganza della mia giovinezza scrissi un libro intitolato THE CONSCIUS BRAIN. Alcuni critici più avveduti ma gentili acclamarono il mio titolo come un intenzionale paradosso. Ma il "Cervello cosciente" non è un ossimoro, è solo un punto di partenza. Come ho sottolineato più volte, i cervelli non sono indipendenti dai corpi". "Ma i corpi inviano segnali ai cervelli anche in altri modi, attraverso i sistemi immunitari e soprattutto esperienze emotive -interesse, stress, paura, sensazione di pericolo, ma anche appagamento e gioia, euforia- che, nel contesto della coscienza umana, come fa notare Damasio, diventano sentimenti".
La memoria emozionale sembra più potente di quella meramente cognitiva. "Ma, naturalmente, i cervelli non sono situati unicamente nei corpi. L'organismo individuale, la persona, si trova nel mondo. I cervelli e i corpi sono sistemi aperti, non chiusi, in costante interazione con il mondo materiale, biologico e sociale esterno". Perciò, secondo Rose "La mente è più vasta del cervello", e, riguardo alla coscienza, egli si chiede se sia possibile ridurla "a un processo cerebrale, o quanto meno spiegarla in termini di meccanismi naturali"*.
Per la moglie di Rose, Hilary, sociologa, esistono vari tipi di coscienza: quella freudiana, con il suo mondo inconscio, poi la coscienza sociale, di classe, etnica e persino femminista; insomma, conclude Rose: si tratta del "riconoscimento di possedere un punto di osservazione da cui è possibile interpretare e agire sul mondo". Ma si può anche dire, più semplicemente, che si tratta della falsa coscienza che ogni singolo individuo porta con sè nella sua esistenza quotidiana e che "utilizza" quando deve interpretare le azioni proprie, individuali o di gruppo, e quelle degli altri.
Insomma, si tratta di un nodo irrisolto e confuso perché soggetto a due spinte: una interna (il proprio carattere ) e una esterna (il carattere della famiglia e del gruppo sociale di appartenenza). Rose si ribella, non accetta il "mondo impoverito condiviso da filosofi e neuroscienziati, i quali riducono tutti questi svariati mondi a quello dell'essere consapevoli, svegli, non anestetizzati". Sostiene invece che "essere coscienti è qualcosa di più; significa essere consapevoli della propria storia passata e della propria collocazione nel mondo, dei propri intenti e scopi per il futuro, della propria agentività e delle strutture culturali e sociali in cui si vive".
Ha ragione: si tratta della confusione tra coscienza di sé pura e semplice e coscienza della società, ossia della cultura nella quale si è immersi, che è collegata al grado di conoscenza complessivo. Perciò quante coscienze necessariamente limitate esistono! Dall'io penso dunque sono in senso personale, all'io penso familiare, sociale, ecc. Rose qui si barcamena come può e, partendo dalla considerazione che indubbiamente "il cervello e il corpo sono la base che rende possibile la coscienza", scopre le diverse coscienze individuali e, persino, le diverse coscienze individuali a seconda dell'età.
La coscienza, però, deve avere contenuti, e non solo quello del momento, "ma quello di tutti i momenti passati della storia dell'individuo. La coscienza è pertanto una proprietà emergente, non dicotomizzabile, indissolubilmente collocata nella storia". Ma occorre aggiungere: c'è coscienza e coscienza. Ognuna, che dipende dalla propria storia individuale, che è più o meno in rapporto con diversi livelli di conoscenza, i più frequenti dei quali confinano con i molteplici casi di ignoranza e incoscienza.
Seguono poi le considerazioni sulla natura della coscienza e sulla sua indagine, Scrive Rose: "La coscienza è passibile di investigazione scientifica, ma non si presta ad essere ingabbiata dai metodi della neuroscienza con i suoi strumenti di Brain imaging, i nostri elettrodi e i nostri armadietti dei medicinali pieni di farmaci psicoattivi". "Questo cervello, allora, è quel prodotto e processo meraviglioso che è risultato da eoni di evoluzione e, per ciascun essere umano, da decenni di sviluppo individuale, l'organo necessario per la coscienza, il pensiero, la memoria, il senso di identità, che la moderna neuroscienza sta iniziando sia a descrivere che a spiegare". Ma che è molto lontana dall'averne raggiunto una sufficiente conoscenza e consapevolezza.
* Il fatto, però, è che in natura non ci sono meccanismi e, riguardo alla coscienza, sembra, secondo lo psichiatra Giulio Tonioni, citato da Rose, che sia soltanto ciò che ti abbandona quando dormi e che ritorna quando sei sveglio. Sottile ironia!
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