lunedì 3 ottobre 2011

Il big bang e l'universo ciclico

La dispendiosa evoluzione della materia

Partendo da punti di vista spesso diametralmente opposti, la maggior parte dei fisici che si occupano del big bang riescono a rifletterlo soltanto come singolarità, o punto infinitamente piccolo di densità infinita: ciò che, dal punto di vista fisico, non ha alcun senso. Che l'universo rappresenti, invece, energia-materia, o materia in movimento nel vuoto cosmo, è un'idea che viene completamente snobbata. Eppure, per poter pensare fisicamente l'espansione dell'energia-materia prodotta dal big bang, occorre necessariamente presupporre: 1) uno spazio cosmico vuoto e freddo, che permetta il movimento repulsivo della "palla di fuoco" nella direzione dal caldo al freddo, 2) un luogo nel quale tutta la materia dell'universo  partecipi al "grande scoppio".

Escludendo che il big bang sia un evento di creazione della materia e dello spazio dal nulla, possiamo solo pensare che sia un evento immanente al movimento reale della materia, perciò dobbiamo concepirlo considerando le reali condizioni fisiche della sua realizzazione. Se il big bang è l'inizio dell'attuale universo, bisogna prendere in considerazione il fatto che esso abbia un'esistenza limitata, e perciò una fine. Poiché tutto ciò che nasce è degno di perire, la logica vuole che un universo sorto dal big bang, prima o poi, termini il suo ciclo. La ciclicità dell'universo può rendere ragione dell'automovimento della materia come dialettica di repulsione-attrazione. La materia primordiale riceve una spinta repulsiva dal big bang e a questa si oppone l'attrazione gravitazionale. La gravitazione assume, quindi, un ruolo fondamentale nel determinare la fine di un ciclo universale.

La maggioranza dei fisici attualmente pretendono che l'universo possa avere un inizio ma non una fine. Per sostenere questa tesi pongono il seguente problema: dipende dalla quantità di materia presente nell'universo, se esso alla fine si arresterà e cadrà verso il centro, oppure, pur continuando a rallentare, non si arresterà mai. Ponendo il problema, essi in realtà credono di averlo già risolto a proprio favore, confidando su un dato empirico evidente: la scarsità della materia visibile (luminosa) presente nel cosmo. Così fingono di cercare prove sul destino dell'universo, quando, accecati dalla materia visibile, sono incapaci di valutare il reale peso della materia mancante.

Se, al contrario, partissero dal presupposto che l'universo non può evitare di contrarsi come conseguenza della prevalenza dell'attrazione sulla repulsione originaria, i fisici dovrebbero accettare l'idea che la maggior parte della materia che contribuirà alla contrazione dell'universo si trovi in una forma non visibile, quindi non osservabile direttamente, se non per i suoi effetti gravitazionali. Ma ciò significherebbe ammettere che la materia luminosa è solo una rarità statistica sorta dal grande dispendio di energia degenerata in materia oscura, serbatoio quest'ultima di energia potenziale gravitazionale.

Le varie fonti della letteratura specialistica  non  riescono a fornire dati esatti sulla percentuale statistica relativa alla materia luminosa e a quella oscura, anche perché considerano soltanto aloni galattici semioscuri, e ipotizzano galassie lontane poco luminose e perciò invisibili ai telescopi. Un primo dato approssimativo pone la materia visibile delle galassie all'1% rispetto alla materia necessaria a raggiungere il punto critico, al di sotto del quale l'universo non può contrarsi, e al di sopra del quale può, invece, contrarsi. Posto il punto critico omega = 1, la materia visibile è perciò = 0,01%.

Il parametro omega indica il rapporto tra la densità effettiva della massa del nostro universo e la densità critica che darebbe origine a un universo "piatto". Così si dice che se omega = 1, l'universo è "piatto", se omega minore di 1, l'universo è "aperto", se omega maggiore di 1, l'universo è "chiuso". Con l'aggiunta di ipotesi sulla quantità di materia non visibile appartenente agli aloni galattici, a piccole galassie, a buchi neri presenti al centro delle galassie, ecc. i valori di omega vanno da un minimo di 0,1 a un massimo di 0,4. Ad esempio, in un recente articolo di "Le Scienze" del dicembre 1999, troviamo omega=0,3.

Questi dati, che sembrano avvalorare l'ipotesi dell'universo eterno, la cui espansione è inarrestabile, non rappresentano, però, tutta la materia presente nel cosmo, perché non tengono presente la materia degenerata nei grandi collassi cosmici che hanno dato origine ai superammassi, agli ammassi, ecc. Ora, quando le osservazioni empiriche non sono sufficienti, decisiva può essere soltanto la riflessione teorica. I dati empirici possono orientarla, ma non sono mai decisivi. Dal punto di vista teorico ciò che conta è avere dei punti fermi.

Il principale punto fermo dal quale partiamo è quello della evoluzione dispendiosa della materia nel cosmo. Questo punto fermo è avvalorato da alcuni dati statistici. Il primo riguarda la prevalenza dell'idrogeno su tutti gli altri elementi materiali. L'idrogeno rappresenta il 93% del numero totale degli atomi dell'universo e il 76% del peso totale della materia visibile. Al secondo posto troviamo l'elio con il 7% degli atomi e il 23% del peso. Possiamo quindi trarre, con tutta evidenza, la seguente importante conseguenza: l'evoluzione della materia verso le sue forme più complesse è soddisfatta solo dall'1% del peso della materia luminosa.

Questo dato conferma la legge del dispendio e della eccezione statistica: l'evoluzione della materia, a partire dall'atomo di idrogeno, realizza le forme materiali combinate in elementi sempre più complessi, fino alle forme molecolari organiche e agli organismi viventi, utilizzando una parte minima della materia luminosa, cosiddetta ordinaria: i suoi risultati evolutivi sono dunque soltanto rarità statistiche.

Ora, se noi possiamo accettare l'idea che soltanto una piccola parte dell'elemento base della materia luminosa, l'idrogeno, evolva in forme materiali superiori, sempre più complesse, così da accettare l'idea che la maggior parte dell'idrogeno sembri sprecato, inutile, dobbiamo anche comprendere il motivo di questo evidente dispendio. Il motivo principale è che l'evoluzione della materia è guidata dalla dialettica di caso e necessità, secondo la quale una "combinazione evolutiva" non è il risultato di un progetto previdente ed economico, ma è un cieco risultato: la cieca necessità complessiva dispendiosa, fondata sulla casualità dei grandi numeri di singoli elementi.

Allora, la nostra mente non deve fare altro che un passo indietro: pensare che anche l'idrogeno deve necessariamente essere un cieco risultato del dispendio, una rarità statistica, e quindi accettare l'idea che l'idrogeno rappresenti, soltanto, all'incirca, l'1% di tutta l'energia-materia originaria, perché la sua formazione ha richiesto un grande dispendio di energia nella forma della dissipazione di calore, e di materia, nella forma della materia oscura, degenerata.

Chi riesce a pensare questo, può comprendere che il movimento della materia nell'universo segue la dialettica caso-necessità, che si manifesta grazie ai grandi numeri in gioco, condizione statistica della evoluzione dispendiosa di forme materiali statisticamente rare, fondata sulla base delle dissipazione-degenerazione della maggior parte della energia-materia.

In conclusione, le galassie di stelle rappresentano solo l'1% (più o meno) di tutta l'energia-materia originaria: è la materia luminosa costituita prevalentemente di idrogeno, base di partenza per l'evoluzione di forme materiali rare, le quali stanno in rapporto alla materia luminosa come 1 a 100, e, quindi, in rapporto alla energia-materia originaria come 1 a 10.000.

Solo una parte su 10.000 della energia-materia originaria riesce a divenire forma materiale più evoluta dell'idrogeno e dell'elio. E solo un'infima parte di essa riesce a divenire forma materiale organica e infine vita. In questi rapporti consiste l'essenza del dispendio. Non esiste un motivo razionale, sovrannaturale o naturale, che possa spiegare un simile risultato. Solo la dialettica naturale di caso-necessità, che il pensiero dialettico può riflettere e lo strumento statistico può calcolare, è in grado di darci una risposta.

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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato  Secondo volume Fisica" (1993-2002) Inedito
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