lunedì 9 ottobre 2017

Dimenticare non è una falla

Su "Le scienze" del 22 giugno 2017, troviamo un articolo dal titolo "Le dimenticanze che ci rendono più intelligenti"

"Dimenticare non è una falla nella nostra capacità di ricordare, ma un processo che ci consente di trattenere solo le informazioni essenziali per adattarci in modo intelligente a nuove situazioni, tralasciando i dettagli inutili: è questo il nuovo modello che emerge da una revisione di studi sui processi di memoria e di oblio e da alcune sperimentazioni."

E' proprio vero che gli "scienziati" che pretendono sperimentare, riducendole a piccole dimensioni, faccende gigantesche come la memoria umana, o meglio che pretendono sperimentare faccende complesse riguardanti i prodotti del cervello umano, finiscono sempre col cadere nelle amenità.

"Dimenticare qualcosa è considerato un errore, un fallimento della nostra capacità di ricordare. Ma è davvero così?"  Già questa domanda iniziale dimostra che non ci siamo. Ad esempio, in questo momento, nel tentativo di esprimere il mio parere su questo articolo devo "ricordare", ma non tutto. Mi preme, soprattutto, ricordare di sottolineare il punto principale, e cioè che la memoria è un processo complesso che non può essere trattato solo in relazione ai cosiddetti ricordi. E anche i ricordi sono un oggetto complesso. Un solo esempio: in questo momento posso ricordare molteplici momenti del mio passato, mentre non ricordo dove diavolo ho messo la matita per appuntare rapidamente qualche idea da sviluppare in seguito.

Se, invece, dimenticassi il motivo per il quale ho considerato questo articolo di "Le scienze" passibile d'essere criticato sul mio blog, questa si che sarebbe materia per considerazioni sulla perdita della memoria a breve della vecchiaia. Allora, farò mente locale: ho già scritto e anche postato scritti sulla memoria, considerandola una faccenda molto complessa, la cui principale contraddizione è quella tra la memoria dei particolari e la memoria selettiva su questioni complesse.

Riprendiamo a leggere l'articolo: "Un gruppo di neuroscienziati dell’Università di Toronto, in Canada, propone in un articolo su “Neuron” un’interpretazione diversa: l’obiettivo della memoria non è conservare per molto tempo l'informazione più accurata possibile, ma conservare l'informazione più utile per prendere decisioni intelligenti". Sostenere questo è lo stesso che affermare: chi ci ha costruito ha usato questo metodo razionale.  Ma la natura non si comporta così.

"È importante che la mente dimentichi i dettagli irrilevanti e si concentri solo sulle informazioni che consentono di adattarsi al mondo reale”, ha spiegato Blake Richards, coautore della ricerca, articolata su esperimenti, su una revisione della letteratura disponibile sull'argomento e, infine, su un modello d'intelligenza artificiale elaborato per l'occasione. Ma non si può paragonare un prodotto della natura con un prodotto della tecnologia umana  ritenendo che in entrambi i casi si tratti di meccanismi.

Invece, qui di seguito leggiamo: "Molte ricerche hanno già messo in evidenza che i meccanismi cerebrali che promuovono la perdita di memoria sono altrettanto importanti di quelli che ne consentono la conservazione. Uno di questi è l'indebolimento o l'eliminazione delle sinapsi, le connessioni tra neuroni, in cui sono conservati i ricordi.

Il secondo meccanismo, evidenziato dalla sperimentazione condotta presso il laboratorio di Paul Frankland, altro autore dell'articolo, è la generazione di nuovi neuroni a partire da cellule staminali. Via via che i nuovi neuroni vengono integrati nell'ippocampo, le nuove connessioni che si stabiliscono rimodellano i circuiti ippocampali e sovrascrivono nuovi ricordi, rendendo più difficile accedere a quelli più vecchi. (Questo processo, tra l'altro, può spiegare perché i bambini, nel cui ippocampo si producono nuovi neuroni a un ritmo elevato, dimenticano così frequentemente le informazioni.)

Può sembrare controintuitivo che il cervello impieghi così tante energie per creare nuovi neuroni che vanno a discapito della memoria. Ma così non è: si tratta di un'organizzazione neurale funzionale, e lo dimostra il modello di intelligenza artificiale elaborato da Richards e colleghi, in cui ricordare e dimenticare sono due fasi di un unico processo che consente al soggetto di prendere decisioni intelligenti basate sulla memoria."

Insomma, qui, si sostiene che un prodotto della tecnologia umana dovrebbe dimostrare, confermare, ecc. la validità di un prodotto della natura. Ma in questo modo si tralasciano le molteplici differenze che corrono tra i due tipi di produzione, la principale delle quali è che la natura può e deve essere sprecona (va in tutte le direzioni senza risparmiarsi), mentre l'uomo deve prendere le direzioni più economiche e sicure per lui.

"La prima fase, quella dell'oblio, ci consente di adattarci a nuove situazioni lasciando che vadano perdute le informazioni datate e potenzialmente confondenti. Se stai cercando di orientarti nel mondo, con un cervello costantemente oberato di ricordi conflittuali, è più difficile prendere decisioni sulla base di informazioni corrette”. "Un'altra possibile spiegazione del ruolo cruciale dell'oblio nel funzionamento della mente è che dimenticare facilita le decisioni permettendo di generalizzare le informazioni riguardanti gli eventi passati, e così di interpretare quelle degli eventi nuovi." 

Ma queste non sono spiegazioni, sono giustificazioni meccanicistiche che assimilano i prodotti naturali ai prodotti della tecnologia umana. Perciò non si può genericamente affermare che dimenticare facilita. La dimenticanza episodica in sé è dannosa: lo sa lo studente sotto interrogazione, lo sa chi deve eseguire un qualsiasi mandato, lo sa il vecchio che vede ridursi la memoria cosiddetta a breve, ecc. A voler agguantare il problema complesso della memoria, in modo che non ci sfugga di mano, come succede agli smemorati, bisogna distinguere e porre in connessione tra loro la cosiddetta memoria a breve e quella a lungo termine.

Prendo come esempio il mio interesse relativo alla memoria: ricordo molto bene che ho fatto un post importante a questo riguardo e in questo momento sarei spinto a rileggerlo, ma sono anche spinto a sviluppare le idee che mi suggerisce questo articolo congeniale a sperimentatori che trattano la natura come un enorme meccanismo zeppo di meccanismi, ciascuno dei quali da indagare e ricostruire. Ecco! La questione così impostata mi tranquillizza: ossia tranquillizza la mia concezione dialettica non meccanicistica, ma anche la mia memoria a breve che, con il passare degli anni, mi rende più arduo ogni lavoro teorico complesso.

Per concludere lo spunto tratto da questo articolo di "Le Scienze" potrei dire che non  esistono  dimenticanze che ci rendono più intelligenti, ma esiste qualcosa che chiamiamo memoria che non è un semplice serbatoio dal quale peschiamo i ricordi (e che, pescandoli male, si può anche fallire un esame di maturità). Ma è un processo complesso.

Concludo con una battuta ricorrente di un presentatore tv del quale, al momento, non ricordo il nome, che diceva: "Si faccia la domanda e si dia la risposta". All'esame di maturità dei miei tempi andati era raro che accadesse questo. Inoltre, più in generale, c'è da considerare che l'atteggiamento dell'esaminatore (positivo o negativo che sia) influenza l'esaminando. Ma questa è un'altra faccenda.

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