Occorre ammettere che tutti i neologismi che usurpano il caso, a cominciare dalla "stocasticità" per finire con la "serendipity", appaiono essere, nei confronti della causalità, meno offensivi del puro caso. Caso che, nella storia umana, ha acquistato anche la cattiva fama di immeritata fortuna in relazione all'operare dei singoli individui.
Come possiamo leggere qui di seguito, in riferimento a certi risultati sperimentali imprevedibili, che, pur non essendo cercati a proposito, vengono scoperti e premiati con i Nobel, Tommaso Maccaro ci tiene a sottolineare che, in tali casi, si deve parlare di attività serendipica, perché non sarebbe "stata premiata la casualità della scoperta (sarebbe stato un Nobel alla fortuna) bensì la sagacia degli scopritori che hanno saputo capirne ragione, implicazioni e sviluppi". ("Scienziati senza scarpe (ma guidati dalla curiosità)" in "Scienzainrete").
Come si vede, il caso viene disprezzato da Maccaro proprio perché concepito come pura fortuna. E così, per non offendere il pudore e il prestigio dei membri della comunità scientifica, le "vergogne" del nudo caso devono essere ricoperte con i panni discreti della serendipity, della stocasticità, del rumore, ecc., metafore che dovrebbero giustificare prestigiosissimi premi ed elevata considerazione per qualcosa che altrimenti sarebbe considerato come puro frutto della fortuna.
Ma, fino a quando la comunità scientifica non si libererà di questo equivoco millenario? Fino a quando essa non restituirà al caso il suo fondamentale ruolo di primo polo della dialettica caso-necessità? Fino a quando la teoria della conoscenza non si libererà dall'eterna oscillazione tra il determinismo della causa e l'indeterminismo del caso?
Nessun commento:
Posta un commento