martedì 18 ottobre 2016

Un equivoco storico sul determinismo divino


L'autore di questo blog deve ammetterlo: ignorava che Papa Ratzinger, nel 1987, avesse scritto: "Molto in generale si può dire che se l'inizio del mondo è dovuto a uno scoppio primordiale, allora non è più la ragione il criterio e il fondamento della realtà, bensì l'irrazionale; anche la ragione è, in questo caso, un prodotto collaterale dell'irrazionale verificatosi solo per caso e per necessità, anzi per errore ed in quanto tale da ultimo è essa stessa irrazionale".

Ho appreso questo da un articolo di qualche anno fa (2013), pubblicato da "Scienza in rete" a firma di Cristian Fuschetto, il quale sottolineò anche "l'insofferenza per la teoria del Big bang e per quella evoluzionistica, divulgatrice di una visione "irrazionalistica" della Natura in cui ogni apparente ordine altro non sarebbe se non il frutto di uno "scoppio primordiale" e di "caso e necessità"": insofferenza che non poteva mancare alla teologia ratzingeriana e, più in generale, alla religione.

Papa Ratzinger, a quel tempo, aveva sotto gli occhi la teoria contraddittoria di Monod che aveva cercato di far coesistere il caso con la necessità del determinismo meccanicistico assoluto. Ma, se Fuschetto ricordava lo scritto di Ratzinger del 1987, senza prendere una chiara posizione sul rapporto caso-necessità, è forse perchè la soluzione non è stata trovata dal premio Nobel Monod nel 1972, ma, qualche decennio dopo, da un semplice autodidatta che non sapeva ancora di collidere così direttamente con il raffinato pensiero ratzingeriano sul rapporto caso-necessità.

Di più, se le cose stessero come finora le ha spiegate una fittizia teoria della conoscenza, divisa tra un determinismo meccanicistico e un indeterminismo probabilistico, tra loro opposti diametrali inconciliabili, Ratzinger avrebbe avuto, e avrebbe ancora, ragione a sottolineare l'irrazionalità della scienza umana. Ma proviamo a considerare le cose da un punto di vista storico più oggettivamente realistico.

Il fatto che, fin dai primordi, l'uomo avesse attribuito al creatore del mondo il metodo molto umano del rapporto di causa-effetto (molto umano nel senso che è stata l'umanità a produrre i suoi meccanismi mediante il rapporto deterministico di causa-effetto) può significare soltanto che l'uomo ha concepito l'azione di Dio a propria immagine e somiglianza (anche se infinitamente potenziata): unico modo che, del resto, aveva per raffigurarsi la misteriosa divinità creatrice.

Per molti secoli, la teologia non solo ha dato per certa l'ovvia esistenza del divino creatore, ma ha dato per certo, persino, che la sua opera seguisse il non ovvio principio dell'economica razionalità deterministica, ossia del rapporto di causa ed effetto, così da attribuire al creatore stesso il titolo di Causa prima e suprema. Non ovvio, perché, anche ammettendo l'esistenza del divino creatore, nessun essere umano avrebbe potuto e dovuto avere conoscenza dei suoi poteri usati per creare l'universo.

Ed ecco il paradossale equivoco plurimillenario: e' solo perché, storicamente, l'uomo è stato sempre condizionato dalla carenza di risorse che, partendo da se stesso, ha considerato come il massimo della perfezione divina la realizzazione economica del metodo deterministico, fondato sul rapporto di causa-effetto. Tuttavia, coerentemente con il presupposto della onnipotenza del "Creatore", l'uomo non avrebbe dovuto escludere, giudicandolo negativamente, un eventuale enorme dispendio nella "Creazione".

Del resto, storicamente, il preteso ordine e la pretesa economia della "Creazione" sono stati partoriti da una scienza ancora fanciulla, uscita dal grembo stesso della Teologia, in un periodo di scarso sviluppo economico, tecnologico e demografico della specie umana. Ma questa scienza, ancora oggi, nonostante il rapido sviluppo dei prodotti tecnologici creati dall'uomo con il proprio metodo deterministico, non ha ancora capito in che modo la natura produca le sue forme materiali non viventi e viventi (fino al prodotto più elevato, l'uomo, potenzialmente cosciente). Questa scienza non ha ancora capito che i processi naturali non si avvalgono del determinismo, ossia dell'economico rapporto di causa-effetto, ma sono soggetti alla dispendiosa dialettica caso-necessità.

Allora, chi riconduce l'opposizione tra credenti e non credenti all'opposizione, rispettivamente, tra il metodo economico di causa-effetto e il metodo dispendioso di caso-necessità, non fa che mantenere l'equivoco storico. Perché, in maniera solo apparentemente paradossale, un non credente potrebbe benissimo pensare, sbagliando, che l'intero universo sia un meccanismo come un orologio, economico e ben determinato, mentre un credente potrebbe benissimo pensare, correttamente, che l'onnipotenza divina possa manifestarsi in qualsiasi modo, persino mediante la dispendiosa dialettica caso-necessità. Comunque, indipendentemente dall'essere credenti o non credenti, è concettualmente corretto sostenere che il credente, partendo dal principio della inconoscibile -per l'uomo- volontà e azione divina, non avrebbe potuto, e soprattutto dovuto, giudicare come va il mondo. Quando lo ha fatto si è poi dovuto appellare alla teodicea, sorta per giustificarne i mali del mondo. 

Ma, in definitiva, a distinguere il non credente dal credente c'è una sola, autentica, contrapposizione: quella tra il concetto di materia eterna, e perciò increata, e il concetto di materia creata. Se, però, il credente pensasse di poter sapere come Dio ha creato questa materia, e secondo quali leggi, incorrerebbe giustamente nella riserva di Bellarmino dell'ex suppositione, rivolta alla scienza umana. Perciò, possiamo concludere sottolineando con forza l'equivoco plurimillenario nel quale è caduta la teologia quando ha immaginato che l'onnipotenza divina dovesse necessariamente prediligere l'ordine deterministico ed economico che è stato, invece, nei secoli e nei millenni il compagno prediletto della povertà materiale e spirituale dell'umanità.  



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